La spiegazione dei detti paradossali (shatahat) di Abu Yazid al Bistami

La spiegazione dei detti paradossali (shatahat) di Abu Yazid al Bistami

Abu Yazid si identificava con quella che potrebbe essere definita una posizione “ortodossa” nella tradizione Islamica, era rigoroso, fervente e umile, ma c’è un lato paradossale di Abu Yazid. Infatti, alcuni dei suoi detti sembrano contraddire la sua posizione “ortodossa”. Ahmad Ibn Harb (234/848) mandò ad Abu Yazid un tappeto sul quale poter eseguire le sue preghiere notturne. Abu Yazid inviò a Ibn Harb il seguente messaggio: “Ho raccolto tutta l’adorazione del popolo dei sette cieli e delle terre, e l’ho messa in un cuscino sotto la mia guancia”. Abu Yazid ha anche pronunciato espressioni del tipo: “Gloria a me! Quanto è grande mia maestà!”, “Per Dio! La mia bandiera è più grande di quella di Muhammad”, “In effetti, la mia presa è più forte della Sua (cioè di Dio)”, ecc…. Questi sono i suoi detti più paradossali.

Come possiamo spiegare questi paradossi? Si potrebbe essere tentati di associare questi detti paradossali ad un secondo stadio dello sviluppo della personalità di Abu Yazid. Inizialmente, era un devoto Musulmano ortodosso e agiva rigorosamente secondo la Shari’ah, ma in un secondo momento divenne un Sufi, e disse cose che sembrano contraddire le sue dichiarazioni precedenti.

In risposta a questo, potremmo dire che sebbene non sappiamo esattamente quando Abu Yazid iniziò a pronunciare queste dichiarazioni paradossali, possiamo tranquillamente presumere che appartengano ad un periodo di circa trenta anni prima della sua morte, seppur la maggior parte delle sue parole e delle sue azioni che si conformano alla Shari’ah appartengano anche a questo stesso periodo. Infatti, lo troviamo rispettoso dei principi della Legge fino alla sua morte. Disse: “Per quarant’anni mi sono sprofondato nel mare delle mie pratiche religiose…”.

(Libro della Luce, paragrafo 68, pag. 133)

Abu Yazid disse di un santo: “Quest’uomo non è fidato quanto alle tradizioni della Shari’ah insegnateci dall’Inviato di Dio (s); come può dunque esser fidato quanto alle stazioni spirituali degli amici di Dio e dei veridici?”

(Libro della Luce, paragrafo 72, pag. 135)

Abbiamo tutte le ragioni per ritenere che abbia recitato la preghiera serale nella notte in cui è morto. Prima della sua morte, si vergognava così tanto dell’inadeguatezza degli atti di adorazione che aveva compiuto per tutta la sua vita, che si rivolse a Dio con umiltà, dicendo:

“… In questo momento vengo dal deserto che piange Tangri, Tangri. Solo ora sto imparando a dire ‘Allah’, ‘Allah’; solo ora sto tagliando la cintura del mago; solo ora passo nella cerchia dell’Islam; solo ora pronuncio con la lingua l’attestato di fede Islamica (shahadah).”

(Riportato da Attar, Tadhkirat al-awliya)

Stando così le cose, non si può dire che i due aspetti distinti dei detti di Abu Yazid rappresentino due distinte fasi di sviluppo. Dal nostro punto di vista, la natura paradossale dei detti di Abu Yazid rappresenta i due diversi stati mentali che esistevano simultaneamente in Lui. A volte il suo cuore era rapito, e lui era inebriato dall’estasi. L’estasi era così forte che il suo cuore tremava e si abbandonava in espressioni mistiche. Queste affermazioni emotive costituiscono le sue espressioni paradossali, ma lo stato di ebbrezza (sukr) era solo temporaneo. Subito dopo, sarebbe tornato allo stato di sobrietà (sahw) e si sarebbe comportato come un Musulmano ortodosso. Infatti, a volte, dopo essere tornato allo stato di sobrietà, non riusciva a credere di aver pronunciato quelle parole estreme in stato di ebbrezza. La seguente tradizione sostiene fortemente la nostra interpretazione:

“Abu Yazid disse: ‘Esiste chi viene a farmi visita e se ne ritorna indietro con la maledizione di Dio’.

Gli fu chiesto: Come sarebbe? Ed egli rispose: ‘Può succedere che qualcuno venga a farmi visita mentre v’è su di me il dominio del vero, ed egli nel congedarsi mi chiederà perdono e quindi sarà nella misericordia di Dio. Ma può capitare anche che qualcuno facendomi visita veda su di me il dominio del mio stato, quindi si sconvolga per causa mia e si rivolga contro di me, ecco allora che egli sarà nella maledizione di Dio. ’”

(Libro della Luce, paragrafo 302, pag. 255)

Ciò dimostra ancora che a volte Abu Yazid era inebriato dall’estasi, ma altre volte, ad esempio, quando faceva la suddetta affermazione, era sobrio. Dimostra, inoltre, che Abu Yazid era consapevole che l’ebrietà mistica non è ammissibile dall’Ortodossia religiosa. Tuttavia, pensava che i Sufi non meritassero di essere biasimati, ma di essere perdonati per questo.

Ci si può chiedere adesso come sia stato possibile per Abu Yazid svolgere i suoi doveri religiosi quando si trovava in uno stato di ubriachezza mistica. Per rispondere a questa domanda, ci viene detto che Abu Yazid rimaneva in stato di ebrietà solo fino al momento della preghiera. In quel momento sarebbe diventato sobrio, avrebbe eseguito la sua preghiera e poi sarebbe tornato allo stato di ebbrezza. Nella visione Sufi, ciò è reso possibile dall’iniziativa di Dio. In questo stato di ebbrezza, il Sufi è nelle mani di Dio e si assicura che i doveri dell’Islam siano rispettati; Dio diventa il dispositore di tutti i suoi atti. Secondo al-Kalabadhi, Sufi di origine Persiana, si tratta dell’infallibilità (‘ismah), ed è il significato del seguente detto Profetico:

“Dio ha detto: ‘Il Mio servo non cessa si avvicinarsi a Me con le opere supererogatorie sino a che Io lo amo; e quando lo amo divento l’udito con cui ascolta, la vista con cui vede, la mano con cui afferra e il piede con cui cammina’”. (Hadith qudsi)

Abu Yazid stesso rivolgendosi a Dio conferma il precedente detto: “Hai prescelto alcuni uomini, mostrandoTi Generoso con loro, ed essi hanno dunque obbedito a ciò che avevi ordinato loro e ciò non hanno conseguito se non mediante Te. La Tua misericordia esclusiva nei loro confronti precedeva la loro obbedienza verso di Te.”

(Libro della Luce, paragrafo 261, pag. 235)

A questo riguardo dovremmo ricordare che le strane espressioni paradossali di Abu Yazid non erano sempre l’espressione immediata di un’esperienza di intensa estasi. Una volta, per esempio, mentre stava passando per un centro abitato mentre si recava alla Mecca, un gran numero di persone lo seguirono. Essendo stato informato che queste persone stavano cercando la sua compagnia, Abu Yazid, dopo l’esecuzione della preghiera mattutina, si rivolse a loro e disse: “In verità io sono Dio, non c’è Dio all’infuori di me, quindi adoratemi!” A queste parole, gli voltarono le spalle e se ne andarono dicendo: “Quest’uomo è impazzito”.

(Riportato da Attar nel Tadhkirat al-awliya)

Dal contesto emerge che la locuzione teopatica “In verità io sono Dio, non c’è Dio all’infuori di me, quindi adoratemi!”, era un’espressione diretta e immediata di un’esperienza estatica. D’altra parte, dobbiamo ammettere che in alcune occasioni, espressioni simili sono scaturite dall’esperienza estatica. L’esclamazione estatica appena citata, fu fatta in un momento di sobrietà e per un preciso scopo. Anche l’affetto e la stima della gente erano troppo pesanti per lui.

Comprese che desiderare l’approvazione umana poteva velarlo da Dio. Per rimuovere il velo che l’approvazione umana avrebbe rappresentato tra lui e Dio, disse cose contrarie alla Legge Islamica (Shari’ah). In questo modo, si auto colpevolizzò (malamah) cercando la sua mortificazione.

Sembra che Abu Yazid fosse consapevole del pericolo di fare dichiarazioni paradossali. Disse al suo compagno Muhammad al-Ra’i: “Finiscila! Non raccontare più le mie parole a chiunque! Narrale piuttosto ai cammelli nel deserto!”

(Libro della Luce, paragrafo 53, pag. 124)

Forse Abu Yazid non era cosciente delle dichiarazioni che aveva pronunciato nello stato di ebbrezza, ma i suoi compagni lo informavano delle sue espressioni estatiche quando tornava in stato di sobrietà. Secondo un’altra tradizione, i suoi compagni solitamente memorizzavano e conservavano queste locuzioni teopatiche. Abu Yazid apprese in seguito dai suoi seguaci le sue proclamazioni ed, essendo consapevole di quanto fossero radicali, potrebbe averle usate in stato di sobrietà per essere stigmatizzato.

Un altro racconto tratto dall’agiografia di Bistami apre la questione dell’identità della persona nel Sufismo:

 “Un giorno un uomo bussò alla porta di Abu Yazid, e questi disse: ‘Chi cerchi?’ Rispose l’altro: ‘Cerco Abu Yazid’. Disse allora Abu Yazid: ‘Vai via che non esiste nessuno in questa casa, tranne Dio”.

(Libro della Luce, paragrafo 70, pag. 134)

Che cosa vuol dire?

“Questo testo, nella sua concisione teopatica, è particolarmente espressivo della problematica dell’identità della persona nel suo rapporto interiore con Dio Creatore. Bistami è al contempo colui che afferma al visitatore l’assenza di Bistami stesso e la presenza di Dio solo, l’Altissimo. La risposta di Bistami, oltre a rivelare il rapporto tra Dio e l’uomo, illustra anche la battaglia che il credente e il Sufi deve intraprendere nei confronti dell’anima carnale, passionale. Di fronte alle richieste della passione smodata dell’anima, Bistami non esiste, deve essere come morto. In queste poche frasi, vi è concentrata la dottrina Sufi dell’estinzione (fana’) dell’anima passionale, ma anche della battaglia senza tregua lanciata dalla volontà del credente contro ciò che allontana da Dio, l’Altissimo, cioè la permanenza in Lui.”2

L’origine delle Shatahat

 

Le locuzioni teopatiche, questi stati di ebbrezza psichica e spirituale hanno un fondamento nel Corano? Sono in contraddizione con esso?

Le interpretazioni di altri autori Sufi

La maggior parte dei più importanti autori Sufi delle epoche successive, accettarono, interpretarono e giustificarono le shatahat di Abu Yazid. In tal modo, la maggior parte sembra aver seguito, ed ha talvolta elaborato, le idee contenute nei commenti con cui al-Junayd apprezza queste shatahat. Per illustrare questa posizione, faremo alcuni esempi.

  1. a) Al-Hujwiri: Per al-Hujwiri, ilsubhani(Gloria a Me!) di Abu Yazid esprime lo stato mistico di unione (jam’) in cui tutti gli attributi umani scompaiono, e un Sufi sperimenta Dio come unico esecutore delle sue azioni. Le parole di Abu Yazid: “Gloria a me! Quanto è grande la mia maestà”, secondo al-Hujwiri, avvenne sulla sua lingua, ma il vero oratore di queste parole era Dio stesso. Può accadere che “l’amore di Dio abbia un’influenza assoluta sul cuore del Suo servitore, e che la sua ragione e le sue facoltà naturali siano troppo deboli per sopportarne il rapimento e l’intensità, facendogli perdere ogni controllo del suo potere di agire (kasb)”. Quando “l’onnipotenza divina manifesta il suo dominio sull’umanità, trasporta un uomo fuori dal proprio essere, affinché il suo discorso diventi il discorso di Dio”. A riprova di ciò, al-Hujwiri cita dei versi Coranici e delle Tradizioni Profetiche che, secondo lui, esprimono lo stesso stato di unione.

I versetti Coranici su cui i Sufi posteriori si appoggiano per legittimare le espressioni estatiche di Abu Yazid sono:

“Non eri tu a lanciar frecce, bensì Dio le lanciava” (Corano, 8:17) e “Davide uccise Golia” (Corano, 2:251)

Abu Yazid, tuttavia, cercò di trovare un nesso nel Corano e di collegare la sua azione a quella del Profeta Davide (Dawud), che fece “un’azione” di uccidere. Abu Yazid vide che il Profeta Muhammad (la pace sia su di lui) lo fece in uno stato di ebrezza, secondo il Corano, “non eri tu a lanciar frecce, bensì Dio le lanciava”. (Corano: 8:17). Ma Dio dice anche “… David uccise Golia (Jalut)” (Corano: 2: 251). Così Abu Yazid sosteneva che Davide aveva davvero ucciso Golia di propria mano, ma in uno stato di dimenticanza di sé stesso. Abu Yazid voleva qui spiegare che la sua ebrietà aveva radici nel Corano. Il suo atteggiamento era coerente e i suoi seguaci difesero il suo stato di ebbrezza.1

Le Tradizioni Profetiche su cui gli altri Sufi si appoggiavano per legittimare le locuzioni teopatiche di Abu Yazid erano:

Gabriele rivelò all’Apostolo che Dio disse: “Il mio servo cerca continuamente l’accesso a Me per mezzo di opere supererogatorie finché io non lo ami; e quando lo amo, sono il suo orecchio, il suo occhio, la sua mano, il suo cuore e la sua lingua; attraverso Me egli ascolta, vede, parla e afferra.”

Al-Hujwiri avverte, tuttavia, che non si deve pensare che, nello stato di unione, si verifica una fusione (ittihad) tra le creature e Dio. Secondo lui, è impossibile per Dio “mescolarsi (imtizaj) con gli esseri creati o diventar uno (ittihad) con le Sue opere o incarnarsi (hall) nelle cose: Dio è ben più elevato di ciò che gli eretici gli attribuiscono.”

Passiamo all’interpretazione di al-Sahlagi

  1. b) Al-Sahlagi: l’interpretazione che al-Sahlagidà disubhani (Che io sia lodato) nel Libro della Luce è interessante. Egli sostiene che il termine subhan (il Glorificato) è un nome di Dio proprio come lo sono Khaliq (Creatore), Razzaq (il Sostentatore) ecc… Quindi, quando Abu Yazid disse subhani, intendeva “Oh, che io sia lodato!” proprio come si dice ‘khaliqi’ per denotare “Oh mio Creatore!” e Razzaqi che equivale a “Oh mio Sostentatore!”. Per quanto riguarda ma a’zama sha’ni (come è alto il Mio rango o la mia stazione spirituale!), al-Sahlagi pensa che Abu Yazid intendesse “Quanto è grande la mia maestà [Oh Dio], come è alto il mio rango, dal momento che pensava: Tu sei [quell’] Io sia lodato!, il che significa: Tu appartieni a me”.

(Libro della Luce, paragrafo 538, pag. 365)

Al-Sahlagi sottolinea, tuttavia, che la realtà dei subhani non può essere compresa se non da colui per il quale, essendo il Sé completamente annientato, rimane solo Dio attraverso Dio con Dio. Così, questo [subhani] è un’indicazione da Lui attraverso di Lui a Lui; questo si riferisce alla trascendenza (tanzih) operata dagli uomini della Via dopo la percezione della Perfezione (kamal) e del limite estremo della Bellezza (giamal), il massimo grado (ghayah) della Maestà (gialal), e dopo aver trovato stabilità in uno stato spirituale oltre il quale non esiste altro stato.

(Libro della Luce, paragrafo 539, pag. 365-366)

Al-Sahlagi dichiara in un altro passo del Libro della Luce circa Abu Yazid:

“La comprensione della gente era impotente di fronte alla sapienza dei suoi detti e i significati delle sue espressioni stupivano la gente comune e gli eletti. La gente trasmetteva le sue espressioni senza capirne l’intento; descriveva le sue meraviglie senza conoscerne le sue stranezze (ghara’ib). Le sottigliezze (daqa’iq) delle sue azioni venivano raccolte senza che venissero ascoltate le sue verità (haqa’iq). Le sue espressioni (‘ibara) venivano insegnate, ma le relative allusioni (ishara) non comprese.”

(Libro della Luce, paragrafo 6, pag. 92)

Nell’interpretazione di al-Sahlagi, notiamo due elementi. Nel primo caso, fornisce un’interpretazione molto ortodossa della shath di Abu Yazid dal punto di vista linguistico; mentre nel secondo caso, giustifica il subhani dicendo che il suo vero significato può essere compreso solo da coloro che hanno raggiunto lo stato di subhani.

  1. c) Attar: Secondo Attar, quando Abu Yazid ha detto ‘subhani’, è stato Dio a parlare con la lingua di Abu Yazid. Ma come poteva una lingua umana pronunciare le parole di Dio? Attar risponde che è possibile che una piccola cosa cresca molto più grande delle sue dimensioni. Per esempio, il bambino nel grembo materno è molto piccolo, ma diventa molto più grande quando diventa adulto. Lo stesso è accaduto ad Abu Yazid. La luce di Dio è penetrata nel cuore di Abu Yazid per renderlo capace di pronunciare le parole di Dio. La luce di Dio è tale che quando brilla su qualcuno, lo trasforma completamente. Se una volta brilla su una vecchia donna, la rende unaRabi’ah, se brilla su Ibrahim b.Adham (morto nel 160/776), fa di lui un re dei due mondi. Quando questa luce penetra nel cuore del Sufi, egli diventa completamente ignaro di questo mondo e dell’altro. Essendo assolutamente eclissato da questa luce, certe volte dice ‘subhani’, in altre occasioni ‘ana al-haqq’. Attar, come al-Junayd e al-Sahlagi, aggiunge che nessuna spiegazione sarà utile a chi non ha sperimentato lo stesso stato di subhani.
  2. d) Rumi: Jalalal-Din Rumi (morto il 672/1273), il grande poeta Sufi Persiano, interpreta subhani dicendo che quando Abu Yazid era in stato di ebbrezza, perse il suo Sé, e il lume della sua ragione scomparve davanti al sole luminoso di Dio. Dio pronunciò sulla sua lingua le parole “Gloria a Me! Come è grande la mia maestà!” e “Non c’è altro Dio all’infuori di Me; quindi adoratemi!” Che Dio parli con la lingua umana è dimostrato dal fatto che le Sue parole nel Corano sono state pronunciate dalle labbra di Muhammad.

“Colui che è soggiogato dalla Nostra grazia non è costretto; no, sceglie liberamente di adorarci. Infatti, l’obiettivo del libero arbitrio è fluttuante…”

(Rumi, Mathnawi, volume 4, versi 401-402)

Questi versi significano che il libero arbitrio dell’uomo è relativo…

Altrove, Rumi si rammarica che in passato i Sufi come Abu Yazid e al-Hallaj abbiano sofferto per mano dei loro contemporanei per le loro paradossali espressioni. Come amanti di Dio, hanno sofferto il dolore. Il Corano dichiara: “uccidevano i Profeti ingiustamente”. (Corano, 2: 61) Ma fu un bene che soffrissero; perché hanno sofferto il dolore come fa il legno di aloe (‘ud) quando viene messo nel fuoco. Rumi, tuttavia, esprime la sua soddisfazione per il fatto che, sebbene ciascuno dei versi composti dai maestri Sufi ai suoi tempi contenga migliaia di ana al-haqq e subhani, nessuno ha l’audacia di dire una parola contro di loro.

Mahmud Shabistari (morto il 720/1320), autore del famoso Gulshan-i Raz, non menziona il subhani, ma la sua interpretazione dell’ana al-haqq di Hallaj è ugualmente applicabile al subhani di Abu Yazid. Shabistari afferma che in uno stato di totale altruismo, al-Hallaj ha realizzato l’assoluta unicità di Dio in modo che non rimanesse per lui alcuna distinzione tra ‘Io’, ‘Tu’ e ‘Lui’. In questo stato, al-Hallaj gridò: “Ana al-haqq”. Queste non erano altro che parole di Dio; perché, chi può dirle se non Lui? Era lecito per al-Hallaj pronunciare queste parole, perché, se il roveto ardente poteva dire: “Io sono Dio” (Corano, 20:14; questo si riferisce alla storia Coranica del discorso del roveto ardente a cui Mosè fu testimone), perché dovrebbe essere illegale per un buon uomo dire, “Ana al-haqq”?

E per concludere diamo la definizione della shath di Ruzbehan Baqli, un mistico Sufi Persiano:

“La shat è prima di tutto un movimento. È un movimento che ha il suo proprio eccesso, perché arriva al punto di far traboccare ogni realtà e di farla uscire dal suo posto. Il paradosso è una forza estatica, che decentra il soggetto che ne è posseduto. Ruzbehan lo indica come un gran movimento. Nel paradosso c’è, innanzitutto, un elemento dinamico e di potenza che mette in movimento dallo stato di quiete qualcosa che diverrà. Questo movimento si riferisce anche ad una identità incompiuta, ponendosi come una preoccupazione di ordine etico e storico. D’altra parte, nella shat c’è qualcosa che appartiene all’ordine dell’eccesso, che proietta l’oggetto oltre il suo luogo di radicamento verso un altrove che lo trascende. Questo spostamento del sé, questo movimento di trascendenza oltre se stessi, è il paradosso.”

Note

  1. MohdFakhrudin Abdul Mukti, The Mysticism of Abu Yazid Al Bastami, pag. 24
  2. KornerFelix, La riscoperta dell’identità religiosa: Un dialogo interdisciplinare, pag. 87, 2013

Bibliografia

Muhammad ‘Abdu-r-Rabb, Abu Yazid al-Bistami: His Life and Doctrines, pag. 235-242; 292-298, 1970

Muhammad Ibn ‘Ali al-Sahlaji, Il libro della luce. Fatti e detti di Abu Yazid Al-Bistami, 2018, trad. N. Norozi.

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