L’harmal di esfand nel misticismo Sciita

L’harmal di esfand nel misticismo Sciita

 

Peganum harmala, Harmal, Harmel, Isphand, Esfand, Espand, Üzerlik, la Ruta Siriana è una pianta veramente sacra.

 

La Ruta selvatica nella letteratura mistica Sciita

 

“Brucia i lupi come l’esfand perché questi lupi sono i nemici di Giuseppe” (Rumi, Masnavi, Libro II, verso 128)

[Significa che bruciare i semi della ruta selvatica si produce un incantesimo contro il malocchio dell’invidioso, al quale Giuseppe, per la sua bellezza superiore, era particolarmente esposto. Perciò, il poeta Rumi invita a respingere i nemici malvagi dei santi bruciandoli come la ruta, nel fuoco della vostra ripugnanza. Per Giuseppe e il lupo, vedere Corano, 12.17]

 “Siamo riuniti gaiamente e il cuore è gioioso, brucia l’esfand per allontanare il malocchio.” (Rumi, Masnavi, Libro VI, verso 945-946)

“Ho portato l’esfand contro il malocchio, ma il malocchio ha cercato di raggiungere lo stesso esfand.” (Rumi, Masnavi, Libro VI, verso 2804)

La consapevolezza iraniana delle proprietà del Peganum harmala

Gli antichi Iraniani credevano nella realtà di un mondo spirituale e sulla necessità di ottenere informazioni da esso. Divennero consapevoli che l’armalina avesse il potenziale farmacologico atto allo scopo.

Il Peganum harmala non sfuggì all’attenzione degli antichi Iraniani. Nella medicina popolare Iraniana odierna, si riconosce all’Harmel le sue proprietà psicotrope; si ritiene che ingoiare un’infusione dei semi produca follia.1 Le proprietà inebrianti della pianta sono riconosciute nei suoi nomi vernacolari tra i popoli vicini, ad esempio nell’Arabo mogannana (Ducros 1930) ‘ciò che rende pazzo’ e nel Turco mahmur çiç[eği] (Bedevian 1936) ‘fiore sognante’. Non abbiamo prove antiche che classifichino le piante come intossicanti, perché non sopravvivono scritti Iraniani pre-Islamici sulla farmacognosia. L’etnofarmacologia dei primi Iraniani era apparentemente ben sviluppata, e tuttavia, contribuì molto alla conoscenza Islamica delle droghe. L’effetto intossicante dell’harmala è riconosciuto da alcuni dei primi farmacologici Islamici, a titolo di esempio, da Abu Jurayj (circa il 900 d.C.) nel Kitab al-Hawi fi al-tibb (“Il libro che raccoglie le notizie sulla medicina”) di Abu Bakr M. ibn Zakariya’ al-Razi, mentre personaggi autorevoli citati da Ibn Baytar (vedi sotto) sostengono che il Peganum harmala “intossica come il vino”. Questa convinzione riflette le antiche opinioni Iraniane sulla pianta; infatti, il potere intossicante non è menzionato da Dioscuride (78 d.C.) o da Galeno (180 d.C.), autori Greci, le cui opere tradotte in Arabo intorno all’850 d.C. costituivano il nucleo della farmacologia sistematica Islamica.

  1. Un estratto diharmala ottenuto dall’ebollizione nell’aceto viene ancora usato per il mal di denti nell’Iran centrale. Il dott. Mahmud Omidsalar, citando un racconto della sua prozia, narra che a quest’ultima durante la sua infanzia, le fu somministrato una volta questo farmaco, ma lo ingoiò accidentalmente tutto, nonostante gli avvertimenti che esso potesse portare alla follia. Ricordò che “vide muoversi tutto davanti a sé, e avvistò anche dei pozzi nella terra”. Sebbene potesse capire, fu incapace di parlare per l’intera giornata che passò in gran parte addormentata. Ivanov e altri (1965) riportano che si trattava di un estratto acetico diluito al 98% con semi di harmel alcaloidi.

Il compendio più esteso delle conoscenze farmacologiche Islamiche è il Kitab al-Jami’ li-mufradat al-adwiya wa al-aghdhiya, scritto da Ibn Baytar a metà del XIII secolo. Di seguito sono riportati i contributi sull’harmal (con alcuni riordini di sottosezioni) del suddetto lavoro (ed. Cairo 1967; cf. Leclerc 1877-1883: 1, 423; Sontheimer 1842: 1, 217-219):

[A. La pianta Harmal]

Di seguito sono riportati i contributi sull’harmal

[La traduzione Araba di] Dioscuride [dichiara]: “Questa pianta cresce in Cappadocia e in Galazia, è chiamata muly: alcuni la chiamano Ruta Selvatica (Sadab yayr bustani). Questo arbusto ha molti gambi che si estendono da una base. Il suo fogliame è più lungo, più morbido e più fortemente profumato delle foglie della ruta comune da giardino (Ruta Graveolens), e il fiore è bianco, e la testa è un po’ più grande della testa della ruta da giardino, è triangolare e contiene i semi, è di colore rossastro, ha tre angoli ed è intensamente amaro. I semi sono ciò che viene utilizzato. Maturano in autunno. Mescolato con miele, vino, bile di pollo, zafferano e succo di finocchio, è utile per la vista debole. Alcuni lo chiamano harmala, i Siriani lo chiamano basasa e la gente della Cappadocia lo chiamano muly perché ha una radice nera e i fiori bianchi. Cresce sulle colline e in luoghi fertili.

Abu Hanifa al-Dinawari [Filologo Arabo che scrisse Il libro delle piante (Kitab at-Nabat) all’incirca nel 895 d.C.] afferma: “L’Harmal è di due tipi. Un tipo ha il fogliame simile al salice Egiziano, ha i fiori bianchi e profumati come i fiori di gelsomino. L’olio di sesamo e l’olio di semi di moringa diventano fragranti con questo fiore. Il suo odore non somiglia all’odore delle olive. Il suo seme è in una capsula come la capsula di Cassia. L’altro tipo è chiamato isfand in Persiano. Questa capsula è rotonda e l’altra è lunga. La capsula è il recipiente che contiene i semi.”

Ibn Samajun, medico e farmacologo di Cordoba [morto il 1001 d.C.] disse: “Ce ne sono due: uno bianco e uno rosso. Il bianco è l’harmal Arabo, chiamato in Greco muly, e il rosso è noto come harmal comune, e si chiama isfand in Persiano.”2

  1. L’harmalrosso e bianco si distingue per il colore delle capsule dei semi. Né il colore, né la rotondità delle capsule, sembrano avere un’autentica rilevanza tassonomica, tuttavia, nella disciplina medica Islamica non è fatta alcuna distinzione pratica tra l’harmal rosso e bianco, o tra l’harmel “comune” o “Arabo”.

[B. Proprietà farmacologiche]

Galeno: “È caldo e secco nel terzo grado. Allenta gli umori viscidi densi e li rimuove attraverso l’urina.”

Masih al-Dimashqi [circa 850 d.C.]: “Il seme espelle i vermi solitari dall’intestino. Si usa contro la colica, la sciatica e la coxalgia facendo una compressione pubica. Purifica il torace e i polmoni dal muco viscido e dissipa la flatulenza viscerale.”

‘Isa ibn Massa [9° secolo d.C.]: “All’ospedale di Marw usiamo il seme per espellere la bile nera e vari tipi di muco attraverso la diarrea. È di grande utilità nel trattamento dell’epilessia.”

Al-Razi [morto il 935 d.C.]: “L’harmal ostruisce e interrompe il dolore. Provoca il flusso mestruale e delle urine. Alcuni medici affermano che un’infusione scioglie la bile nera, purifica il sangue e ammorbidisce l’utero.”

Ibn Wafid [morto il 1074 d.C.]: “È utile a coloro che sono posseduti dall’amore (ashab al-’ishq) perché induce intossicazione e sonno.”

Ali ibn Rizayn: “È utile per i raffreddori del cervello o del corpo.”

Anonimo: “Schiarisce la carnagione. Propende al coito. Ingrassa e stimola la mestruazione e la minzione.”

Altro: “Un mithqal e mezzo di seme polverizzato preso per 12 notti è efficace contro la sciatica. Quando non è disponibile, si possono usare semi di cardamomo di uguale quantità.”

[C. Preparazione]

 

Hubaysh ibn al-Hasan [morto l’880 d.C.]: “Provoca vomito e intossicazioni come il vino o quasi. Eccone l’utilizzo come vomitivo: lava più volte cinque dracme3 di semi in acqua dolce e asciugali, poi pestali in un mortaio con un pestello di legno e setacciati attraverso una trama di lino ruvida. Versa quattro once di acqua bollente sopra [i semi polverizzati]. Pestali in un mortaio di legno, passali attraverso una tela di lino grezzo e scartane il residuo. A questa infusione aggiungere tre once di miele e due once di olio di sesamo. È quindi pronto per l’uso e induce un forte vomito.”

Ishaq ibn ‘Imran [morto il 901 d.C.]: “Si mettono due parti di esso in un recipiente con 30 parti di vino e lo si tratta finché un quarto di esso evapora. Dieci dracme possono quindi essere successivamente somministrate quotidianamente agli epilettici. Può anche essere somministrato per tre giorni consecutivi a una donna che ha concepito almeno una volta, ma non è in grado di concepire di nuovo. La prova che la medicina funziona è che induce il vomito.”

  1. Pugno, mano piena di semi.

Corrispondenze tra l’Harmel e il Sauma nella funzione apotropaica

Nel corso della storia dell’Iran Islamico fino ai giorni nostri, l’isfand, cioè, il Peganum harmala, è stato considerato soprattutto per il suo potere apotropaico ed è stata la pianta principale dotata di tale potere. Le allusioni ad esso nella primissima Nuova letteratura Persiana mostrano che questa è una continuazione della credenza pre-Islamica.

In particolare, la combustione dei semi di Peganum harmala è menzionata frequentemente nella poesia Persiana Classica e si trova nelle opere di Nasir-i Khusraw, Attar, Khaqani, Sa’di, Jami e molti scrittori meno famosi. Nella moderna letteratura etnografica e geografica è regolarmente registrata come una pratica in cui ancora ci si imbatte nell’area Iraniana. Lo scopo di bruciare questi semi non è la stregoneria: i semi vengono gettati nei bracieri non principalmente per secernere fumo, grasso, nero, o altro, ma per il suono schioccante e i fumi pungenti che si sprigionano, il cui risultato non è invocare i demoni ma, al contrario, liberarsene.4 I semi vengono bruciati apotropaicamente in tutte le occasioni in cui ci sono particolari pericoli di influenze maligne: matrimoni, nascite, malattie e circoncisioni, così come quando ci si sente vigorosi e gioiosi, e ogni volta che c’è il sospetto del malocchio. I semi di Harmel rappresentano anche gli elementi critici di numerosi amuleti, e le capsule contenenti i semi sono messe insieme per esporre la panja (vedasi Figura 1) nelle famiglie tradizionaliste Iraniane (cf. Watson 1979: 248)

  1. Cf. L’odio espresso ironicamente come “l’amore deijinn per l’harmal” nelle informazioni Arabe Nordafricane di Vonderheyden (1937: 360). Quest’ultimo riporta anche (senza citare la sua fonte apparente: Legey 1926:14, 93) che le donne di Tlemcen gettano l’harmal sulla porta di casa e sulle spalle dicendo: “L’harmel è sacro, o Profeta di Dio, proteggici dai jinn maschi e femmine” (“Lharmel harma, ia rasul Allah, T’ahdina men djenn ou djennia”. Questa affermazione che il Peganum harmala è sacro esprime la stessa nozione del vecchio nome Iraniano spanta – e suggerisce che l’importanza della pianta nella religione popolare Islamica del Nord Africa (per cui si veda, ad esempio Westermarck [1926]; Vries [1985]) potrebbe, in ultima analisi, essere di origine Iraniana. Infatti, l’antico Berbero hurma (Ruta Siriana) che deriverebbe dall’Arabo harmal, affonda la sua radice etimologica in haram (sacro e vietato); così come isfand derivi dall’antico Persiano spanta, santo.

Figura 1. Panja, costituito da capsule di Harmel infilate da un quadrato di stoffa.

Dal momento che l’uso apotropaico del Peganum harmala in Iran è antecedente all’Islam, bisogna chiedersi quale fosse il significato di bruciare i semi nell’epoca precedente. Dal solito punto di vista Islamico, in seguito al rigoroso monoteismo che era assente dalla precedente cultura Iraniana, la capacità di scacciare i demoni, abitualmente imputata al Peganum harmala in Iran, non preoccuperebbe le questioni religiose. Nel mondo concettuale dualistico dell’Iran Islamico espresso nello Zoroastrismo, il potere di respingere il male sembra essere l’essenza stessa della religione. È difficile credere che una pratica di lunga data a cui si attribuisce il merito di aver raggiunto questo scopo, non sia stata utilizzata all’interno dello Zoroastrismo. Dato che lo scopo dell’uso abituale dell’harmel è identico allo scopo apotropaico della stessa religione Zoroastriana, la combustione dei semi di harmel sarebbe stata considerata un’attività religiosa nell’Iran pre-Islamico.

L’attuale combustione apotropaica dell’harmel è accompagnata dalla recitazione di versi formulaici, il cui contenuto rivela l’atteggiamento essenzialmente religioso mostrato nei confronti della pianta. Questi versi affermano che l’uso dell’harmel è sancito dalle fonti più venerate dell’autorità religiosa nell’Iran Islamico.

Esfand e sepand:

Il nostro Profeta l’ha scelto,

Ali l’ha piantato. Fatima lo raccolse

Per Husayn e Hasan.

Tutti quelli che sono nati il sabato.

La domenica, o il lunedì,

Il martedì, o il mercoledì,

Il giovedì o il venerdì;

Sottoterra, in superficie:

Occhi neri, occhi azzurri, occhi di corvo, occhi di pecora;

Tutti quelli che hanno guardato, tutti quelli che non l’hanno fatto;

Vicino a sinistra, vicino a destra;

Davanti alla faccia, dietro la schiena;

Che l’occhio dell’invidioso e dell’invidia possa schiattare.5

Semi di esfand e esfandesfand di 33 semi,

Per parenti, amici e sconosciuti,

Per tutti quelli che escono dalla porta, per tutti quelli che entrano dalla porta,

Che l’occhio degli invidiosi e dell’invidia sia cieco!

Nato il sabato, nato la domenica, nato il lunedì.

Nato il martedì, nato il mercoledì, nato il giovedì, nato il venerdì.

Chi l’ha piantato? Il Profeta. Chi l’ha raccolto? Fatima.

Per chi lo fanno fumare? Per l’Imam Hasan e l’Imam Husayn.

Per la grazia del Re degli uomini, si allontani la sfortuna e il dolore.6

  1. 5. Alludendo allo scoppio dei semi mentre vengono gettati sul fuoco di un braciere.
  2. 6. Questi versetti sono tradotti da S.Hedayat(1933: 43-44). Versi simili si vedano in E. W. Lindquist (1936: 174, n. 36), B. Donaldson (1938: 21), H. Massé (1938), H. Izadpanah (1964: 5), J. Safinazad (1966: 414), I. Shokurzade (1967: 241; 1974: 77), and N. A. Kisljakov and A. K. Pisarchik (1970: 268). Alcuni esempi inediti, collezionati dal Dr. Mahmoud Omidsalar nell’Iran centrale nel 1976, sono i seguenti:

(a) Da Lenjan-e Tat, 300 km a sud-est di Isfahan: esmand-o seband si o se dūne esmand /peiyambar-i ma ferestade bar šahr-i yaman / hamsaye-ye das-i ras, hamsaye-ye das-i čap /hamsaye ye rūberū, hamsāye-ye post-i sar / betereked čašm-i hasūd o hasad. “Esmand e seband, tre e trenta semi di esmand, / Il nostro Profeta vi ha mandato per il bene della terra dello Yemen. / Vicino a destra, vicino a sinistra, / Vicino davanti, vicino di dietro. / [A questo punto i semi sono messi nel fuoco] Che l’occhio dell’invidioso e dell’invidia scoppi”. [I semi e le ceneri bruciati vengono poi inumiditi con lo sputo e strofinati sul palmo della mano destra del bambino a cui sono stati recitati i versi. Altre ceneri vengono strofinate sulla pianta del piede sinistro e dalle sopracciglia fino alla punta del naso.]

(b) Da Firuzi, vicino Abade: esfand-e dūne dūne / ye dūne sad dūne / češm-e hasud betareke. “Esfand, seme per seme. / Un seme, un centinaio di semi. / Che l’occhio dell’invidia possa scoppiare.”

(c) Da Najafabad-e Tat: espand o espand-dūne / expand si o se dūne / be haqq-i xodā-i yegūne / Mohammad kāštes. Ali čides / Fateme barā Hasan o Hoseyn-eš dūd kardes / nām-ī xodā, nām-ī rasūl / betereked češm-i hasūd o hasad. “Semi di espand e espand, / Trenta e tre semi di espand, / Per la grazia dell’Unico Dio. / Muhammad l’ha piantato. ‘Ali lo raccolse. / Fatima lo fece fumare per l’amore di Hasan e Husayn. / Nel nome di Dio, nel nome del Profeta / Possa l’occhio degli invidiosi e dell’invidia scoppiare!”

(d) Dalla zona di Bushehr: esband o esband dūne / esband si o se dūne / čašme xiš o bīgūne / harke esmet bedūne / harke esmet nadūne / betarake čašme hasud o hasad. “Semi di espand e espand. / Trenta e tre semi. / L’occhio di un parente o di un estraneo. Chiunque conosca il tuo nome, / Chiunque non sappia il tuo nome. / Possa scoppiare l’occhio dell’invidioso e dell’invidia.”

(e) Dalla zona di Isfahan: esband o namak / šas o šiš dūneye band / Mostafā sūxte kard bahr-ī Yaman / betereked češm-i hasud o hasad, ‘Esband e sale / Sessantasei semi legati (insieme su una cordicella) / Muhammad li bruciò per amor dello Yemen. / Possa esplodere l’occhio dell’invidioso e dell’invidia / [Con la recita dell’ultimo verso, un seme, insieme al sale, viene messo nel fuoco per ogni persona sospettata di aver lanciato il malocchio.) (M. Schwartz ricostruisce l’originario inizio di questo versetto esband o namak / namak o esband /, con rima / šaš o šiš dūneye band/.)

Versetti simili rivolti alla stessa pianta harmel. Un esempio calzante sono i seguenti versetti in Turco Azari indirizzati all’Üzerlik (il principale nome Turco della pianta):

Tu sei Üzerlik, tu sei l’aria [profumata con Üzerlik].7

Tu sei il rimedio per mille malattie.

Ovunque tu abbia trovato il malocchio e la malattia spariranno.

Üzerlik, seme per seme, possa essere versato per salvare il corpo.

Che sia un parente o un estraneo, che il suo occhio sia bruciato nel fuoco.

Üzerlik di color aureo, il tuo vestito è bianco. Üzerlik.

  1. Hüseyin Kazim Kadri 1927: 383-384, in cui si afferma che i versi sono apparsi per la prima volta sulla rivista Mulla Naşruddin (pubblicata a Baku dal 1906 al 1911). Il Professor Hasan Javadi ha gentilmente fornito la traduzione.

Nei versetti popolari sopra citati, si dice che l’uso apotropaico del Peganum harmala abbia avuto origine con le figure primarie dell’Islam Sciita, vale a dire con il Profeta, Ali, Fatima, Husayn e Hasan. L’associazione della pianta a questi personaggi sembra rappresentare una sistemazione di antiche credenze popolari alla religione ufficiale; in questo caso, non a seguito di concessioni da parte dei teorici della dottrina Musulmana, ma come uno sviluppo spontaneo all’interno della stessa religione popolare. L’attribuzione di atteggiamenti folcloristici diffusi verso l’harmel da parte dei fondatori dell’Islam, si manifesta anche nella letteratura ufficiale dell’Islam Sciita, in particolare nell’Hulyat al-muttaqin di Muhammad Baqir Majlisi (morto il 1699)8, probabilmente il più eminente teologo dello Sciismo Iraniano. In base alla sua autorità dobbiamo concludere, che il posto dell’isfand nella tradizione Iraniana non deve essere paragonato a semplice stregoneria.

  1. 8. Capitolo 9, part 12 (Tehran, edizione del1371q. pp. 220-221; edizione del1341š, p. 191), cited by I. Shokurzade (1967; 220 4).

Il Profeta racconta che su ogni foglia e seme della pianta di isfand è nominato un angelo, in questo modo attraverso la sua corteccia, le sue radici e i suoi rami, il dolore e la stregoneria sono respinti.9 Nei suoi semi c’è la cura per settantadue malattie. Perciò, fate un trattamento medico con isfand e incenso [kundur].

Il santo Sciita Gia’far al-Sadiq racconta che il Diavolo risiede in una casa lontana settanta case da quella in cui c’è l’isfand. È un rimedio per settanta malattie, di cui la più facile è la xūra [lebbra nera?]

In un altro racconto il Profeta si lamentava con Allah che il suo popolo era codardo. Gli giunse una rivelazione che ordinava al suo popolo di ingerire l’isfand poiché tramite esso, diventasse coraggioso.10 Ordinò che fosse l’incenso [kundur] scelto dal Profeta. Nessun fumo sale in cielo più rapidamente del suo fumo, che scaccia i demoni e scongiura le disgrazie.

  1. 9. Anche le fonti Sunnite riportano questo hadith: vedi L. Leclerc (1874: 137n.), M. Vonderheyden (1937: 460), e L. Trabut (1935: 186).
  2. 10. Questo hadith è chiaramente di origine Persiana piuttosto che Araba. Sembrerebbe una spiegazione dei “Magi” secondo cui gli eserciti Arabi conquistarono nel settimo secolo l’Iran Sasanide soltanto dopo che la vigliacca “gente di Muhammad” assunse il sauma. Il coraggio è spesso associato all’intossicazione di armina provocata dal consumo di yagé (ayahuasca).

Le testimonianze riguardanti il Peganum harmala nel suo contesto Islamico, fornite dai tre testi che abbiamo esaminato in precedenza — i versetti popolari Iraniani, l’invocazione Azari dell’Üzerlik e gli hadith raccolti da Muhammad Baqir Majlisi — possono ora essere paragonate all’haoma nell’Avesta:

Il Peganum Harmala nei Testi

 

dell’Iran Islamico

L’Haoma nell’Avesta11
1. L’impiego è istituito da quattro persone del lignaggio del fondatore della religione:
L’istituto dell’isfand (compresa

 

la semina, la raccolta e la combustione) è attribuita a Muhammad

(e/o ‘Ali), e Fatima, la figlia di

Muhammad, per l’amore dei suoi figli

Husayn e Hasan.

Quattro persone, Yima, Athwya, Thrita

 

e il padre di Zarathushtra Pourushāspa,

sono elencati come predecessori di

Zarathushtra nell’istituzione dell’uso

dell’Haoma (Yasna 93-14).

2. È approvato direttamente da Dio:
Allah comanda a Muhammad di usare

 

l’isfand.

Ahura Mazdah creò l’Haoma

 

(Yasna 10.17; 11.8).

Ahura Mazdah impegnò l’Haoma con la

religione Zoroastriana (Yasna 9.26).

3. Porta benefici apotrofici alla casa in cui è tenuta:
Il Diavolo risiede in una casa lontana

 

settanta case da quella in cui c’è

l’isfand.

L’Haoma dovrebbe essere presente in una casa

 

ahurica affinché i demoni fuggano da essa (Yasna 10.1).

“Lascia che la contaminazione, non appena si

manifesta, svanisca da quella casa, non appena

si produce… Haoma” (Yasna 10.7)

4. Infonde coraggio:
Il popolo di Muhammad è reso

 

coraggioso dall’isfand.

“L’Haoma dà coraggio” (Yasna 9.22).

 

“(Haoma) Ti invoco per il coraggio

e per la vittoria del mio corpo e per la forza

che porta la salvezza a molti” (Yasna 9.27).

5. Espelle mille demoni/malattie:
Üzerlik, tu sei il rimedio

 

per mille malattie.”

La minima estrazione, lode o ingestione

 

di Haoma uccide mille demoni (Y. 10.6)

6. Sostiene l’epiteto ‘dorato/giallo’:
“Il Colorato in oro [altunÜzerlik.” “Il Giallognolo [zairiHaoma” (Yasna 9.16, ecc…).12
  1. 11. Al fine di preservare l’ambiguità testuale dell’haomanei testi Avestici, la parola può essere maiuscola, sia che si riferisca o meno a una personificazione.
  2. 12. Oro/giallo è il colore dell’harmeldurante la maggior parte della stagione secca in Medio Oriente, come ha notatoViktorov (1973): “La crescita del Peganum harmala  è identificabile dall’aspetto: verde scuro in estate, un caratteristico colore arancione dorato in autunno”.

L’hadith Sciita citato in precedenza riferisce che Dio ordinò a Muhammad di far ingerire al suo popolo l’isfand per infondergli coraggio. Questo hadith è interessante perché è seguito dalla raccomandazione che l’isfand non sia necessariamente ingerito, ma bruciato. L’hadith conclude: “Ha ordinato che [l’isfand] sia l’incenso scelto dal Profeta. Nessun fumo sale in cielo più rapidamente del suo fumo, che espelle i demoni e scongiura le disgrazie”. Poiché l’hadith è prescrittivo, il consumo di isfand da parte dei seguaci di Muhammad sembra essere menzionato per incoraggiare la combustione della pianta. Un altro hadith citato afferma che “un angelo è nominato sopra ogni foglia e seme di isfand”, ma anche in questo caso, il simbolismo morale indica che si dovrebbe bruciare l’isfand. In che modo il rapporto tra l’ingestione e la combustione di isfand sia stato inteso da coloro che abbiano sentito questi hadith non è immediatamente ovvio. Tuttavia, a noi interessa che nelle tradizioni Iraniane l’ingestione e la combustione erano ritenute avere lo stesso effetto.

L’harmal di isfand (Peganum harmala) ingerito da solo è enteogenico, e intimamente legato agli Imam Sciiti, ma si può anche attivare attraverso l’ingestione sottocutanea della sua tintura. Tuttavia, le fonti Sciite affermano i benefici dell’ingestione di esfand o del suo succo. Per esempio, bere un po’ di succo di esfand per quaranta mattine porta saggezza e fortifica il bevitore contro settanta malattie (Qomi, I, pag. 245).

 

Nota: Gli sciamani Hunza nel nord del Pakistan, Sciiti Ismailiti, inalano i vapori di harmel, che chiamano supándur, con lo scopo di “chiamare gli spiriti”, durante il loro stato di trance.

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