Naqshibandiyya e Sciismo tra il 14° e il 16° secolo

Naqshibandiyya e Sciismo tra il 14° e il 16° secolo

Nell’undicesimo secolo la violenza tra i vari gruppi Musulmani emerse prepotentemente nelle molteplici contrade del mondo Islamico. A Baghdad, si scontravano intensamente i Sunniti Hanbaliti e gli Sciiti, mentre nella regione orientale del Khorasan vigeva un conflitto settario intersunnita tra gli Hanafiti e gli Sciafiiti. In questo contesto di crescente intransigenza e di violenza, il Sufismo salì gradualmente alla ribalta, grazie alla sua robusta ed esplicita posizione anti-settaria.

Con la caduta del potere Abbaside, le comunità Sufi si sostituirono in certe funzioni governative al Califfato adottando i loro titoli regali. Per esempio, il titolo di Shah adottato dalle guide spirituali coincideva con lo stesso titolo che si fregiava la dinastia Sciita Buyide (932-1062).

Col tempo, i Naqshibandi riformularono un nuovo concetto di pietà per scongiurare in tal modo la divisione Sunnita-Sciita; così, in gran parte del mondo Islamico tra il XV e il XVI secolo, emerse un pensiero religioso Sufi che ridefinì particolarmente il panorama dell’Islam Orientale.

Fakhr al-Din Kashifi

L’opera intitolata “Rashahat ‘ayn al-hayat” (Gli spruzzi dalla Fontana della Vita) di Fakhr al-Din Kashifi (morto nel 1532), una biografia del XVI secolo raccolta dai maestri Sufi Naqshibandi, segnò un significativo cambiamento di prospettive nelle pratiche della confraternita, o meglio un ritorno alle origini.

L’autore del “Rashahat” è il figlio del famoso e poliedrico predicatore Naqshibandi, Husayn Waiz al-Kashifi (morto il 1504), noto per le sue dissertazioni sul Sunnismo e sullo Sciismo. La sua esegesi sul Corano era popolare tra i parlanti persiani dell’Iran orientale e dell’India settentrionale, la cui stragrande maggioranza era Sunnita, mentre i principali temi e i riferimenti filosofici negli scritti di famiglia si ispiravano allo Sciismo.

L’intenzione esplicita del “Rashaḥat mirava a collegare gli antichi Khwajagan (pl. di khwaja, rispettabile maestro), i proto-Naqshibandi, con i luminari Sunniti e Sciiti. L’Alidismo è un modello di riferimento nel testo e gli esempi sono numerosi, ma anche la polemica e la critica allo Sciismo non è sottaciuta. Con un colpo da maestro, Kashifi storicizza entrambi i credi e le ideologie riducendoli ad attori umani, una mossa strategica necessaria per strumentalizzare il passato come causa delle preoccupazioni presenti. Egli ricostruisce le molteplici connessioni e interconnessioni tra le varie catene guida Sunnite e Sciite, tra i loro insegnanti e i loro successori nella storia dell’ordine Naqshibandi.

Il vero fondatore dell’ordine della Naqshibandiyya è considerato Abd al-Khaliq al-Ghujduwani (morto nel 1220), il quarto dei califfi di Yusuf Hamadani. Tra coloro che hanno istruito le sue guide c’era il pronipote del Profeta, l’Imam Sciita Gia’far al-Ṣadiq, che era morto nel 765, molto tempo prima che nascessero gli insegnanti di Ghujduwan. Gia’far al-Ṣadiq era un pronipote di ‘Ali ibn Abi Ṭalib e un discendente da parte materna di Abu Bakr. In altre parole, era un discendente sia della comunità Sunnita che Sciita; quindi, la fusione dei lignaggi dell’autorità Sunnita e Sciita è una caratteristica ricorrente del credo Naqshibandi.

La transizione dell’Iran da una nazione Sunnita in uno stato fortemente Sciita è attribuita da molti studiosi ad un cripto Sciismo formatosi nel Khorasan tra il 14 e il 15 secolo nei circoli Sufi.

Infatti, nel sedicesimo secolo la pratica religiosa popolare nel Khorasan si fondava su valori comuni condivisi, c’era un costante dialogo tra i seguaci dello Sciismo duodecimano e del Sunnismo, molta condivisione di pratiche devozionali e poche prove di combattimenti settari. Questo panorama condiviso incoraggiava simpatia. Il rispetto per la Famiglia del Profeta (Ahl-ul bayt); la visita ai santuari (ziyarat) dell’Imam ‘Ali a Balkh e dell’Imam Reza a Mashhad attiravano devoti Sunniti e Sciiti; la commemorazione della passione di Husayn nel giorno di Ashura; le festività generali come ‘Aid-i Fitr, ‘Aid-al-Adha e il Nawruz e quelle locali come il Gul-i Surkh (festival del fiore rosso) a Balkh, si svolgevano con un certo livello di armonia e di tolleranza. Questo quadro condiviso produceva manifestazioni insolite che gli Sciiti chiamano Sunnismo e i Sunniti chiamano Sciismo.

In questo senso, i Sufi di questo periodo non presentano il loro credo come un ibrido Sunnita-Sciita o una loro sintesi, ma come “il vero credo Sunnita”.

Lo Shaikh Khorasanese Simnani disse:

“Il vero Islam è quello dei Sunniti, la più equilibrata delle persuasioni, in cui vengono lodati i quattro Califfi giustamente guidati e la progenie di Muhammad (Ahl ul-bayt) e i suoi discepoli; nessun Musulmano è accusato di incredulità; e tutti i Profeti, le scritture e gli angeli sono rispettati, in modo che il pregiudizio confessionale sia evitato e le varie comunità possano vivere in pace.”

Simnani predicò una dottrina per trascendere le divisioni settarie. L’ideale di Simnani non era un antidoto alla dottrina Sciita, non conciliava le credenze Sciite con quelle Sunnite, ma costruiva un nuovo percorso Islamico basato sul principio della comunità e del consenso, si trattava del quinto madhhab Sunnita che era un madhhab Sufi filo-Alide, che integrava gli insegnamenti delle quattro scuole di diritto Sunnite con gli elementi di base del credo Sciita. Questo credo comprendeva tutto ciò che è esoterico ed exoterico; desisteva dalle calunnie e dalle accuse di eresia e infedeltà contro chiunque pregava verso la Ka’ba, e i suoi seguaci riverivano i loro capi religiosi, i compagni del Profeta e la sua Famiglia, e tutti i Profeti e Messaggeri.

Questa visione del mondo non settaria ammantata di terminologia Alide fu soprattutto un segno distintivo del linguaggio Naqshibandi. Difatti, mentre l’impegno Naqshibandi a favore dell’ortodossia e del consenso Sunnita è onnipresente, la sua posizione anti-Sciita è contestata.

L’esempio del poeta Naqshibandi Lami’i Celebi (876/1472 ‒ 938/1532), indica che i letterati Ottomani dell’inizio del XVI secolo erano rispettosi non solo per ‘Ali ibn Abi Talib e per la Famiglia del Profeta, ma anche per i restanti dodici Imam – e questo in un momento in cui Selim I stava portando avanti le sue campagne contro i Kizilbasci. Chiaramente, questi letterati erano i rappresentanti di un Ahl ul-baytismo più ampio che si può osservare a vari livelli tra la maggior parte degli storici. Questo Ahl-ul-baytismo il più delle volte includeva anche il rispetto per gli Abbasidi, che erano anche considerati Ahl-ul-bayt, specialmente in confronto agli Ommiadi. Sebbene Lami’i non fosse d’accordo con l’escatologia Sciita, secondo cui il Mahdi, la figura escatologica che verrà alla fine dei tempi, è il dodicesimo Imam Sciita, venerò questi Imam e si appropriò della loro eredità mentre cercava di riavvicinare gli Imam Sciiti e i Califfi Sunniti.

Lami’i è stato sicuramente uno dei pionieri dell’Ahl-ul-baytismo Ottomano. In effetti, dal suo esempio e da quello di molti altri intellettuali, diventa chiaro che l’identità Sunnita degli Ottomani non era stata ancora stabilita saldamente all’inizio del XVI secolo. Piuttosto, è stata costruita principalmente dai giuristi Ottomani dei decenni successivi. È stimolante chiedersi come si sarebbe evoluto il Sunnismo Ottomano se non ci fosse stata un’imminente minaccia Safavide. Tuttavia, anche di fronte alla minaccia Safavide, gli intellettuali Ottomani non abbandonarono mai l’Ahl-ul-baytismo; quindi, è probabile che se non ci fosse stata una simile minaccia il confine tra i Sunniti Ottomani e gli Sciiti duodecimani sarebbe stato molto sfocato.

Il Sultano Ottomano Murad III

Il pio Sultano Ottomano Murad III (1546 ‒ 1595) fu iniziato nella fratellanza Naqshibandiyya da Ahmed Sadiq Taskandi, un venerabile sayyed di Bukhara, a cui il Sultano affidò la traduzione in turco del “Rashahat ‘ayn al-hayat”.  Murad III, però, era un Naqshibandi che trascendeva le divisioni settarie ed iniziò ad educare i suoi figli con la biografia del Profeta detta “Sirat al-Bakri” di Abul Hassan al-Bakri che aveva una certa popolarità tra gli intellettuali Sciiti. In ogni caso, il racconto di al-Bakri non è semplicemente propaganda Sciita poiché parla rispettosamente anche dei Califfi riconosciuti dai Sunniti. Tuttavia Abu Bakr, ad esempio, è raffigurato semplicemente come un compagno e un amico di Muhammad, mentre ʿAli è ritratto come un santo virtuale. Tuttavia, perché Murad III, un Naqshibandi Sunnita, ha sostenuto un’opera ispirata al racconto di al-Bakri, noto per le sue simpatie Sciite?

La storia dell’identità Alide della Naqshbandiyya è un argomento dibattuto. Infatti, la scelta anomala ed esclusiva dei Naqshibandi di eseguire lo dhikr silenzioso diversamente dagli altri rami che optarono anche per lo dhikr vocale, è uno dei tanti esempi. Nella tradizione Naqshibandi si ritiene che fu il Profeta Khidr ad iniziare Ghujduwani sul sentiero Sufi esentandolo dalla pratica dello dhikr vocale in favore dello dhikr silenzioso. In tal modo, Ghujduwani contravvenne alla pratica di Khwaja Yusuf Hamadani che lo introdusse nella comunità Khwajagan, e di conseguenza, trasmise lo dhikr silenzioso a Baha’ al-Din Muhammad Naqshiband.

Questa confraternita ha subito molti cambiamenti di nome, ma quando si chiamava ancora Khwajagan, l’ordine praticava lo dhikr silenzioso nelle sessioni private, ma ricorreva alla cantillazione vocale trasmessa dall’Imam Ali in pubblico. L’adozione del solo dhikr silenzioso segnò l’inizio della comunità Sufi Naqshbandiyya. Ali Asghar Mu’iniyan dichiara che solo nel XVI secolo si alterarono le modalità di esecuzione dello dhikr.

Questo cambiamento dimostra che questa catena iniziatica è stata creata a scapito dei rami paralleli dei Khwajagan che non conducono a Baha’ al-Din Muhammad Naqshiband riflettendone le sue controversie interne. Infatti, gli studiosi concordano che il periodo Khwajagani era caratterizzato da gruppi locali multipli vagamente correlati tra loro: essi non articolavano un’eredità o una pratica comune, la successione della direzione non era ereditaria e si era in presenza di più leader Sufi locali di pari status, la varietà delle posizioni differiva circa la pratica e l’accettazione del dhikr silenzioso o vocale, come pure della khalwa o dell’isolamento contemplativo e del suhbat (compagnia), inoltre, mancava un’istituzione centralizzata comunitaria come la khanqah.

Khwaja ‘Ubayd Allah al Ahrar

Al contrario, il periodo Ahrari della Naqshibandiyya è caratterizzato dallo sviluppo dell’autorità degli Shaikh e da principi più unificanti di dottrina e di pratiche, l’organizzazione divenne strutturata e centralizzata, l’attivismo politico si sviluppò e gli Shaikh furono coinvolti nelle decisioni economiche. Questa strategia permise a Khwaja ‘Ubayd Allah al Ahrar (1404-1490), il protagonista del Rashahat di Kashifi, di diffondere la Naqshbandiyya nelle varie contrade del mondo Islamico, e favorì il suo ruolo di intermediario tra i discendenti dell’Imam Ali e i Timuridi come le sue lettere testimoniano.

A tal proposito, un aneddoto di ‘Ubayd Allah Ahrar circa la maledizione Sciita di Abu Bakr narra:

“Un maestro Sufi si trovava nel territorio dei rafidi. Un gruppo di estremisti eretici si era riunito attorno al suo seguito maledicendo Abu Bakr. I compagni dello Shaikh volevano attaccare questi molestatori, ma lo Shaikh intervenne:

‘Non fategli del male, perché non maledicono il nostro Abu Bakr. Il nostro Abu Bakr è diverso dal loro Abu Bakr. Il loro immaginario Abu Bakr approdò al Califfato immeritevolmente e fu ostile al Profeta e alla sua Famiglia; anche noi ripudiamo il loro Abu Bakr.’”

Khwaja Muhammad Parsa

Il vero Sufi tiene i discendenti di ‘Ali nella massima stima è scritto in un rashḥa. Nei suoi scritti, Khwaja Muhammad Parsa (822 – 1420), il Califfo di Baha’ al-Din Naqshibandi attivo a Bukhara, venerava i dodici Imam e giunse ad accettare l’occultamento del 12 Imam Sciita, l’Imam del Tempo, un dogma dell’Imamismo duodecimano.

Khwaja Muhammad Parsa descrive dettagliatamente la sua fede nell’occultamento dell’Imam Mahdi nell’opera “Faslul Khitab”. Egli scrive:

“Abu Abdullah Gia’far, il figlio dell’Imam Ali Naqi, pensando che suo fratello, l’Imam Hasan al-Askari, non avesse un figlio sopravvissuto, affermò che suo fratello gli aveva concesso l’Imamato. Così divenne famoso col soprannome di ‘Bugiardo’ (Kadhdhab) … Il figlio dell’Imam Hasan Askari, è Muhammad, e alcuni compagni speciali erano e sono consapevoli di questo fatto.”

Dopo che raccontò l’arrivo della Signora Hakima nella casa dell’Imam Hasan al-Askari alla vigilia del 15 di Shaban, dell’anno 255 dell’Egira, l’Imam le chiese di passare la notte per la nascita dell’Imam Mahdi fino al sopraggiungere dell’alba.

La Signora Hakima disse: “Quando arrivai presso l’Imam Hasan al-Askari ho visto un neonato vestito con abiti color zafferano davanti a lui. Il suo viso era così luminoso e splendente che il suo amore si è sviluppato nel mio cuore. Così, ho chiesto all’Imam Hasan al-Askari: ‘O mio maestro! Se avete qualche informazione su questo benedetto bambino, vogliate parlamene.’ L’Imam rispose: ‘Sì, zia! È lo stesso Imam atteso di cui ci è stata data la lieta notizia.’ La Signora Hakima narra: ‘Così mi sono inchinata prostrandomi davanti ad Allah per ringraziarlo.’ Visitavo regolarmente l’Imam Hasan al-Askari. Un giorno non ho visto il ragazzo e ho chiesto all’Imam Hasan al-Askari, ‘O Maestro! Che cosa hai fatto al nostro Maestro e nostro Atteso?’ L’Imam rispose: ‘Lo abbiamo affidato alla stessa protezione che la madre del Profeta Mosè gli concesse (a suo figlio).’”

Quest’ultimo passaggio chiarisce che Khwaja Muhammad Parsa credeva nell’esistenza dell’Imam del Tempo. Credeva nella sua occultazione e sosteneva l’opinione che l’occultazione terminerà quando l’Onnipotente lo desidererà, per il compimento della lieta novella del Profeta, secondo la quale sarebbe riapparso proprio come il Profeta Mosè ricomparve a sua madre.

Khwaja Muhammad Parsa scrive a margine di questo libro circa i segni della ricomparsa dell’Imam Mahdi:

“Ci sono così tante tradizioni che non possiamo elencarle tutte. L’Imam Mahdi, il Maestro del Tempo (che è nascosto e presente in ogni epoca) ha molti meriti. Le tradizioni riguardanti la sua ricomparsa e il sorgere della sua luce si sostengono a vicenda. Egli farà rivivere la Legge di Muhammad e combatterà la guerra santa sulla via di Allah come dovrebbe essere combattuta. Purificherà la terra di Dio da un capo all’altro da impurità e mali. Il suo tempo sarà il tempo dei pii e i suoi compagni non avranno dubbi e saranno purificati dai peccati. Seguiranno la sua guida e il suo cammino. Riceveranno il riconoscimento dell’Imam del Tempo da parte di Allah. Califfato e Imamato finiranno su di Lui, Egli è l’Imam dal momento della morte di Suo padre fino al Giorno del Giudizio.”

Il poeta Jami

Il poeta Jami, una figura di spicco della tariqa Naqshibandi ha lodato ‘Ali e la sua sacra progenie senza mai negare la legittimità dei quattro Califfi “Ben Guidati”. Per legittimare e rafforzare la tradizione imperiale Sunnita Timuride si impossessò delle figure e dei simboli Sciiti attraverso la poesia com’è evidente dai suoi viaggi nelle terre Sciite.

Nel tragitto da Baghdad a Najaf mentre i suoi occhi si posarono sull’alta cupola del mausoleo di Hazrat ‘Ali, compose la seguente ode:

“O Jami, se le persone ti chiedono chi è il condottiero della carovana del sentiero dell’Amore, rispondi che è Ali”.

Inoltre, in lode ai membri della famiglia del Profeta, gli Ahl-ul-Bayt, Jami ha scritto i seguenti versi:

“Chi loda gli Ahl-ul-Bayt in verità loda se stesso quando dice: ‘Io sono l’amico del Profeta e dei membri della Sua Famiglia, e sono il nemico del Suo nemico’. Come Salman, anch’io sono diventato un membro della Famiglia del Profeta e la mia candela è luminosa grazie a quest’olio (d’amore per gli Ahl-ul-Bayt) che illumina la candela.”

Il panorama religioso dell’Iran è stato drasticamente trasformato nel periodo compreso tra le invasioni mongole e l’arrivo dei Safavidi, in quanto dopo l’occupazione della Persia le persone furono influenzate dallo Sciismo o almeno dalle tendenze pro-Alidi, che si combinarono con le correnti Sufi. L’invasione mongola creò un periodo di transizione in cui la tensione tra Sunniti e Sciiti diminuì e le differenze tra le scuole di diritto divennero meno significative. Inoltre, nel mezzo dei Sunniti e degli Sciiti si mescolavano molte confraternite Sufi, ma la Naqshibandiyya fu la più attiva di tutte giacché aveva molti sostenitori.

Questa miscela di elementi Sunniti, Sciiti e Sufi, aveva creato un tipo di ambiente favorevole alla diffusione di diverse attività eretiche, che spesso viene spiegato come una reazione alle atrocità del regime turco-mongolo. Ciò che questi movimenti eretici avevano in comune era l’obiettivo di stabilire la giustizia sociale per tutti.

La maggior parte dei racconti spiega che storicamente i capi religiosi Sunniti hanno favorito la migrazione verso lo Sciismo o verso il “Sunnismo duodecimano”, che combinava il dogma Sunnita con gli elementi della fede Sciita, termine coniato dallo studioso persiano Muhammad Ja’far Mahjub (1925-1996). Questi sincretismi hanno spianato la strada alla conversione su vasta scala degli Iraniani allo Sciismo, una fusione di Alidismo, riverenza per gli Imam e deferenza per i Pir Sufi (maestri).

Alcuni studiosi ritengono che le comunità Sufi abbiano preparato l’Iran a convertirsi allo Sciismo, altri affermano che i Safavidi abbiano forzato la popolazione, ma l’ipotesi più verosimile si basa sullo zelo dei “Naqshibandi duodecimani” nell’edificazione dello Sciismo Iranico. A conferma di quest’ultima tesi, il Sufi Ni’matu’llahi Ma’sum ‘Ali-Shah (1738-1797) afferma nel “Tarâ’iq al-haqâ’iq” di aver incontrato i Naqshibandi Sciiti o duodecimani anche dopo l’ascesa della dinastia Safavide.

Infatti, se i Sufi Sunniti Naqshibandi che predominavano nella regione fossero stati contrari allo Sciismo, avrebbero potuto benissimo ostacolarne la causa; tant’è vero che lo Sciismo Safavide era solo uno delle innumerevoli correnti pietiste del XIV secolo, un buon numero delle quali non erano “sincretiste” e non cercavano conciliazioni, ma miravano a superare le differenze tra le comunità dei Musulmani.

Agha-yi Buzurg (m. 1523), la Grande Signora della Naqshibandiyya Sciita

Nella tradizione Sufi Naqshibandi della linea non Ahrari riveste una particolare importanza il “Mazhar al-‘aja’ib” che ad oggi, è l’unico trattato conosciuto dedito ad una maestra religiosa nell’Asia Centrale Islamica. Il suo lignaggio spirituale include gli Shaikh delle tre principali tradizioni Sufi dell’Asia centrale: la Naqshbandiyya, la Yassaviya e la Kubraviya. Quest’opera devozionale espone gli insegnamenti di Agha-yi Buzurg (“La Grande Signora”) che fu attiva all’inizio del 16° secolo nelle vicinanze di Bukhara. L’opera fu prodotta quando la regione subì importanti cambiamenti socio-politici, religiosi ed economici all’indomani della caduta della dinastia Timuride e all’insediamento della dinastia Shaibanide in Transoxiana e della dinastia Safavide in lran. Non solo il “Mazhar al-‘aja’ib” fornisce informazioni per comprendere la storia religiosa dell’Asia centrale del XVI secolo, ma è anche una fonte importante per lo studio della religiosità femminile e della storia nella prima età moderna dell’Asia centrale. Pochi studiosi hanno ancora condotto un’attenta analisi testuale di questa straordinaria fonte, il Mazhar al-‘aja’ib, opera dedicata ad Agha-yi Buzurg dal suo discepolo Hafiz i-Basir. Il Mazhar al-‘aja’ib è un’opera pro-Alide che fu prodotta nel periodo in cui, da un lato, lo Sciismo era in ascesa con il sostegno della dinastia Safavide che aveva recentemente preso il potere in Iran e, dall’altro, l’Asia centrale era sotto il dominio degli Shaibanidi Sunniti. Il Mazhar al-‘aja’ib rivendica l’Ahl ul-bayt a favore dei Sunniti in competizione con lo Sciismo all’inizio del XVI secolo. Però, la stessa rivendicazione di appartenenza all’Ahl ul-bayt poneva il gruppo di Agha-yi Buzurg in forte tensione con le autorità religiose Bukhariane, e dopo la sua morte, i suoi seguaci furono espulsi da Bukhara sia per le loro credenze “eretiche”, sia perché sospettati di essere una quinta colonna del potere Safavide. La cultura del periodo Timuride ha confermato la venerazione per ‘Ali e per l’Ahl ul-Bayt tra i Timuridi, i quali tentarono anche di ricongiungersi genealogicamente ad ‘Ali. I sentimenti pro-Alidi che un tempo erano sostenuti e propagati dai Timuridi divennero pericolosi nella prima metà del 1500. È all’interno di questo ambiente socio-religioso e politico dell’inizio del XVI secolo che va inquadrato il Mazhar al-‘aja’ib.

Bibliografia

1. Ru’bayat-i Naqshband (Urdu), (raccolte di versi di Shah Naqshband), da Muḥammad Sadiq Qusuri, Al-Madinah Pubblicazioni, Lahore, giugno 1997.

2. Jo-Ann Gross and Asam Urunbaev, The Letters of Khwāja ʾUbayd Allāh Aḥrār and his Associates

3. Ghulam Abbas Dalal, Ethics in Persian Poetry: With Special Reference to Timurid Period

4. http://bakshi786islam.altervista.org/la-naqshibandiyya-huseyni-di-bosnia/

5. http://bakshi786islam.altervista.org/kashifi-il-naqshibandi-sciita-e-il-rawdat-al-shuhada/

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