Teologia della liberazione Islamica e lotta di classe marxista

La Teologia della Liberazione Islamica è un’ideologia che libera i lavoratori oppressi e combatte l’oppressione di classe. La maggior parte della popolazione mondiale musulmana è sfruttata, ma la Teologia rivoluzionaria della Liberazione Islamica facendo eco alla concezione marxista di classe riconosce la necessità che le persone prendano il potere economico eliminando lo sfruttamento e la disuguaglianza economica.

Moschea Cinese, Urumqi

La Teologia della Liberazione Islamica spiega i rapporti tra fede e lotta di classe, e risponde praticamente all’oppressione delle classi emarginate.

La maggior parte dei teologi della liberazione Islamica (Farid Esack, Shadaab Rahemtulla, Hamid Dabashi, Asghar Ali Engineer, ecc..) si sono concentrati sull’analisi ermeneutica delle fonti islamiche, fornendo letture alternative alle interpretazioni tradizionali distorte, anche se queste idee devono essere trasformate e attualizzate in un progetto storico e in una realtà concreta.

“Egli è Colui che vi ha costituiti eredi della terra e vi ha elevato di livello, gli uni sugli altri, per provarvi in quel che vi ha dato.” (Corano, 6:165)

Alcuni interpretano che il suddetto versetto legittimi la differenza di classe come un fenomeno naturale ordinato dal destino (o da Dio), collocando le persone su diversi gradini della scala socioeconomica, o più pericolosamente, per promuovere l’idea che le persone siano povere o ricche esclusivamente, o principalmente, a causa delle loro capacità e dei loro sforzi.

Per Maulana Abul Kalam Azad (1888 – 1958), teologo Indiano e presidente dell’Indian National Congress dal 1940 al 1946, questo nobile versetto indica che Dio ha organizzato la società umana in modo che i frutti del successo di alcuni siano lasciati in eredità ad altri. La differenza e la distinzione degli uni sugli altri è solamente una prova che permette alle persone di verificare le proprie capacità attraverso i loro sforzi individuali e collettivi. (Islam and Indian Nationalism, Reflections on Abul Kalam Azad).

Abul Kalam Azad

«Porrò un vicario (khalifah) sulla terra» (Corano, 2:30)

Mohamed Abdou considera che i vocaboli Khalifah e Khala’if presenti nei versetti 2:30 e 6:165 siano dei termini pluralistici anziché singolari. Il Corano non usa i termini Califfo e Califfato in riferimento a un sistema politico, ma in relazione alla responsabilità condivisa di tutti gli umani viventi sulla Terra.

Marx ha illustrato come, a eccezione delle società collettiviste, gli esseri umani hanno sempre vissuto in società classificate, dove una minoranza è in grado di sfruttare la maggioranza attraverso il controllo dei mezzi di produzione.

Nell’attuale modello di produzione, il dominio della classe capitalista permette ad alcuni di vivere del lavoro degli altri, mentre i lavoratori fanno affidamento sulla vendita del proprio lavoro per sopravvivere. A causa di questo squilibrio nel potere economico, i capitalisti possono appropriarsi del plusvalore, che è, in parole povere, ciò che rimane dopo aver pagato i salari, e utilizzarlo per accumulare profitti. Questo plusvalore è reinvestito nell’acquisizione di più capitale e nell’aumento del potere socio-politico si riproduce la struttura della classe capitalista. In questa disuguaglianza i lavoratori hanno poco potere sulla produzione dei beni e sulla distribuzione dei profitti. Quindi, i capitalisti danno priorità alla produzione efficiente e a basso costo, anche attraverso la repressione dei salari.

“Quanto a coloro che fanno uno sforzo per Noi, li guideremo sulle Nostre vie. In verità Allah è con coloro che fanno il bene.” (Corano, 29:69)

La Teologia della Liberazione Islamica attribuisce una grande importanza alla prassi per il raggiungimento di un cambiamento materiale a favore degli emarginati. Per raggiungere questo obiettivo, questa teologia della lotta di classe deve essere preceduta dal coinvolgimento politico. Farid Esack, studioso musulmano sudafricano, sostiene che questa metodologia abbia origine nel Corano (29:69) e nell’hadith:

“Chiunque sia testimone di qualcosa di malvagio, lo cambi con la sua mano, e se non è in grado, con la sua lingua, e se non può, con il cuore, ma questa è la forma di fede più debole.” Sahih Muslim numero 49

La Teologia della liberazione Islamica in Gran Bretagna

Lo sviluppo di una classe operaia razzializzata e l’ascesa del neoliberismo negli ultimi decenni ha favorito l’emergere di una Teologia della liberazione Islamica in Gran Bretagna per porre fine allo sfruttamento di classe.

In Gran Bretagna, il capitalismo moderno ha svolto un ruolo centrale nel creare le dinamiche razziali. I migranti popolano posti di lavoro precari e di bassa retribuzione. Nel 2021, a Londra, il 39% dei pakistani e dei bengalesi, il 34% dei neri e il 33% dei meticci erano disoccupati. Il quartiere londinese Tower Hamlets è abitato al 35% da bengalesi, ma è la zona della città più povera con un tasso di povertà infantile del 56%.

Il ridimensionamento dei servizi pubblici dopo le misure di austerità del 2008, ha colpito in modo sproporzionato i poveri e la classe operaia che dipendevano dai servizi assistenziali e le comunità musulmane ne hanno risentito particolarmente. L’insostenibilità degli affitti ha spopolato intere comunità e ha spezzato le reti sociali di solidarietà.

La comunità Islamica in Inghilterra si è ritirata dalla politica e non combatte la disuguaglianza economica e di classe. Questa posizione si traduce nell’accettazione dei principi capitalisti all’interno di un quadro islamico. Tuttavia, da qualche anno stanno emergendo alcuni gruppi che sfidano le interpretazioni conformiste, apolitiche o capitalistiche dell’Islam.

L’etica neoliberista individualistica incoraggia i musulmani a perseguire la ricchezza materiale e a non preoccuparsi della disuguaglianza sociale. L’Islam filo-capitalista coincide con l’etica neoliberista che naturalizza il capitalismo e incoraggia una visione del mondo individualistica. Così, i musulmani non combattono lo sfruttamento economico.

Shariati e la Teologia della liberazione Islamica

Ali Shariati

Shariati è una figura fondamentale nell’elaborazione di una Teologia della liberazione Islamica che si oppone all’oppressione. Nel corso della storia umana è sempre esistita una lotta tra la religione dell’inganno, della confusione mentale e della giustificazione dello status quo e la religione della consapevolezza, dell’attivismo e della rivoluzione.

Shariati costruisce una teologia della liberazione paragonando la lotta tra Caino e Abele o tra lo sciismo rosso e quello nero. La lotta tra il mondo materiale e il pensiero religioso si inserisce in questo contesto.

Shariati sostiene che la storia è una lotta tra i sistemi di Caino, che usano la religione per giustificare strutture reazionarie e oppressive, e quello di Abele, che usa la religione per incoraggiare la rivoluzione e stabilire la giustizia. All’interno della tradizione sciita, Caino era rappresentato dall’istituzionalizzazione della religione sotto i Safavidi (sciismo nero), che lo separò dalla sua vera posizione storica di religione degli oppressi (sciismo rosso).

La nascita del socialismo Islamico

Abu Dharr al-Ghifari, un compagno del Profeta Muhammad, è ritenuto uno dei principali antesignani del socialismo Islamico. Protestò contro l’accumulo della ricchezza durante il califfato di Uthman ed esortò l’equa ridistribuzione della ricchezza. Il Califfo Abu Bakr introdusse un reddito minimo garantito di dieci dirham annuali a ogni uomo, donna e bambino e nel corso degli anni lo aumentò a venti dirham.

Lo sceicco Bedreddin

In epoca Ottomana, lo sceicco Bedreddin (1359 – 1420) istigò una rivolta popolare di ispirazione comunista e il suo ricordo è ancora vivo in Turchia, specialmente tra i socialisti e i comunisti. Bedreddin ha difeso la proprietà comune dei mezzi di produzione, dei terreni, dei fabbricati agricoli, delle bestie da soma e degli attrezzi agricoli. La proprietà comune e condivisa dei mezzi di produzione non era eccezionale tra i dervisci dell’epoca, le fattorie funzionavano secondo i principi comunisti e gli ordini religiosi erano delle organizzazioni di classe.

Shah Inayat Shahid

Shah Inayatullah (1655–1718), popolarmente noto come Sufi Shah Inayat Shahid, era un rivoluzionario del Sindh durante il XVII secolo. Fu il primo socialista e riformatore agricolo del Sindh.

Shah Inayat Shahid proclamava ben 100 anni prima della nascita di Karl Marx e 150 anni prima dell’avvento della Comune di Parigi l’equa condivisione del processo produttivo e celebrava lo slogan “Jeko Kherry So Khaye” (chi coltiva ha il diritto di mangiare).

Aveva inteso la legge dell’economia secondo cui “la distribuzione della ricchezza dipende dalla condivisione del lavoro durante l’esecuzione del processo produttivo”. Significava che l’equa distribuzione della ricchezza sarebbe stata giustificata dopo l’avvenuta partecipazione al processo produttivo. Se qualcuno non avesse partecipato al processo produttivo, non avrebbe avuto il diritto di pretendere la distribuzione della ricchezza.

Shah Inayat fu il primo a introdurre l’equilibrio economico nel subcontinente, addirittura prima degli insegnamenti di Shah Waliullah e di Karl Marx. Tutti i seguaci e gli ammiratori di Shah accettarono il progetto dell’agricoltura collettiva e iniziarono a coltivare la terra secondo questa proposta.

Shah Inayat dichiarò che la terra ereditata dai suoi antenati venisse coltivata collettivamente dai suoi discepoli e dai residenti di Jhok, e che il suo raccolto venisse equamente distribuito in base alle necessità. Il suo movimento si diffuse rapidamente e colpì efficacemente i proprietari terrieri che sfruttavano i contadini.

La coscienza di classe nell’Iran settentrionale

Durante il regno di Naser al-Din Shah Qajar (1831–1896), le idee della sinistra radicale si erano diffuse nel Caucaso e nell’Iran settentrionale, con molti lavoratori che avevano sviluppato una coscienza di classe. Tra le nuove ideologie politiche introdotte nel paese c’era anche l’anarchismo, che emerse in tutto l’Iran verso la fine del XIX secolo, specialmente nella provincia del Gilan. (Ghods M. Reza, 1989).

Gli intellettuali della coscienza di classe in epoca moderna nei paesi Islamici

In epoca moderna, molti musulmani hanno interpretato l’Islam incorporando i principi socialisti: Mirza Sultan-Galiev (1892-1940), un tataro bolscevico; Tan Malaka (1897-1949), un filosofo marxista indonesiano; Haji Misbach (1876-1926), un attivista comunista nelle Indie orientali olandesi; Ihsan Eliacik (1961–), un teologo e socialista turco; e Abdul Hamid Khan Bhashani (1880–1976), detto il Mawlana rosso, un socialista sufi d’ispirazione maoista.

Maulana Bhashani col ritratto di Lenin

Lo Yemen marxista-leninista tra il 1967 e il 1990

La Repubblica Democratica Popolare dello Yemen fu uno stato marxista-leninista esistito tra il 1967 e il 1990. Abd al-Fattah Ismaʿil Muhammad è stato l’ideologo e il leader del partito Socialista Yemenita. Un elemento importante che ha contribuito a trasformare lo Yemen in uno stato socialista, è stato il ruolo che il partito ha assegnato all’Islam. Il partito socialista Yemenita ha adottato un approccio relativamente cauto e accomodante nei confronti dell’Islam, sottolineando i punti in comune tra il socialismo e l’Islam, in particolare l’impegno per l’egualitarismo e la giustizia sociale.

Il partito democratico popolare dello Yemen ha promosso l’Islam per il suo potenziale rivoluzionario, ma ha anche esposto le cause che lo avrebbero distorto nella storia portando alla povertà milioni di yemeniti. In un discorso Abd al-Fattah Ismail dichiarò:

“L’Islam è stato esposto a distorsioni e falsificazioni estreme… Nelle ere Abbaside e Ommiade, le forze aristocratiche furono in grado di deviare l’Islam verso obiettivi e concetti diversi per i quali era venuto. Lo hanno fatto per servire i loro interessi e per sedere sul trono. I regni e il califfato ereditario non avevano nulla a che fare con l’Islam. L’Islam, che si presentò essenzialmente come una rivoluzione, fu trasformato dalle forze feudali e aristocratiche che lo privarono della sua essenza rivoluzionaria dirottandolo al servizio degli obiettivi imperialistici.”

La prassi della Teologia della liberazione Islamica

La prassi della Teologia della liberazione Islamica deve definire gli obiettivi e le sue tattiche. Questa ideologia deve avere una direzione chiara e deve essere consapevole che l’eliminazione delle classi non può essere raggiunta all’interno di un sistema capitalista di sfruttamento…

“O voi che credete, non divorate vicendevolmente i vostri beni, ma commerciate con mutuo consenso.” (Corano, 4:29)

L’avversione per l’ingiustizia, lo sfruttamento, la riduzione delle disuguaglianze, richiede ai musulmani di affrontare l’oppressione che sta alla base del sistema capitalista. Il suddetto versetto che comanda ai credenti di “non divorare le ricchezze tra di voi ingiustamente”, può essere esteso all’idea del plusvalore.

Quest’argomentazione è ulteriormente supportata dai costanti divieti all’accaparramento della ricchezza. Ad esempio, la Sura al-Humaza (Il diffamatore) afferma:

“Guai ad ogni diffamatore maldicente, che accumula ricchezze e le conta, pensa che la sua ricchezza lo renderà immortale? No, sarà certamente gettato nella Voragine.” (Corano, 104: 1-4)

E ancora la Sura Al-Mâ‘un (L’Utensile) dichiara:

“È quello stesso che scaccia l’orfano, e non esorta a sfamare il povero. Guai a quelli che fanno l’orazione e sono incuranti delle loro orazioni, che sono pieni di ostentazione e rifiutano di dare ciò che è utile.” (Corano, 107: 2-7)

Questi versetti Coranici e altri sfidano i sistemi economici che concentrano la ricchezza nelle mani di pochi. La tassazione islamica, la zakat, e i divieti di interessi puntano a una distribuzione più equa della ricchezza e possono essere interpretati come un orientamento della società verso la proprietà comune, un principio chiave della società socialista.

“Appartiene ad Allah tutto quello che c’è nei cieli e tutto quello che c’è sulla terra. Allah abbraccia [nella Sua scienza] tutte le cose.” (Corano, 4:126)

Nel suddetto versetto Dio stabilisce un bene comune globale a cui tutti gli individui abbiano accesso. Invece, la proprietà privata diventa un anatema all’idea che questa proprietà appartenga a Dio. Questa interpretazione radicale del canone Islamico fornisce una critica al capitalismo e richiede un cambiamento strutturale.

Quest’analisi afferma che gli oppressi sono i preferiti di Dio, contrariamente ai ricchi; in questo modo, si può sostenere con forza un progetto storico che miri all’abolizione di classe. In alternativa, è possibile stabilire la proprietà comune dei mezzi di produzione, in cui la ricchezza venga utilizzata a beneficio della collettività e non da una minoranza benestante.

“Invece noi volevamo colmare di favore quelli che erano oppressi, farne delle guide e degli eredi. [Volevamo] consolidarli sulla terra.” (Corano, 28: 5-6)

 Il suddetto versetto, fondamentale nella Teologia della liberazione Islamica, riconosce la necessità di alleviare la condizione dei poveri e degli sfruttati economicamente. Dio vuole concedere agli oppressi una vita dignitosa finché non siano raggiunte le condizioni per un cambiamento sistemico più ampio.

Le ingiunzioni Divine rivolte ai privilegiati di fare la beneficenza e di non accumulare le ricchezze, sono indicatori dei diritti degli sfruttati i quali hanno il diritto di rivendicarle anche attraverso la violenza, se necessario.

Abu Dharr, un compagno del Profeta Muhammad disse: “Sono perplesso di fronte a un affamato che non ha pane in casa; perché non si alza in mezzo al popolo con la spada sguainata e non si ribella?”

Il favore accordato agli oppressi di farne delle guide e degli eredi secondo il versetto Coranico 28:5-6, è un principio guida per l’instaurazione della giustizia economica.

Conclusione

Rivelando i cinque principi, Dio diviene intenzionalmente un prassi. Non è Logos, è Praxis, non è concetto, è un comportamento o una condotta. Il tawhid non si realizza se non con la rivoluzione e trova il suo compimento soltanto in essa. (Hassan Hanafi)1

La Teologia della liberazione e lo sfruttamento economico di classe non sono mai stati affrontati seriamente nell’Islam. Le tendenze socialiste Islamiche sfidano il capitalismo e dimostrano il potenziale di un’alternativa rivoluzionaria. Attraverso quest’interpretazione dei testi canonici, si può rimuovere ogni forma di sfruttamento economico utilizzando una prassi marxista di classe.

Note

  1. Il concetto di ‘prassi’, come agire individuale e sociale, è al centro di tutta la filosofia inaugurata da Karl Marx e del suo modo di affrontare i problemi della produzione e della scienza. Questa idea per cui la ‘produzione’ o ‘prassi umana’ è comprensiva non solo del lavoro ma anche di tutte le attività che si oggettivano in rapporti sociali, istituzioni, bisogni, scienza, arte ecc., attraversa tutto il pensiero di Marx e costituisce il suo principio fondamentale. Nel contesto della Teologia Islamica della liberazione, la prassi è l’idea che la teologia caratterizzata da un’ermeneutica dialettica di azione-riflessione-azione emerga nel mezzo della lotta collettiva contro l’oppressione.

Bibliografia

Nilesh Sharan, La Teología de la Liberación en América Latina y en Irán: un verdadero proyecto transglobal y transmoderno, 2018

John Ishiyama, The Sickle and the Minaret: Communist Successor Parties in Yemen and Afghanistan after the Cold War, 2005

Prospettiva comunista e sufismo nel pensiero di Husayn Muruwwa

Abdul Ahmid Khan Bhashani, il maulana rosso maoista

Hasan Hanafi, La teologia islamica della liberazione, 2018

Hamid Dabashi, Islamic Liberation Theology, 2008

Shadaab Rahemtulla, Qur’an of the Oppressed, 2017

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