Prospettiva comunista e sufismo nel pensiero di Husayn Muruwwa

Seduti da destra a sinistra in abiti religiosi: Husayn Muruwwa, Muhammad Husayn al-Zein, Muhsin Shararah e Muhammad Shararah. In piedi da destra: sconosciuto, Hashim al-Amin, 'Ali al-Zein.

Husayn Muruwwa (1910-1987) è stato uno degli intellettuali arabi più influenti della seconda metà del XX secolo. Negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso ha reinventato la critica letteraria marxista araba.

La famiglia di Husayn Muruwwa

Husayn Muruwwa, discendeva da una stirpe di chierici sciiti ed era figlio di un dotto (‘alim) sciita libanese. Fin dalla sua tenera infanzia, Husayn Muruwwa era molto religioso, all’età di otto anni già indossava le vesti sacerdotali e il turbante. All’età di quattordici anni entrò nel seminario (hawza) sciita di Najaf in Iraq grazie all’intercessione del grande ‘alim sciita ‘Abd al-Husayn Sharaf a-Din (1873-1957).

I primi interessi di Husayn Muruwwa

Najaf, in quel tempo, custodiva tutti i libri pubblicati nel mondo arabo. Gli interessi di Muruwwa si indirizzarono subito verso la letteratura antica e moderna, leggeva le opere di Ibn Qutayba, il periodico modernista sciita Al-‘Irfan, la rivista dei migranti arabi nelle Americhe “Mahjar” e specialmente Khalil Gibran. Era anche affascinato dagli scritti dello storico egiziano Ahmad Amin.

I suoi insegnanti disapprovarono questa impostazione inadatta per uno studente di una madrasa, così, questo giovane studente iniziò a dubitare del sistema educativo tradizionale. Già nel 1925 incontrò un gruppo di studenti che condividevano le sue stesse letture, in tal modo costituirono un gruppo chiamato “la gioventù dei lavoratori di Najaf”.

Il primo incontro col marxismo

È difficile stabilire in quale momento Muruwwa abbandonò l’idea di togliersi le vesti sacedotali. Muruwwa racconta che il sogno di suo padre e della sua famiglia di vederlo diventare un ‘alim era svanito già un anno dopo il suo arrivo nella città santa. Il primo incontro di Muruwwa con il nome di Marx risale al 1926, appena due anni dopo il suo arrivo a Najaf, quando lesse il libro “Religione, Conoscenza e Denaro o le tre città” (Al-din wa-l-ilm wa-l-màl, aw al-mudun al-thalatha) di Farah Antun (1874–1922), un romanzo sui conflitti tra i lavoratori e i datori di lavoro.

Il licenziamento di Muruwwa e l’espulsione dall’Iraq

Dopo aver ottenuto la ijaza (la licenza a trasmettere le conoscenze religiose), il giovane Muruwwa conobbe i membri del movimento nahda, nonché le opere riformiste islamiche più antiche di Muhammad ‘Abduh e di Giamal al-Din al-Afghani. Le critiche mosse al sistema educativo di Najaf e l’accusa di diffondere l’eresia e l’ateismo nella scuola di Najaf, gli costarono il licenziamento.

L’incontro con Husayn Muhammad al Shabibi

Fu Shabibi (1917-1948) che fece familiarizzare Muruwwa con i principi del marxismo-leninismo e gli diede una copia del Manifesto del Partito Comunista. Muruwwa successivamente cercò di leggere Il Capitale di Marx, ma riuscì a trovare solo una versione pubblicata nel 1947 in Egitto, che era più un riassunto che una traduzione.

A Baghdad, dopo la laurea, Muruwwa iniziò a scoprire le opere di Lenin e il materialismo dialettico di Stalin. Nonostante queste letture, Muruwwa non ragionava come un comunista, anzi si riteneva un patriota. Muruwwa disse che gli Hashemiti regnanti e la famiglia del Profeta erano i veri missionari della nazione araba.

Muruwwa, la fede nella religione e nella patria

Nell’articolo intitolato “Dio, la Patria e il Re”, Muruwwa negli anni 40 inneggiava ancora alla monarchia irachena. Il Re simboleggiava l’onore e la grandezza della patria, gli iracheni erano considerati una nazione credente in Dio, la fede nella Patria e nel Re erano visti come un’unica fonte in grado di non generare divisione. Inoltre, Muruwwa aveva affermato l’importanza della fede in Dio insieme alla fede nella nazione e nel Re.

"Ci siamo mossi per la vittoria di questa religione".
Lenin trattò abbastanza bene i musulmani e l'islam. Ad esempio, nelle repubbliche dell'Asia centrale a maggioranza musulmana il giorno di riposo era il venerdì e non la domenica come nel resto dell'URSS. Lenin incorporò elementi di legge islamica nei sistemi giudiziari di queste repubbliche e si impegnò persino a restituire alle comunità musulmane i manufatti religiosi.

Il comunismo leninista di Muruwwa era intriso di patriottismo. La sua ideologia proletaria era aperta a tutte le classi, ma rimaneva nazionalista. Impossibilitato nella lotta di classe, l’aveva sostituita con la propaganda antioccidentale.

La ripresa degli studi religiosi

Dopo essersi trasferito a Baghdad, Muruwwa lavorò come giornalista e scrittore a Beirut e Damasco. Nel 1934 tornò a Najaf per completare gli studi, pur sapendo che la carriera religiosa gli sarebbe stata preclusa.

Nel 1948, durante gli scioperi e le manifestazioni contro l’accordo di Porismouth tra la Gran Bretagna e l’Iraq, si avvicinò al Partito comunista iracheno senza aderirvi, ma un suo articolo che criticava la politica del primo ministro fu usato come pretesto per espellerlo dal paese nel 1949 privandolo anche della cittadinanza irachena.

Tornò in Libano dove si unì al Partito Comunista nel 1951. Dal 1964 fino alla sua morte violenta nel 1987, è stato membro del Comitato centrale del partito.

Shi’i-shuyu’i, gli sciiti-comunisti

Dal 1950 in poi, l’espressione popolare Shi’i-shuyu’i, cioè sciita-comunista è stata utilizzata sia dagli oppositori che dagli amici degli sciiti, divenendo i due termini quasi sinonimi. La città santa di Najaf, nella prima metà del XX secolo, era il più importante luogo di apprendimento dello sciismo duodecimano, ma era aperta a tutte le correnti di pensiero del mondo arabo. Il carattere religioso della città non ha in alcun modo impedito la diffusione d’idee laiche, sociali e religiose, o addirittura comuniste.

Da shi’i (sciita) a shuyi’i (comunista)

Sono trascorsi quasi venticinque anni da quando Muruwwa ha incontrato per la prima volta il nome di Marx in un romanzo al momento in cui si è unito al Partito Comunista. Come ricorda nella sua intervista autobiografica, leggeva tutto ciò che trovava, ed è stata questa pratica che alla fine l’ha portato a Marx. Quali sono state le letture determinanti che hanno trasformato Muruwwa lo shi’i (“sciita”) in uno shuyi’i (“comunista”)?

Sciiti comunisti libanesi: nei circoli sciiti Husayn Muruwwa è considerato uno studioso qualificato e tra i seguaci del comunismo è venerato come il loro Imam.

Il gioco di parole

Dagli anni ’50, sia in Libano che in Iraq lo sciismo e il comunismo sono andati alla ricerca di luoghi comuni. Spesso si giocava tra le parole arabe shi’i (“sciita”) e shiu’i (“comunista”) entrambe derivate dalla stessa radice araba in senso positivo o negativo. Questo gioco di parole fu usato anche per schierarsi dalla parte degli indifesi, degli oppressi, dei poveri. Per molte persone, i due termini erano quindi legati da un’affinità spirituale oltre che semantica.

Un pensiero rivoluzionario

Questa situazione portò gli Ulama a formulare un pensiero rivoluzionario specificamente sciita, che fu soprattutto una risposta alla diffusione del comunismo tra gli sciiti dopo la seconda guerra mondiale. Husayn Muruwwa e dozzine di altri sciiti come lui, non si convertirono veramente a un’altra ideologia, ma crearono un’identità intellettuale complessa e altamente integrativa che attingeva simultaneamente a diverse tradizioni intellettuali apparentemente contraddittorie. La sua metodologia culminò nel realismo socialista critico e nello sforzo di rileggere la turath (il patrimonio ereditario o il retaggio del passato o la tradizione autentica) islamica lungo le linee marxiste.

Husayn Muruwwa nelle vesti di 'alim con i suoi figli, Nizar, Ahmad e Hassaan, 1936

“Le tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica” e la turath

“Le tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica” (al-Naza`at al-maddiyya fi-l-falsafa al-`arabiyya al-islamiyya) è l’opera più famosa di Muruwwa. Si tratta di un’interpretazione marxista dei testi arabi tradizionali. In esse, ha evidenziato le tendenze marxiste della prima età dell’oro delle società islamiche. Il libro tratta l’eredità araba e islamica con una metodologia scientifica e con una conoscenza ineguagliabile della turath, l’eredità culturale arabo-musulmana, trovandovi in essa, elementi che favoriscono in termini gramsciani, un “nuovo blocco storico”.

La ragione del successo e le tre principali figure

La ragione del successo di questa innovativa sintesi ideologica era ovvia: nel mondo arabo, gli sciiti si ritrovarono economicamente, politicamente e socialmente svantaggiati sopratutto dopo il crollo dell’Impero Ottomano.

Molti giovani sciiti appartenenti alle famiglie di ‘Ulama simpatizzavano per l’ideologia comunista, ma le tre principali figure di questa sintesi sciita-comunista sono: il libanese, Husayn Muruwwa; e gli iracheni, Muhammad Salih Bahr al-‘Ulùm (1909-1992), poeta, operaio e attivista sindacale, e Muhammad Mahdi al-Jawahiri (1899 – 1997), uno dei grandi poeti del XX secolo. Sono tutti nati nel primo decennio del secolo scorso e ognuno di loro aveva ricevuto un’educazione religiosa che l’avrebbe preparato a diventare un chierico.

Esistono talune differenze significative tra loro: gli iracheni appartenevano a importanti famiglie di mujtahid di Najaf, mentre Husayn Muruwwa proveniva da una modesta famiglia di ‘ulama del Giabal ‘Amil.

Perché Muruwwa accettò il comunismo?

Com’è possibile che i membri di famiglie religiose rompano con questa antica tradizione e si impegnino in una ideologia apparentemente in totale contraddizione con la tradizione sciita?

Le motivazioni che diressero Muruwwa e altri chierici ad accettare il pensiero comunista erano molteplici: la povertà degli sciiti, gli sciiti avevano scarse possibilità di accedere all’istruzione, nella città santa di Najaf era accessibile tutta la letteratura presente nel mondo arabo.

Comunista irachena della città santa di Najaf

Il sufismo nella morsa del materialismo storico secondo Husayn Muruwwa

Husayn Muruwwa esamina la dimensione spirituale dell’islam, cioè il tasawwuf, come un continuo cambiamento sociale. Muruwwa dimostra che l’unico approccio autentico per interpretare l’islam e il tasawwuf in termini di cambiamento sociale sia il materialismo storico, che spesso chiama marxismo intellettuale o socialismo realista. Il vantaggio di questo approccio, sostiene, risiede nella sua capacità di ringiovanire la dimensione intellettuale mancante dell’islam, ma anche nella sua capacità di produrre conoscenza e di stabilire il legame tra il passato e il presente. L’intera idea del legame tra il passato e il presente è associata al suo progetto di formulare una “nuova cultura nazionale”.

Il sufismo prodotto dell’interazione sociale

Muruwwa ritiene che l’islam sia una nuova fonte culturale vibrante, ma la sua nozione d’islam cerca di trascinarne fuori la dimensione teologica per dissotterrarne gli aspetti sociali. La sua visione di tasawwuf è altrettanto insolita: il sufismo sarebbe il prodotto dell’interazione sociale in una relazione di tipo cooperativo tra più soggetti agenti. Essendo inoltre marxista, sostiene che l’insegnamento centrale dei sufi non è quello d’incoraggiare gli uomini a conoscere Dio, ma a diventare Dio in quanto tali.

Il socialismo sufi

Il socialismo sufi è un prodotto del suo tempo. Tempi diversi danno vita a idee diverse. I socialisti sufi vanno incoronati per la preoccupazione che hanno per gli altri. Si tratta di una prospettiva scientifica e originale sia a livello teorico che pratico. L’approccio storico offerto da Ibrahim Madkur, soprattutto nella lettura del sufismo, esplora solamente la storia dei sufi o le loro biografie, ma non analizza le loro esperienze spirituali e la loro relazione con il contesto sociale, sostiene Muruwwa.

La fede islamica materialista

La fede islamica di Muruwwa è puramente materialista: egli ritiene che il Corano, il suo apostolato profetico, i rituali, il suo paradigma, la sua cultura e le sue tradizioni abbiano una base materialista. Infatti, il suo lavoro, che tutti considerano il suo magnum opus, si intitola “Le tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica”. Pubblicato per la prima volta nel 1978, questo lavoro è composto di 4 volumi. Ogni volume varia da 460 a 580 pagine. Il primo volume, dopo l’introduzione, esamina la Jahiliyya, lo sfondo da cui emerse l’islam, e l’islam durante il periodo dei Califfi ben diretti. Il secondo volume tratta della Mu’tazila, della reazione Asharita al razionalismo estremo Mu’tazilita e della scienza della logica. Il terzo volume analizza i problemi filosofici, il tasawwuf e la scuola degli Ikhwan al-Shafa. Il quarto volume solleva i pensieri delle sue tre figure amate: al-Kindi, al-Farabi e Ibn Sina.

Gli estimatori delle “Tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica”

I suoi estimatori considerano quest’opera il culmine della maturità del suo pensiero. Il prof. Peter Gran ha definito quest’opera il più fenomenale e monumentale pensiero islamico dal punto di vista marxista e socialista. Per Yoav Di-Capua, quest’opera è la migliore opera mai scritta sui tesori del pensiero islamico e affronta in modo completo e sistematico il rapporto tra il sapere arabo-islamico classico e la cultura arabo-islamica contemporanea. L’editore al-Allamah al-Syahid reputa che quest’opera abbia riempito il vuoto lasciato dagli studiosi. Per Musa Barhumah quest’opera infonde la “lotta nel contesto dei movimenti di liberazione nel mondo arabo”. Alcuni paragonano questo testo al pensiero di Suhail Idris (1925 – 2008), che vede nella storia del pensiero arabo-islamico una forma di politicizzazione religiosa.

Turath e cambiamento sociale

Muruwwa vede nelle sue “Tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica” uno sforzo per portare avanti ed esplorare elementi progressisti nei tesori del pensiero islamico. Come per altri suoi lavori, esprime il suo disappunto verso coloro che non sviluppano in un quadro scientifico adeguato la turath, arrestandone il suo processo evolutivo.

Finora, secondo Muruwwa, la turath è stata dominata da due correnti di pensiero: la metafisica fondamentalista e l’idealismo liberale. Entrambe queste tendenze “non riescono a rivelare una relazione oggettiva e realista tra la struttura interna del pensiero della turath e il cambiamento sociale. Il motivo è che entrambe ignorano l’aspetto della storicità del pensiero. In questo modo, la turath diventa soggettiva, astorica e fondamentalmente sradicata dalle sue radici sociali, cioè dalla sua storia reale e oggettiva. La storia islamica, in altre parole, è passiva e difficile da sviluppare.

La prospettiva del materialismo storico nell’eredità del pensiero islamico

Muruwwa offre quindi una nuova prospettiva. Secono lui “solo il metodo del materialismo storico è in grado di trovare la relazione mancante tra la turath e il suo contesto sociale, o a un livello più macro rivelare il movimento dell’eredità del pensiero islamico nella storia”. È la sua prospettiva più scientifica e originale, sia teoricamente che praticamente.

Il materialismo storico richiede che lo sviluppo della società sia determinato e influenzato dall’esistenza di relazioni sociali che sono evidenti dai modelli di produzione. Esso è sostenuto da leggi socio-naturali il cui movimento nella società porta sempre a una realizzazione materialistica e, al suo apice, a un’abbondanza di mezzi di sussistenza. Il progresso della società da una fase all’altra è determinato dalla disponibilità di queste strutture. L’esistenza di una società forma automaticamente schemi di relazioni tra i suoi membri guidati dal fattore della necessità di sopravvivere. Il modello delle relazioni continua a svilupparsi a partire dalla fase primitiva, alla fase della schiavitù, dei rapporti di lavoro, del capitalismo, e termina nella sua forma più perfetta, cioè nel marxismo scientifico.

Il marxismo scientifico si sposta nell’umanità

Nella sua forma più recente, il marxismo scientifico è definito come “conoscenza della realtà”. In questo quadro, l’essenza della società è meglio compresa come un’entità che coinvolge i rapporti tra le persone, non più tra le cose. Il materialismo non significa sempre cose materiali, ma si sposta nell’umanità. In effetti, il problema è che il marxismo non comprende gli esseri umani come spirito e anima, ma solo come corpi.

Il marxismo scientifico applicato al sufismo

Quindi, se letta con questo approccio, la storia islamica riguarda la lotta per la sopravvivenza con determinati modelli di relazioni, al fine di raggiungere la perfezione mondana. Questo vale per tutte le religioni e per tutte le dimensioni, compreso il sufismo. In questo contesto, il sufismo è inteso come un’arte di sopravvivenza con un modello di relazioni spirituali tra le persone.

Il sufismo modello di relazioni reciproche

Muruwwa rivolge un’attenzione particolare al sufismo. Ne parla almeno due volte in due opere diverse. La prima volta alla fine del “Nostro patrimonio, come lo conosciamo” (تراثنا… كيف نعرفه), e la seconda nel terzo volume delle “Tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica”. Nel “Nostro patrimonio” esorta a “parlare di sufismo solo all’interno di un contesto storico, altrimenti è sbagliato”. Poi, aggiunge: “Il sufismo deve essere letto in modo realistico e non in termini assoluti”. Leggere il sufismo realisticamente significa che il sufismo è trattato come un fenomeno sociale e un fatto storico, non semplicemente come un pensiero puro e facente parte degli insegnamenti religiosi.

Fondamentalmente Muruwwa separa il sufismo dall’islam. Per lui, il sufismo è il prodotto di un modello di relazioni reciproche tra gli esseri umani nella società. È presente in uno spazio concreto; cioè, “il sufismo è nato da un processo di dolce interazione tra gli individui e la società, o tra la coscienza umana e le attività sociali nella collettività. Oppure potrebbe anche nascere dal rapporto di reciproca influenza tra le forme d’interazione sociale che esistono nella società e la coscienza umana, o dall’interazione tra le leggi del mondo materialistico e le leggi del pensiero nel contesto dell’attività spirituale umana.

Il sufismo non è nato da nessuna religione

Per Muruwwa il sufismo non è nato da nessuna religione, né si è formato da esse. Egli rifiuta l’opinione secondo cui il sufismo provenga dall’islam, o da fonti diverse dall’islam come la cultura persiana, l’India, le tradizioni ebraiche e cristiane. Considera questi presupposti sbagliati perché incoerenti con la logica storica in quanto si dimenticano gli elementi più importanti che modellano ogni attività e persino la coscienza umana, ovvero gli elementi sociali, politici ed economici.

Il sufismo è nato dalla società teologica

Attenendosi allo schema evolutivo di Ausguste Comte, Muruwwa è del parere che la società che ha formato il sufismo nella sua prima apparizione (fino al II secolo dell’Egira) fosse una società teologica. In questa fase non sono emerse sfumature sociali e scientifiche. Pertanto, il sufismo non ha ancora la consapevolezza sociale o intellettuale. I suoi insegnamenti si concentrano sulla consapevolezza divina – il rapporto tra Dio e gli esseri umani – attraverso il concetto di “ritiro dagli affari sociali”, popolarmente noto come ascetismo.

L’ascetismo è il primo insegnamento sviluppato dai sufi

Lo stesso ascetismo è il primo insegnamento sviluppato dai sufi. In quanto precursore del sufismo, esisteva anche in una forma non sistematica prima della nascita del sufismo stesso. Questa idea si è sviluppata di volta in volta.

Nel primo periodo, l’ascetismo è rintracciabile negli insegnamenti di Amir ibn Abd al-Qays (661–680) e di Hasan al-Basri (641-728), i quali lo hanno insegnato sia come una manifestazione del timore della punizione Divina sia nel mantenimento delle distanze dalla vita mondana. L’ascetismo non riguarda solo 1) prendere ciò che è lecito ed evitare ciò che è illegale (ٱلْأَمْرْ بِٱلْمَعْرُوفْ وَٱلنَّهْيْ عَنِ ٱلْمُنْكَرْ), oppure 2) lasciare di più e darlo a chi ne ha bisogno, ma anche evitare i piaceri mondani per amore della felicità nell’aldilà.

Una consapevolezza così estrema della divinità fa sì che i sufi non solo perdano la loro consapevolezza sociale, ma manchino anche della capacità d’interagire con gli altri. Sono degli esseri umani chiusi. Muruwwa, ad esempio, riferendosi all’Hilyah al-Awliyah, cita il caso dell’ascetismo estremo di un sufi che non usciva mai di casa. Inoltre, a suo parere, sarebbero anche troppo profondamente assorbiti dai rituali.

La nascita dell’amore divino

Da questo concetto di ascetismo nacquero gli insegnamenti dell’amore divino, il wahdat alwujud, l’hulul e l’ittihad. Il concetto di amore divino fu coniato da Rabi’ah al-Adawiyah (718-801) e sostenuto dai primi sufi di Bassora come Khalid ibn Abdullah, ‘Utbah al-Ghulam e Habib al-Ajami al-Farsi. Ibrahim ibn Adham (718-777), Abdullah b. al-Mubarak (726-797) e Shaqiq al-Balkhi (-810) furono degli asceti tendenti all’amore divino.
Nella fase successiva, con Ma’ruf al-Karkhi (750-815) l’ascesi entra in contatto col concetto di ma’rifa attraverso lo svelamento intuitivo (al-kashf), la contemplazione (al-mushahada) e l’lluminazione (al-ishraq). Questi sufi praticano al-mujahadat (la lotta all’ego) o al-riyadhat (la disciplina iniziatica). Da qui è nata la tariqat, l’arte di controllarsi dalle scintillanti tentazioni della vita mondana.

La fase del sufismo sociale

Al-Karkhi definisce l’illuminazione come “prendere l’essenza delle cose e lasciare qualsiasi cosa nelle mani della creazione”. Al-Karkhi segna la fine della fase teologica del sufismo e inaugura la seconda fase, quella sociale. L’introduzione dei concetti di zahir e batin per interpretare il significato di ascetismo nel terzo secolo dell’Egira rappresenta un punto di svolta in questa fase del sufismo, afferma Muruwwa. Appartengono a questa fase Daud al-Ta’i (-781) e al-Fudail ibn Iyad (-802,) che erano noti per la loro socievolezza nell’incontrare i deboli.

Al-Ta’i non scritto nulla, ma la sua lotta per il sociale è stata davvero leggendaria. Viveva in povertà non solo per avvicinarsi a Dio, ma anche per difendere i poveri. La sua storia esemplare ed è stata narrata da Fariduddin Attar nel Tadhkirat al-Awliyaʾ. Nel Siyar A’lam al-Nubala’, al-Ta’i viene citato come “uno studioso e un giurista, un modello e un asceta”. Al-Fudail, invece, è riconosciuto per la sua ampia influenza sia da ‘Abu Abd al-Rahman al-Sulami nel Tabaqat al-Sufiyah sia da al-Qushairi nella sua Risala.

I sufi sociali tra errore e verità

L’osservazione di Muruwwa circa i due suddetti sufi sociali non è del tutto sbagliata, ma non è nemmeno sempre vera. Al-Ta’i insegna: “scappa dalle persone come scappi da un leone”; ma anche ha insegnato “digiuna per tutta la vita e non abbandonare il digiuno finché morte non sopraggiunga”. Al contrario, al-Fudail era noto per il suo ascetismo e aveva così tanta paura del Giorno del Giudizio che una volta disse: “se potesse scegliere tra essere un cane o vedere il Giorno del Giudizio, allora sceglierei di essere un cane e morirei come un cane”.

La fase finale del sufismo

Nella fase successiva, cioè la fase finale, il sufismo si trasforma in un movimento filosofico con una missione ideologica. Questa è la più grande trasformazione che sia mai avvenuta nel sufismo. Muruwwa afferma che questo cambiamento è avvenuto nel terzo secolo dell’Egira quando il califfato abbaside si è trasformato politicamente al suo interno. Dal punto di vista politico, questo cambiamento che continuò fino al quarto secolo dell’Egira, fu uno dei periodi più critici della storia islamica. Questa fase dinamica influenzerà il volto della civiltà islamica futura. A partire dal 749 fino al 847, questa fase è conosciuta come la prima e la seconda era del califfato abbaside, o dei califfi al-Wathiq e al-Mutawakkil.

L’ideologia “basata sulla Sharia”

I principali cambiamenti a cui si riferiva Muruwwa che si verificarono durante questa fase includevano: 1) il passaggio del sentimento politico dalla famiglia omayyade alla famiglia abbaside 2) l’emergere di un’ideologia politica teocratica che usava il lignaggio profetico per legittimarsi e costringere il popolo a obbedire e sottomettersi assolutamente al capo. La natura teocratica del califfato abbaside è riconoscibile nel discorso del califfo Abu Gia’far al-Mansur alla Mecca quando disse: “O gente, io sono il rappresentante di Dio sulla terra. Io governo su di voi con la Sua approvazione, sostegno e permesso. Sono anche il custode dei suoi tesori. Lavoro per prendermene cura secondo la Sua volontà e volere, e condivido i beni con il Suo permesso.”

Muruwwa chiama questa ideologia “basata sulla Sharia”. Lo stato è assolutista. Il suo rapporto con la società si basa sulla sua assolutezza. In quanto rappresentante di Dio sulla terra con natura assoluta, il sovrano agisce in modo autoritario e distaccato dal popolo. Il suo governo si basa sulla “volontà di Dio”. L’ingiustizia in nome della religione.

Il sufismo filosofico

Questo califfo rappresentante della religione ha il diritto assoluto di regolare e determinare i pensieri delle persone così come dovrebbero vivere e agire. Muruwwa ha osservato che il sistema di potere a Baghdad era paradossale. Da un lato pretendono di essere i rappresentanti di Dio, ma dall’altro sono la classe dirigente borghese del guadagno materiale ed economico. Da un lato si ritengono sacerdoti e capi religiosi, dall’altro sono avidi.

È in questo contesto che il sufismo si trasforma in filosofico dopo aver precedentemente attraversato le fasi teologiche e sociali. In questa fase, il sufismo non contiene più astratti insegnamenti metafisici, ma è diventato un sistema di pensiero che si oppone a due cose: 1) alla religione offrendo ta’wil (esegesi), 2) e alla politica rifiutando ogni forma di tirannia. In altre parole, nella sua forma filosofica, il sufismo – secondo Muruwwa – è un movimento di pensiero sistematico per rifiutare il sistema politico teocratico dell’Islam.

È in questo quadro teorico che Muruwwa riesce a leggere l’intera eredità del sufismo, specialmente quelle correnti dalle sfumature filosofiche.

Muruwwa e la trattazione del sufismo

Nel secondo capitolo del terzo volume delle “Tendenze materialiste nella filosofia arabo-islamica” Muruwwa discute molto seriamente di sufismo. La sua trattazione è lunga ben 225 pagine ed è suddivisa in tre parti principali. La prima riguarda il fenomeno dell’ascesi e il contesto socio-politico che ne innesca l’affioramento. È la fase del sufismo teologico. La seconda parte tratta l’ideologia del sufismo teorico, o sufismo della fase sociale. La terza si occupa molto diffusamente del sufismo filosofico o ultima fase, la cui definizione è ancora oggetto di discussione.

I tre concetti di resistenza all’istituzione religiosa e politica deviata

I sufi filosofi a cui Muruwwa rivolge la sua attenzione sono al-Hallaj, Yahya Suhrwardi e Ibn ‘Arabi. Gli ultimi due nomi sono generalmente al centro della sua discussione. Il concetto d’illuminazione (ishraqiyyah) di Surhawardi, il wahdat alwujud e l’Insan al-Kamil di Ibn ‘Arabi sono discussi a lungo. Secondo Muruwwa, queste tre idee sono estensioni del concetto di emanazione sviluppato da al-Farabi, al-Kindi e Ibn Sina. Questi tre concetti riflettono l’apice della maturità del sufismo filosofico. Questi tre nozioni ritraggono il vero pensiero sufico e contengono gli elementi di resistenza all’istituzione religiosa e politica deviata.

Il sufismo e il “Dio dell’emanazione”

Muruwwa interpreta questa nozione emanativa da un rivoluzionario punto di vista materialistico. Giunge alla conclusione che questo concetto non parla solo del rapporto tra l’uomo e Dio, ma anche della capacità umana di elevarsi al rango d’Imam, profeta e persino Dio.

Gli umani sono degli “esseri perfetti” con tutto il loro potenziale per fare dei passi da gigante contro ogni forma d’ingiustizia. Nelle parole di Muruwwa, i sufi con le loro idee offrono un “Dio dell’emanazione” in opposizione al “Dio teocratico”. Il Dio della teocrazia sono i capi politici autoritari, mentre il Dio dell’emanazione sono gli stessi sufi.

Avventurarsi al di fuori della struttura del Tawhid

Per Muruwwa il pensiero islamico deve avventurarsi al di fuori della struttura del Tawhid per funzionare socialmente e mostrare il suo carattere filosofico.

Mohyiddin ibn ‘Arabi ha reso testimonianza a questa riflessione nel modo seguente: “Il mio cuore si è aperto a tutte le forme: esso è un pascolo per le gazzelle e un convento di monaci cristiani. È un tempio d’idoli e la Kaʿba del pellegrino, delle tavole della Torà e del Corano” .

Gialal al-Din Rumi disse: “se l’immagine del nostro diletto è nel tempio degli idoli, è assolutamente un errore girare attorno alla Kaʿba. Se la Kaʿba è priva del suo profumo, è una sinagoga. E se sentiamo nella sinagoga il profumo dell’unione con lui, essa è la nostra Kaʿba”.

Sa’id Abul Khayr (967-1049) disse: “Andai nella chiesa del cristiano e nella sinagoga dell’ebreo, e vidi che entrambi stanno innanzi a Te (Dio). Il desiderio d’incontrarTi mi condusse al Tempio degli idoli, e udii gli idoli cantare i Tuoi inni d’amore”.

Tre tipi di pensiero islamico

Muruwwa ha classificato tre tipi di pensiero islamico: il metafisico, il filosofico e l’ideologico. Per Muruwwa, il primo tipo non ha mai osato uscire dalla struttura del Tawhid. Al contrario, per il secondo e il terzo tipo, compreso il sufismo, non è avvenuta la stessa cosa. Il sufismo filosofico è generalmente ideologico e da tempo è diventato un’ideologia di resistenza. Secondo Muruwwa, l’essenza degli insegnamenti del sufismo è di “fare l’uomo a immagine di Dio”.

Padroneggiare la turath

Il contributo dato da Husayn Muruwwa allo studio del pensiero islamico e del sufismo riguarda sopratutto il modo in cui ci ricorda l’importanza di padroneggiare la turath, il patrimonio del pensiero arabo-islamico. La turath è un capitale enorme per la creazione di nuovi discorsi o paradigmi. Finora la lettura della turath è stata dominata da tre tendenze: il pensiero metafisico, il pensiero idealistico e il pensiero deterministico. Muruwwa li considera insufficienti per accedere a nuovi paradigmi.

Altri studi critici sulla turath

Seppur Muruwwa ha aggiunto un colore diverso allo studio della turath, si dovrebbero investigare anche altri percorsi. Abdel Rahman Badawi ha offerto un orientamento esistenzialista e umanista, Maxime Rodinson ha fornito un’analisi storica e sociologica in chiave marxista, e Muhammad Abed al-Jabri ha utilizzato un metodo epistemologico nella “Critica della Ragione Araba”.

Bibliografia

Husayn Muruwwa

Remembering Husayn Muruwwa, the ‘Red Mujtahid’

A tale of two communists’ – The revolutionary projects of the Lebanese Communists Husayn Muruwwa and Mahdi Amil

Inheriting the Lebanese Left: Critique in the Works of Husayn Muruwwa and his Grandson Rabih Mroué

The Afterlives of Husayn Muruwwa: The Killing of an Intellectual, 1987

The Soviet impact on modern Arabic literary criticism: Husayn Muruwwa’s concept of the “new realism”

‘Abd al-Qadir Riyadi, Il sufismo nella morsa del materialismo storico: uno studio del pensiero di Husayn Muruwwa

Gran, Peter. 1987. “Islamic Marxism in Comparative History: The Cause of Lebanon, Reflections on the Recent Book by Husayn Muruwwa”.

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