Shivaismo Tamil e misticismo Islamico

Shivaismo Tamil e misticismo Islamico

“Chi  conosce sé stesso conosce il suo Signore” (من عرف نفسه عرف ربه)
~ Hadith ~
“Conosce sé stesso e diventa uno con Shiva”  (தானே அறிந்து சிவத்துடன் தங்குமே)
~ Tirumantiram 2329 ~ (Il Tirumantiram è la decima delle dodici opere canoniche dello Shivaismo Tamil)

1. Introduzione al misticismo

Le differenti definizioni sul misticismo fornite da autori diversi, esprimono l’idea e il desiderio dell’anima umana di conseguire quel sentimento di Unicità che in termini teistici è spesso considerato fusione con l’Assoluto. Fra le varie definizioni in voga, il misticismo è definito il forte desiderio di raggiungere l’Infinito; la scienza dell’unione con l’Assoluto; l’arte d’instaurare un rapporto consapevole con l’Assoluto; l’unione della personalità umana col divino; la pratica della contemplazione; l’anelito universale dello spirito umano alla comunione personale con Dio, e così via. L’obiettivo principale del mistico, pertanto, a seconda se è teista, ateo o nichilista, è di cercare l’Unione con l’Assoluto o di stabilire l’identità dell’anima col Principio universale (“Tat Tvam Asi” in Sanscrito o “Tu sei”); in altre parole, l’autorealizzazione è solo nell’Assoluto o in quell’Unità chiamata Unicità. Stiamo parlando, quindi, delle tre principali interpretazioni definitive che sono interconnesse o conducibili l’una all’altra: Unione, Unità e Identità.

Evelyn Underhill descrisse il mistico come una persona che ha raggiunto l’unione con la Realtà di grado maggiore o minore, o chi crede in tale conseguimento. L’Islam e lo Shiva Siddhanta sono entrambe delle religioni teistiche, ma questa definizione vale più per i mistici di ambedue le fedi, cioè per i Sufi e per i Siddha. Hazrat Inayat Khan opina che l’unica differenza tra lo Yogi e il Sufi è che il primo si preoccupa maggiormente per la spiritualità, mentre il secondo più per l’umanità.

Definizione di Walî

Prima di scoprire chi è un Walî (plurale Awliyâ), è necessario definire la Walâya. Le parole Walî e Walâya hanno un’origine Coranica e la loro radice trilittera è wly che significa essere vicino, essere un amico, governare. Questa radice appare in forme diverse nel Corano per oltre 200 volte. Ibn ‘Arabi afferma che la Walâya (la Santità) è “l’ombra della funzione Profetica”, come la funzione Profetica è l’ombra della funzione Divina. La Walâya è l’appropriazione del carattere Divino (takhalluq) perché l’uomo è un’ombra delle qualità di Allah. Il termine Walî appare nella Sura Al-Ma’idah, “La tavola imbandita” (Corano, 5: 55). Ruzbehan Baqlî suddivise la Walâya in diverse stazioni: desiderio spirituale o irâdah, amore solo per Allah o mahabbah se è accompagnato da grazie (karamât), gnosi o conoscenza intuitiva (ma`rifah) accompagnata da stati di contemplazione Divina (mushâhadât). La Walâya presuppone anche l’assistenza divina. La via dell’amore non si oppone alla via della conoscenza nel misticismo Islamico; per cui un Walî è un ‘arif (conoscitore) e un muhibb (amante).

Lo sviluppo del misticismo nell’Islam offre un avvincente parallelo col progresso scientifico nel mondo Islamico. Molti Sufi, non furono soltanto dei grandi poeti (Rumi e Junaid) e dei grandi filosofi (Ibn al-Arabi), ma anche dei grandi scienziati (al-Ghazali, Ibn Sina o Avicenna, Omar Khayyam) nella storia Islamica.

Definizione di Siddha o Sittar (formula Tamil del Sanscrito Siddha)

I Siddha furono descritti quietisti nella religione e alchimisti nella scienza. Per sapere chi è un Siddha, dovremmo sapere che cos’è una Siddhi. È come dire, bisognerebbe capire che Islam significa sottomissione, se vogliamo sapere che un Musulmano è un sottomesso a Dio. Un Siddha è un asceta che ha raggiunto la Siddhi. Il termine deriva dalla radice Sanscrita sidh che significa “compimento” o “realizzazione”; così, il sostantivo si riferiva a uno che raggiungeva la perfezione. Il Tirumantiram (Tmt) è esplicito nel descrivere chi è un Siddha. I Siddha sono coloro che vivono in Yoga Samadhi (Tmt: 1490), realizzano il Divino (Tmt: 671) e raggiungono Shiva (Tmt: 2347).

I Santi come Appar, Sambandar, Cuntarar e Manikkavasagar, i filosofi come Meykandar e Arulnandi, e anche innumerevoli Siddha come Agastya, Bhogar, Thirumular e molti altri, hanno i requisiti per essere chiamati mistici. Questi “realizzati” sono dei mistici che praticavano le austerità, lo Yoga, l’alchimia e il tantra.

2. Il misticismo nel Corano e nel Tirumantiram

Il Corano che noi tutti conosciamo è attribuito al Profeta Muhammad (ص), mentre il Tirumantiram è assegnato a Yogi Thirumular. Il Tirumantiram è il fondamento su cui la più tarda struttura della filosofia Shiva Siddhanta è stata edificata, mentre il Corano è indubbiamente la scrittura più importante per i Musulmani.

Thirumular non fu solo un membro del gruppo dei Nayanmar (i leader Shivaiti), ma anche un Siddha, i mistici all’interno dello Shivaismo. Anche il Profeta Muhammad (ص) nasce in un contesto familiare Yogico. Il suo tutore, Abdul Muttalib, mentre dormiva nella Ka’aba vide in sogno un albero che cresceva fino a raggiungere il cielo. Questo sogno indicava il potere unico della Kundalini del Messaggero (ص) dell’Islam. Praticando le esperienze alchemiche e spirituali, Muhammad (ص) fu preparato per il suo ruolo divino. Queste esperienze culminarono nel Mi’raj (o Ascesa) attraverso i sette cieli o chakra. Ci sono sufficienti informazioni sul percorso mistico dell’Islam, dell’Irfan e del Sufismo, che sono confrontabili con le esperienze mistiche e gli insegnamenti di Thirumular. Molti Sufi interpretarono la loro condizione estatica al pari dei mistici di altre fedi unendosi a Dio o alla vera Realtà. Al pari dei Sufi, Thirumular non fu mai interessato alla conoscenza Divina non sperimentata in prima persona, ma la volle realizzare personalmente. Il Corano chiede espressamente ai suoi credenti di cercare l’esperienza spirituale di Muhammad (ص) praticando la meditazione:

Non mediteranno sul Corano? Hanno forse catenacci sui cuori?” (Corano, 47: 24)

“Un Libro benedetto che abbiamo fatto scendere su di te, affinché gli uomini meditino sui suoi versetti e ne traggano un monito i savi.” (Corano, 38: 29)

I Musulmani credono all’Unicità Divina (tawhid توحيد) e si sottomettono alla Sua Volontà. Il Corano sostiene che l’uomo ritorna a Lui, ma quel ritorno è rappresentato dovunque nel Corano come una “Unione con Dio”, sia in questo Mondo sia nell’Aldilà.

L’estinzione nell’Unicità Divina, al-fana fi al-tawhid, è inevitabilmente un’esperienza di morte alla vita terrena, risarcita però con la vita Divina:

“Tutto quel che è sulla terra è destinato a perire, [solo] rimarrà il Volto del tuo Signore, pieno di Maestà e di Magnificenza.” (Corano, 55 : 26-27)

Ecco perché sono Credenti (مُؤْمِنِين) perché sono dei Cercatori (நாடவர்) dell’esperienza dei saggi. L’idea dell’Unione con Dio o ittihad (اتحاد) nel Sufismo è simile all’idea dell’Aikyavada Shivaita (சேர்தல், கலத்தல், ஆகுதல்). Lo spirito del misticismo nelle tradizioni religiose Shivaite e Islamiche è apprezzabile da queste espressioni identiche di due mistici del secolo ottavo. È detto: “Tutti i mistici parlano lo stesso linguaggio, perché provengono dallo stesso paese” (San Martino).

Disse il Santo Shivaita Manickvasagar (o Manicka Vasagar): “E loro accettano di rimanere anche all’inferno, se questa è la volontà di Dio.” (Tiruvasagam)
Disse Rabi’a al-Adawiyya, denominata la Madre del Sufismo: “O Signore, se Ti adoro per paura dell’inferno, bruciami all’inferno

3. I Sufi nell’Islam e i Siddha nello Shivaismo

Al pari dei Sufi che sorgono all’interno dell’Islam, i Siddha Tamil traggono la loro origine dalla fede Shiva Siddhanta. Sebbene gli ordini Sufi si costituirono nel 12 secolo d.C., le loro radici affondano nel secolo ottavo sotto l’avvento di Santi Sufi come al-Hasan al-Basri e Rabi’ah al-‘Adawiyah.  Allo stesso modo, la maggior parte delle scuole Indiane Siddha non apparve prima del 12° secolo, sebbene la variante meridionale, la scuola Tamil Siddha, ebbe un sistema completo e definito ugualmente nell’ottavo secolo. Sebbene i mistici si tengano lontani da argomentazioni teologiche e da dispute filosofiche, molti Sufi nell’Islam furono anche degli insegnanti, dei filosofi e dei grandi teologi (ad esempio, Ibn al-Arabi, al-Ghazali). I Nayanmar (i capi tribù) occupano nello Shiva Siddhanta la stessa posizione dei Profeti dell’Islam. Thirumular nello Shiva Siddhanta non è soltanto un capo Shivaita (Nayanmar), ma riveste anche la posizione speciale di Siddha. Nell’Islam mistico, il Magistero Profetico è assegnato a Muhammad (ص), mentre gli altri sono ritenuti dei Wali (Amico di Dio). Formalmente i Sufi, a parte la loro Santità e le loro conoscenze, non hanno alcuna collocazione nel credo dell’Islam.

I culti Siddha e Sufi traggono, rispettivamente, la loro origine dalle scritture dell’Islam e dello Shiva Siddhanta ortodosso. I Sufi credono che le parole del Corano abbiano un significato ben più profondo di quanto non sia solitamente compreso dal lettore comune, il quale intravede solo gli aspetti esteriori e la natura trascendente di Allah. Diversamente dallo Shiva Siddhanta, la gran quantità di letteratura Sufi non forma alcun canone Islamico, che è detenuto dal Corano e dalla sunnah del Profeta costituita dalla differente letteratura degli hadith. I Siddha non furono frenati come i Sufi, giacché il Tirumurai 1 stesso conteneva dei versi attribuiti ai mistici Shivaiti. Tuttavia, non solo il canone Shivaita, ma le scritture orientali in generale, contengono notevoli elementi mistici provenienti dalle scritture di origine Semitica come la Torah, la Bibbia e il Corano.

L’importanza eccessiva riposta dai mistici su certi aspetti degli insegnamenti scritturali, condusse a divergenza di opinioni, e di conseguenza, entrambi, Sufi e Siddha, dissentirono dai credenti ortodossi Musulmani e dello Shiva Siddhanta. Il rinomato studioso Tamil Kamil Zvelebil disse che gli ortodossi Indù nel Tamil Nadu ebbero sempre un pregiudizio radicato contro i Siddha. Aftab Shahryar nel suo libro “Capire il Sufismo” e Layne Little nel suo articolo intitolato “Introduzione ai Siddha Tamil” descrissero le persecuzioni patite rispettivamente dai Sufi e dai Siddha.

Aftab Shahryar
La persecuzione Sufi degli ulema Musulmani
Layne Little
La persecuzione Siddha dei Siddantin
·        Ibn Taymiya attaccò gli eccessi teosofici dei Sufi e disprezzò la dottrina dell’Unità dell’Essere (Wahdat al-Wujud). I detti fantastici di Abu Yazid al-Bastami furono respinti come espressioni di un ubriacone spirituale.
·        Muhammad Iqbal, il poeta e filosofo Pakistano di origine Indiana, sostenne che il Sufismo non ha mai avuto alcuna relazione con le semplici credenze Islamiche e lo spirito Arabo religioso.
·        Abu’l Faraj Ibn Jauzi (510-599/1116-1200) dichiarò guerra a tutte le espressioni estatiche nel suo libro “Talbis Iblis: Delusion of the Devil” e gli scritti di ‘Ibn Arabi divennero oggetto delle frecciate degli infuriati ortodossi.
·        A volte i Siddhantin furono impegnati in uno sforzo organizzato per eliminare la fazione Siddhar. Per esempio, un movimento nella seconda metà del diciannovesimo secolo, cercò in modo sistematico ogni copia degli scritti del poeta eretico Siddha Sivavakkiyar distruggendoli prontamente.
·        M. Srinivasa Iyangar nel 1914 scrisse che i Siddha sono “soprattutto plagiari e impostori”, e in aggiunta, “essendo dei consumatori di oppio e dei sognatori, la loro presunzione non aveva limiti.”

4. Gli intercessori (شَافِعِينَ): Maestri Spirituali (GuruShaikh) nello Shivaismo e nel Sufismo

I percorsi mistici, in qualsiasi tradizione religiosa, hanno seguito persistentemente la pratica del Maestro ed il lignaggio del discepolo, che sono chiamati Guru eSeedan nello Shiva Siddhanta, e SheikMurid nel Sufismo, rispettivamente. La venerazione del Guru non è vietata nello Shiva Siddhanta; anzi fu incoraggiata come un percorso di realizzazione del Sé. Questo è specialmente vero in un percorso mistico come lo Yoga che può essere intrapreso solamente sotto la guida di un maestro spirituale.

Al pari del Sikhismo, dove Dio è il Vahiguru (letteralmente il Signore meraviglioso), Shiva nello Shiva Siddhanta è egli stesso un Guru ((பரனே குருவாம்: Tmt: 2066; நாதன் குரு: Tmt: 565). Egli è il Maestro Santo e Parama Guru (பரமகுரு: Tmt: 2835). Lo Shivaismo, al pari di tutte le tradizioni religiose interne Induiste, insiste sulla necessità di un Maestro Spirituale o Santo (குரு) per il raggiungimento dell’obiettivo. I Santi Guru possono condurre alla Verità i discepoli, afferma il Tirumantiram (2049). Il Tirumantiram dichiara che un Guru è Shiva stesso, egli è Dio nella forma umana (Tmt: 1581, 1592) e bisogna trattarlo non solo come un Dio (Tmt: 1573), ma adorarLo come lo Stesso Signore (Tmt: 1578). I discepoli possono raggiungere lo Stato Supremo adorando i piedi del Guru con un amore intenso (Tmt: 2059).

Il Corano promuove l’uso di intercessori per raggiungere Dio. Il Tawassul è una pratica religiosa Islamica che avvicina il Musulmano a Dio. Il Tawassul ha origine nel Corano. I Sufi, i Musulmani Sunniti, in particolare i Barelvi, e gli Sciiti praticano questa supplica a Dio attraverso un Profeta (ص), un Imam (ص) o un Santo Sufi, vivo o morto. I versetti seguenti illustrano senza ombra di dubbio che il culto dei Santi è molto incoraggiato:

“O voi che credete, temete Allah e cercate il modo di giungere a Lui, e lottate per la Sua Causa, affinché possiate prosperare.” (Corano, 5 : 35)

“Quando i Miei servi ti chiedono di Me, ebbene Io sono vicino! Rispondo all’appello di chi Mi chiama quando Mi invoca. Procurino quindi di rispondere al Mio richiamo e credano in Me, sì che possano essere ben guidati.” (Corano, 2 : 186)

“Quello che adorano in luogo di Allah non li danneggia e non giova loro. Dicono: “Essi sono i nostri intercessori presso Allah”. Di’: “Volete informare Allah di qualcosa che non conosce nei cieli e sulla terra?”. Gloria a Lui, Egli è ben più alto di ciò che Gli associano!” (Corano, 10 : 18)

“In verità coloro che invocate all’infuori di Allah, sono [Suoi] servi come voi. Invocateli dunque e che vi rispondano, se siete sinceri!” (Corano, 7 : 194)

“Quelli stessi che essi invocano, cercano il mezzo di avvicinarsi al loro Signore, sperano nella Sua misericordia e temono il Suo castigo. In verità, il castigo del Signore è temibile!” (Corano, 17 : 57)

Questi versetti hanno contribuito nell’Islam allo sviluppo degli ordini Sufi, alle benedizioni (baraka) e alla venerazione degli intercessori. Le tombe dei Santi Sufi apparvero in tutte le regioni Islamiche e dei raduni annuali (urs) sono organizzati in occasione dei loro anniversari di morte. La cultura Islamica al pari del Tirumantiram , insegna d’inchinarsi davanti agli Imam. Fu chiesto a Qazi Seyyed Nurullah Shustari, un dotto e pio giurista sciita Indiano: “è politeismo prostrarsi davanti a qualcuno oltre Allah?” Il Qazi rispose: “Prostrarsi davanti a una persona rispettata, non considerandolo Allah, o cadere ai suoi piedi strofinandogli il volto  non è politeismo. È il risultato di un amore intenso”. Qualche hadith sunnita citato da Abu Da’ud e Ahmed e narrato da Hazrat Qais bin Sa’d, suggerisce alla moglie di prostrarsi dinanzi al marito perché Dio ha stabilito un diritto degli uomini sulle loro donne. Basta ricordare, comunque, che Allah chiese ai Suoi Angeli e a Satana d’inchinarsi dinanzi ad Adamo (ع), il primo uomo (Corano, 2 : 34). Quando la Bibbia dichiara che l’uomo fu creato a immagine di Dio (Gen, 1: 27), significa che ciò che fu creato a immagine di Dio è adorabile.

5. Il linguaggio crepuscolare dei Siddha e dei Sufi

Il linguaggio dei mistici si esprime molto semplicemente, ma i significati sono spesso oscuri giacché l’autore utilizza un simbolismo molto vasto. Le effusioni mistiche sono scritte in un linguaggio crepuscolare, spesso metaforico, e sarebbe un grave errore interpretarlo alla lettera. Tutti i grandi poeti Persiani, tranne poche eccezioni, parlano in un linguaggio allegorico che ha due significati, uno interiore e uno esteriore. Commentando il carattere della letteratura Sufi, Hazrat Inayat Khan affermò: “La maggior parte della letteratura Sufi è scritta in un modo che se qualcuno non ha conoscenza del suo significato interiore e fondamentale, ne resterà molto sorpreso.” Kamil Zvelebil, noto studioso, menzionò che diversamente dagli inni bhakti che sono testi “aperti”, i testi Siddha sono “chiusi” ed il loro significato rimane enigmatico.  TN Ganapathy, riferendosi alla lingua e alla filosofia dei Tamil Siddha dichiarò: “… il linguaggio dei Siddha è definito un “linguaggio spietato” dal momento che esso concepisce una cosa e ne esprime un’altra. Se qualcuno considera la lingua Siddha nel suo valore apparente, sarà simile all’agricoltore che ara i suoi campi aspettando che si formi la nebbia.” Confrontiamo due poesie, una Sufi e una Siddha.

Voi sapete Amici miei, quanto, nella mia Casa

Gozzovigliai per un nuovo Matrimonio:

Allontanai dal mio Letto la vecchia e sterile Ragione,

E presi in Sposa la Figlia della Vigna. (Omar Khayyam, Rubaiyat, XL)

Chiunque legga le quartine di Omar Khayyam si convince che il poeta fosse un materialista rampante, la cui unica missione nella vita avesse per scopo i festeggiamenti. Questa è l’opinione di molti studiosi. Paramahansa Yogananda, invece, ha eseguito una lettura spirituale delle sue poesie interpretando alcune parole chiave nel modo seguente:

Amici significa “desideri Spirituali” e Casa “corpo”,
Nuovo Matrimonio significa “Nuova realizzazione” (unione dell’anima con lo Spirito)
Gozzovigliai significa “celebrazioni divine” (corteggiamento gioioso dello Spirito in meditazione)

Vecchia e sterile Ragione significa “Il ragionamento teologico è anch’esso spiritualmente sterile, poiché è basato su deduzioni attinte da esperienze sensoriali incapaci di produrre la realizzazione Divina.

Letto significa “Il giaciglio della vita su cui riposano i sottili processi della coscienza”.

Figlia della Vigna significa “L’intuizione che rivela lo Spirito, che induce la beatitudine, la progenie della consapevolezza nel profondo della spina dorsale”.

Il Tirumantiram contiene dei versetti di natura analoga e dal significato oscuro:

Nei pensieri confusi le linee sono tre;

Nei pensieri beffardi gli sciacalli sono quattro;

Nei pensieri distinti e ripartiti gli elefanti sono cinque;

Questi sono i nemici della mente antagonista. (TMT: 2214)

T.N. Ganapathy spiega questo versetto nel modo seguente: “I nemici interni ed esterni della mente antagonista sono: I tre leoni – la lussuria, la rabbia e l’ignoranza: I quattro sciacalli – la mente, l’intelletto, la volontà e l’ego; I cinque elefanti – i sensi del gusto, della vista, dell’udito, del tatto e dell’olfatto. Il sadhaka dovrebbe sapere come controllare questi animali all’interno del corpo coltivando il distacco nei loro confronti e sviluppando la cessazione Yogica delle fluttuazioni mentali”.

Perché i mistici scrivono in un linguaggio ambiguo e oscuro? T.N. Ganapathy e Zvelebil osservano il loro proposito deliberato. A volte, i grandi mistici modificano il linguaggio per esprimere la loro esperienza mistica conformandosi all’autorità del Clero. Scrive Zvelebil, “Il loro linguaggio oscuro è un espediente rilevante tramite cui si rivolgono al tempo stesso sia al casuale ascoltatore, sia all’adepto spirituale consapevole delle interpretazioni profonde e mistiche dei loro versi.” Questo è il motivo, precisamente, per cui una personalità del calibro di Sri Paramahamsa Yogananda ha interpretato il Rubaiyat di Omar Khayyam in una giusta prospettiva Yogica.

Il Corano contiene molti versetti che sono interpretabili letteralmente, mentre altri necessitano la spiegazione di coloro che sono radicati nella conoscenza (al-rasikhun fi’l -‘ilm). I significati dei versetti nascosti non sono comprensibili dalla gente perversa. Questi rasikhun sono naturalmente gli Imam appartenenti alla Famiglia del Profeta (ص) e i Walî Allah.

Egli è Colui che t’ha rivelato (Muhammad) il Libro: ed esso contiene sia versetti espliciti,
che sono la sostanza del Libro, sia versetti allegorici.

Ma quelli ch’hanno il cuore traviato seguono ciò che v’è d’allegorico,

bramosi di causare dissenso spiegandoli.

Mentre la vera interpretazione di quei passi non la conosce che Allah.” (Corano, 3: 7)

6. La Santità del corpo: un microcosmo del macrocosmo

Nello Shiva Siddhanta, il corpo umano è paragonato ad un universo in miniatura. L’atteggiamento positivo dei Siddha verso il corpo umano è del tutto opposto alle opinioni delle altre sette Vediche che disprezzano il corpo umano definendolo difettoso e brutto. Uno dei maestri spirituali più riveriti in India, Ramana Maharishi, disse che l’universo intero è condensato nel corpo. Questo punto di vista è condiviso dai Sufi. Majid Fakhry, riferendosi all’interpretazione delle esperienze mistiche di Ibn ‘Arabi, scrive che l’Uomo Perfetto, dopo esser stato creato a immagine di Dio, è la pietra di paragone della creazione ed una replica dell’universo intero. In altre parole, l’uomo è un microcosmo del macrocosmo. Yusus Emre (1240 -1230), un grande umanista Sufi di origine Turca, ha detto che il corpo è un microcosmo in cui tutte le attività del macrocosmo sono riportate.

“Entrammo nella casa della realizzazione, noi testimoniammo al corpo.
I cieli vorticosi, la terra dai molti strati,
I settantamila veli, noi abbiamo trovato nel corpo.
La notte e il giorno, i pianeti,
Le parole incise sulle Tavolette Sante,
Le colline che Mosè scalò, noi osservammo nel corpo.
La Torah, i Salmi, il Vangelo, il Corano,
Ciò che questi libri narrano, noi trovammo nel corpo.
Tutti dicono che queste parole di Yunus sono vere.
La verità è ovunque la si desideri. Noi la trovammo tutta all’interno del corpo.
(Yunus Emre)

Per Thirumular, il santuario Santo (கோயில்) di Dio è il cuore nel corpo carnoso, esso è detto tempio (ஆலயம்) (Tmt: 1823). Questa città di nove porte (Tmt: 470) non è da disprezzare, ma è custodita per l’adorazione (Tmt: 725). Il Signore non ha un’altra dimora diversa dal corpo-casa di Jiva (Tmt: 2650). L’idea del corpo come una dimora di Dio da scoprire non è affatto nuova alla filosofia Induista, giacché è menzionata anche nelle Upanishad. “In questa città di Brahman (il corpo) c’è il palazzo, il piccolo loto (del cuore), e in esso un etere. Ebbene, si deve ricercare e capire ciò che esiste all’interno di quell’etere piccolo.” (Chandogya Upanishad, 8.1.1). Anche nel Cristianesimo, una religione di origine Semitica, il corpo è presentato come il tempio di Dio, perché al suo interno vi è lo Spirito di Dio. “Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (I Corinzi, 3:16) e “glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (I Corinzi 6:20).

Dato che il Sikhismo evolse in un contesto conflittuale e di dissertazioni religiose tra Fachiri Musulmani e Yogi Indù, non è sorprendente constatare che il testo sacro del Guru Grant Sahib considera anche il corpo umano come il Tempio di Dio.

Questo corpo è il Tempio del Signore, in cui il gioiello di saggezza spirituale si rivela.

I caparbi manmukh non sanno niente;

Non credono che il Tempio del Signore è all’interno. (Guru Grant Sahib, Vol. 4, pag. 534)

(Significato di manmukh: http://www.sikhiwiki.org/index.php/Manmukh)

Le discipline Sufi di concentrazione, con le loro fissate e accurate tecniche respiratorie e posturali, aiutano la gente a sperimentare un senso di presenza trascendente interiore. L’intero sistema Sufico ruota attorno a due domande: (1) Come può l’uomo ottenere l’esperienza della presenza Divina interiore? (2) Qual è la relazione di Dio con gli individui e con l’universo? Queste domande si applicano anche al percorso mistico e religioso dello Shivaismo.

7. Guardarsi all’interno e avvicinarsi a Dio

Le essenze sono specchi in cui Dio si riflette (Al Qual Al Jamil)

Lui è dentro di te, anche fino a riflettersi nello specchio (Tmt: 603)

In tutte le religioni teiste, Dio è trascendente ed immanente. Solamente il grado di trascendenza e d’immanenza differisce tra le religioni. La parola Kadavul (கடவுள்) in Tamil è unica, poiché contempla la natura trascendente e immanente della Realtà. Etimologicamente, è una conglomerazione di due parole, “kada” (கட) che significa “al di là”, e “ul” (உள்) il cui significato è “dentro”. È il Manifesto e l’Occulto  (الظَّاهِرُ وَالْبَاطِنُ) del Corano (57: 3) e pure del Tirumantiram (உள்ளன், புறத்துள்ளன், Tmt: 1532). Diversamente dal Corano e dalle Upanishad, comunque, il Tirumantiram sottolinea ripetutamente la natura gemella o duale di Dio (Tmt: 2350, 3043) e considera importante l’auto-realizzazione o il ritrovamento di Lui (Dio) nel proprio interno.

Gesù disse: “Eccolo qui, o eccolo là; perché ecco, il regno di Dio è dentro di voi.” (Luca, 17: 21). La caratteristica della fede Induista è la sua ricerca interiore della Realtà divina. Nell’Islam, dopo la morte del Profeta (ص), i Santi chiamati in seguito Walî, misero in luce e in pratica la ricerca interiore della Realtà; ma certi mistici, incuranti del retroterra religioso, erano scherniti dai comuni mortali, poiché girovagavano alla ricerca di Dio senza rendersi conto della Sua presenza al loro interno. Entrambi, Sufi e Siddha, affermano:

Che sia familiare il tuo rapporto con Dio! Egli ci è più vicino di noi stessi,

Per ignoranza, noi però vaghiamo da porta a porta alla Sua ricerca.

(Commento gnostico al Corano, 50: 16)

Ininterrotto come il filo dentro uno stelo di loto è Param (Assoluto) all’interno;

Eppure non cercano là, ma girovagano dappertutto. (Tmt: 2562)

La maggior parte delle Sacre scritture proclama il ritorno dell’uomo alla sua fonte paradisiaca originale, di solito dopo la morte. Tuttavia, il misticismo ha come obiettivo la realtà spazio-temporale in cui l’uomo vive. Ecco perché la tradizione spirituale Indiana distingue due tipi di moksha o liberazione: (1) Ante-mortem,Jivan Mukti e (2) Post-mortem, Videha Mukti. Il Tirumantiram dichiara che Dio trascendente può essere attratto in questo mondo di immanenza nel suo vero tempio chiamato cuore (Tmt: 1748). Solo gli sciocchi cercano con la fiaccola ardente mentre dentro di loro v’è la torcia (Tmt: 749). Il Tirumantiram dichiara: “Possa tu incontrare il Signore, ora e quaggiù” (இன்று கண்டு இங்கே இருக்கலும் ஆமே).

Passo dopo passo, pratica l’astinenza mentale e guarda all’interno;

Una ad una le tante virtù che vedi dentro;
Puoi allora incontrare il Signore, ora e quaggiù,,
Che l’antico Veda ancora cerca dappertutto.
(Tmt: 578)

O il Signore scende conferendo la Sua grazia o il mistico ascende guardandosi dentro. In entrambi i modi, che si tratti di ascesa o di discesa, è richiesto lo sforzo del soggetto. “Il Signore accordi la Sua grazia e si avvicini quando Lo adorate.” (Tmt: 1526) Pertanto, il devoto deve adorarLo per ricevere la grazia. Sembra che “avvicinarsi a Dio” sia solo una fase lungo il viaggio del mistico verso Dio. Non sorprende che tutti i percorsi mistici, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa, descrivano questa fase come un punto importante per l’avvicinamento del devoto a Dio.

Riccardo di San Vittore presenta l’ascesa all’unione con l’Assoluto in quattro tappe di “Ripida Scala d’Amore”: (1) Sete per l’Amato, (2) Visione dell’Amato, (3) Unione in matrimonio e (4) Ritorno o Fusione. I Sufi Hazrat Ali (ع) e Hazrat Abd al-Qadir al Jilani descrissero il Sufismo come un acronimo di quattro lettere (TSWF) della parola Tasawwuf (تصوف). Ogni lettera rappresenterebbe una tappa segreta o una qualità Sufica: (1) la prima lettera “T” significaTawbah, pentimento, (2) la seconda lettera è la fase di pace o gioia, Safa, (3) la terza lettera indica lo stato di Santità degli amanti o amici della Wilaya di Allah, (4) la quarta lettera rappresenta il fanā’, l’annullamento del sé. Il Tirumantiram descrive anche le quattro fasi successive per la Completa Beatitudine, vale a dire Saloka, Samipa, Sarupa e Sayujya (Tmt: 1507)

Le quattro fasi di ascesa e di unione, enumerate da Cristiani, Musulmani e mistici Shivaiti

Riccardo di San Vittore

Abd Al Qadir Jilani

Thirumular

(1) Sete per l’Amato

Tawbah (توبه), Pentimento

Saloka (Vivendo nel Mondo di Dio)

(2) Visione dell’Amato

Safa, Purezza, pace o gioia

Samipa (Essere vicino a Dio)

(3) Unione in matrimonio

Walî (ولي), Amico di Allah

Sarupa (Possedere la forma di Dio)

(4) Ritorno o Fusione

Fana’ (فناء) Annientamento del sé.

Sayujya (Essere uno con Dio)

8. Rapporto Uomo Dio

Fondamentalmente, ci sono tre parti nel misticismo: la prima parte è il marga o il metodo utilizzato dal mistico, la seconda è l’ascesa spirituale e la terza è la Beatitudine finale. Per quanto riguarda il metodo, un mistico innamorato di Dio può contemplare il Signore come Padre (satputra marga), Maestro (dasa marga), Amico (saha marga), Conoscente (san marga) o Amante (madhura bhava). Il percorso o il metodo scelto, quindi, è influenzato dal retroterra religioso del mistico. Un Cristiano vedrebbe Dio come un Padre in cielo, mentre un mistico Musulmano si ritiene un servitore del suo Padrone. Nonostante questa tendenza generale, nulla impedisce ai mistici di queste tradizioni religiose il percorso alternativo dell’Amicizia, della Conoscenza e dell’Amore. Il Corano raccomanda sempre un rapporto Padrone-Servitore tra Dio e l’uomo (2: 23, 6: 18, 7: 194, 8: 51, 15: 49, 25; 1, 37: 81, 40: 31, 43: 68, 76: 6), ma nell’intento di avvicinarsi progressivamente a Dio (per esempio, Corano, 56: 11, 3: 31). La scrittura Shivaita del Tirumurai sottolinea altre relazioni. Uno studio critico dello Shiva Siddhanta rivelerà che tutti questi marga (strumento o via) sono all’interno della sua congregazione.

Questa caratteristica non è esclusiva solo dello Shiva Siddhanta, ma dell’Induismo in generale. Le confraternite Musulmane, invece, contemplano al loro interno le seguenti relazioni: padre-figlio, maestro-schiavo, guida-viaggiatore, medico-paziente, insegnante-studente, amato-amante, ecc… (Arthur F. Buehler, Sufi heirs of the Prophet: the Indian Naqshbandiyya and the rise of the Mediating Sufi Shaykh, pag. 138)

La relazione Uomo-Dio nello Shivaismo è fondamentalmente una riflessione della relazione tra Padrone e Servitore (அந்தன், அடிமை. Questo rapporto è maggiore nell’Islam che di per sé significa Sottomissione o Abbandono. I credenti Musulmani inclusi molti mistici, si considerano degli schiavi obbedienti (عَبْد) di Allah. Allah è dolce con i Suoi servi (42: 19) afferma il Corano. Il Corano 3: 19 menziona espressamente che il Cammino di Allah è “Abbandono o Sottomissione” (إِنَّ الدِّينَ عِندَ اللّهِ الإِسْلاَمُ).

I Sufi credono che il Corano li citi assegnandogli una categoria speciale chiamata Muqarrabun (مُقَرَّبُونَ), il cui significato è “I Ravvicinati a Dio”. Il Corano divide gli esseri umani nel Giorno del Giudizio in tre classi  (56: 7-11): (1) I compagni della Mano destra, (2) I compagni della Mano sinistra e (3) I Ravvicinati a Dio (Muqarrabun: مُقَرَّبُونَ). L’idea di “avvicinarsi a Dio” si trova nel Tirumantiram , un testo dello Shiva Siddhanta:

Avvicinati al Signore, Egli non ti lascia;

Avvicinati al mondo, ti lascia solo

…… dichiara Thirumular (Tmt: 2811).

Un versetto del Corano paragonabile sottolinea lo stesso concetto:

Chi desidera il campo arato dell’Altra Vita,

Glie ne daremo in abbondanza.

E chi desidera il campo arato del mondo,

glie ne daremo, ma nell’Altro non ne avrà parte alcuna. (Corano, 42: 20)

Il messaggio è molto chiaro in questi versi. I materialisti non avranno alcuna ricompensa nell’Aldilà. I Sufi ritengono che i “Muqarrabun” non siano esattamente una sottocategoria all’interno dei “Compagni della Mano destra” come generalmente interpretano alcuni studiosi; altrimenti Allah non li avrebbe collocati in una categoria particolare.

Come avvicinarsi a Lui? Il Corano recita: “non gli obbedire, ma prosternati e avvicinati (ad Allah)” (Corano, 96: 19). Il Tirumantiram fa anche un’osservazione simile. “Nessuno eccetto chi si pente profondamente si avvicina a Lui” (Tmt: 1623). Il Tirumantiram afferma che il Signore accorderà la Sua grazia e si avvicinerà quando Lo adorate (Tmt: 1526). È prostrandosi, adorando e pentendosi duramente che l’uomo può avvicinarsi a Lui.

Il Madhura bhava, il misticismo dell’amore, detto anche “mistica nuziale”, è uno stato d’animo dolce, è un profondo senso di amore e di devozione scaturente dal cuore dei mistici verso Dio che lo rende uno dei tanti metodi (“marga”) riconosciuti. In questo caso, senza alcuna distinzione di sesso tra uomo e donna, tutti gli esseri eccetto Dio sono donne, e Dio è l’unico maschio “Purushottama” (“Purusha supremo”, “Essere Supremo”). A mo’ della maggior parte dei mistici che sono ebbri di Dio, Thirumular è ben noto per la sua espressione “l’Amore è Dio” (அன்பே சிவம்). Nel madhura bhava c’è spazio sia per il timore di Dio, sia per il fascino, l’affetto e la nostalgia dell’amato che si unisce con il suo Amante. Nell’Islam, Rābi‘ah al-‘Adawiyah introdusse per la prima volta il concetto dell’amore divino, il quale divenne il punto cardine nella vita religiosa del devoto.

Jalal ad-Din Rumi dichiarò nel suo poema epico mistico il Mathnawi: “La religione dell’Amore è diversa da tutte le altre religioni; Per gli amanti, Dio è la loro religione e la loro fede” (Mathnawi, Libro 2, verso 1770). Al-Hallāj, un Sufi nato in Persia, descrisse “l’essenza dell’unione” (`ayn al-jam’) in cui il mistico e l’oggetto divino della sua ricerca diventano uno. Mahmud Shabistari (1250-1320), uno dei più celebri mistici Sufi di Persia, interpreta l’unione mistica del Sé col Divino per suggerire l’unità di tutte le religioni:

“Io” e “Tu” sono il velo tra cielo e terra;

Solleva questo velo e vedrai come tutte le sette e le religioni sono una.

Solleva questo velo e ti chiederai quando “Io” e “Tu” non esistono. (Mahmud Shabistari, tratto dal poema “Una Luce”)

L’entusiasta Thirumular esclama parole molto simili!

L’ho cercato nei termini di “Io”e “Tu”
Ma Egli non distingue l’Io dal Tu
Mi ha insegnato la verità, “Io” in verità è “Tu”
E adesso non parlo di “Io” e “Tu”
(Tmt: 1441)

Questa espressione d’Unicità di “Io” con “Tu” è abbastanza comune nei testi Indù. L’amore è spesso manifestato tra gli amanti. In questo modo, Radha esprime a Krishna (ع) la più grande realizzazione.

Nel momento benedetto della nostra unione

non v’era alcuna coscienza

che io ero la Tua amante e Tu il mio amato.

Affinché la mente cessi di funzionare,

svanisca la distinzione tra “Io” e “Tu”.

Dei 12 Shiva Tirumurai, solo il decimo e il dodicesimo, cioè il Tirumantiram e il Periyapuranam, non hanno canzoni composte in stile madhura bhava. La cosiddetta mistica nuziale, in cui il devoto posto davanti a Dio simboleggia la sposa e Dio simbolizza l’amato, appartiene alla tradizione mistica del Sufismo e dello Shiva Siddhanta. Il noto poeta Persiano Omar Khayyam (1050-1132), autore del famoso “Ruba’iyyat” (in Arabo Quartine poetiche), esprime lo stesso concetto con le seguenti parole:

C’era una porta della quale non trovai la chiave;
C’era un velo al di là del quale non potevo vedere;
Per un po’ un breve discorso su Me e Te
Sembrò esserci, e quindi non più Te e Me!

(Omar Khayyam, Rubaiyat, XXXII)

9. Fasi di ascesa spirituale

La seconda parte del misticismo riguarda il processo o le fasi di ascesa spirituale nelle diverse tradizioni ascetiche. Ci sono diverse fasi della coscienza umana tramite cui il mistico ascende a Dio discendendo nella propria mente. L’esperienza mistica di Dio è una pratica soggettiva che implica un viaggio interiore, non è una percezione oggettiva esteriore. Qualche volta i mistici si riferiscono agli stadi del loro viaggio spirituale verso l’alto usando dei simboli o punti di riferimento. Queste pietre miliari sono descritte in modo diverso nelle differenti tradizioni contemplative. Nella mistica Ebraica, il compito del mistico è di ascendere attraverso i sette “cieli”, detti “heikhalot” (palazzo), al Trono di Dio. Dante espresse gli stadi d’ascensione in una forma cosmica di dieci cieli. Il Profeta Muhammad (ص) giunse al più alto livello di presenza divina attraverso i sette cieli. Il Tirumantiram dichiara “Trascendere i sette universi e oltre, è la grande luce” (TMT: 2388).

Ascendendo attraverso i Sette Alti Gradini,

Sei sicuro di raggiungere la Casa. (Tmt: 2905)

In tutte le tradizioni religiose, i mistici compiono un viaggio spirituale e ascendono al trono di Dio o alla Sua presenza nel più alto dei cieli. Questo viaggio simboleggia l’integrazione dell’intero essere mistico col Divino. Thirumular si riferisce a questa ascesa scalando un Albero mistico o una Montagna (Tmt: 625, 626), alla maniera di Platone quando cita le varie scale di ascensione. L’idea che riproduce l’ascesa dell’anima lungo una scala, non tocca solo la tradizione Semitica. Il Tirumantiram mostra che l’anima ascende a Shiva sormontando una scala (Tmt: 1424). Il Profeta Muhammad (ص) sperimentò in cielo la presenza divina guidato dall’Angelo Gabriele durante il viaggio famoso di notte o Mi’raj (letteralmente = “ascensione”). Il Corano cita la prima parte di questo evento, il Miraj, il viaggio notturno, nella Sura 17:

Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo
Dal Tempio Santo al Tempio Ultimo

(مِّنَ الْمَسْجِدِ الْحَرَامِ إِلَى الْمَسْجِدِ الأَقْصَى)

(Corano: 17: 1)

Yusuf Ali scrisse nella sua introduzione alla Sura 17:

Il Profeta (ص) fu trasportato dalla Moschea Sacra (di Mecca) alla Moschea Lontana (di Gerusalemme) in una notte, mentre gli furono mostrati alcuni Segni di Allah. Il Santo Profeta (ص) fu prima trasportato nel luogo delle prime rivelazioni in Gerusalemme, e poi portato attraverso i sette cieli al Trono Sublime.

Il Mi’raj, l’ascensione, il viaggio alla presenza divina, è il prototipo del cammino spirituale dei Sufi.  Ci sono almeno cinque figure della Bibbia che ascesero al cielo: Enoch (Gen., 5: 24), Elia (2 Re, 2: 11-12), Gesù (Atti, 1: 9), Paolo (2 Corinzi, 12: 2-4) e Giovanni (Apocalisse o Libro della Rivelazione, 4: 1). L’ascensione di Muhammad (ص) fu possibile sul Buraq, un cavallo alato; la visione misteriosa di Ezechiele fu resa possibile sulla Merkava, il cocchio divino (Bibbia, Ezechiele, 1: 1), mentre la tradizione Tamil registra l’ascensione del Nayanar (poeta Shivaita) Cuntarar sopra un elefante bianco. Uno scenario somigliante di ascensione attraverso lo spazio cosmico, è stato riferito da molti mistici.

A prescindere dalla tradizione mistica, l’ascensione è suddivisa in tre fasi principali: purificazione, illuminazione e unione. Dante nella sua Divina Commedia la rappresenta in InfernoPurgatorioParadiso. Questo viaggio, tuttavia, è stato tradizionalmente simboleggiato in un passaggio attraverso le sette stazioni interiori raffiguranti i cieli, le residenze, le stazioni, le valli e i palazzi. Alcuni mistici lo immaginarono come un viaggio pericoloso attraverso i sette cieli, mentre altri, ad esempio il poeta Sufi Farid al-Din ‘Attar e il fondatore del Babismo, il Baha’ullah, raffigurarono il viaggio nella forma di sette valli. Nel nono secolo, il Sufi Ahmed ibn Abu al-Hassan al-Nuri (morto il 295/907), nella sua opera “Stazioni dei Cuori” (maqamat al-qulub), descrisse il viaggio nella forma di sette castelli (castelli di corindone, argento, ferro, ottone, ecc…). I praticanti di Yoga Kundalini lo considerano un viaggio attraverso le “stazioni della colonna vertebrale” che chiamano chakra o ruote (dal muladhara al sahasrara), mentre alcuni mistici Shivaiti Tamil come Cheraman Perumal Nayanar e Nampiyandar Nambi compararono il progresso dell’anima ai sette stadi attraversati da una ragazza durante la sua vita  (பேதை, பெதும்பை, மங்கை, மடந்தை, அரிவை, தெரிவை, பேரிளம்பெண்).  Nella tradizione Siddha Tamil, le stazioni sono a volte identificate con certe località importanti del Tamil Nadu (Thiruvarur, Kasi, Chidambaram, ecc…). Santa Teresa d’Avila nel sedicesimo secolo descrisse l’avanzamento dell’anima attraverso le “sette Dimore o stanze” nella sua opera “Il Castello interiore.” Gli Ebrei chiamarono i cieli nel loro linguaggio figurativo, palazzi o “heikhalot”. Seppur le espressioni simboliche differiscono, la descrizione di questi stadi mostra una somiglianza sorprendente (vedere la tavola sottostante).

Le sette fasi di ascesa spirituale Sufi, Cristiana e nella mistica Indù

10. Interpretazione della Beatitudine Finale

La terza e ultima parte del misticismo, ma forse la più importante, è l’interpretazione della Beatitudine Finale. L’interpretazione delle ascensioni dei mistici è culturalmente condizionata dalla loro tradizione religiosa. Per un Advaitista, la Beatitudine Finale è l’identificazione dell’Atman (anima umana) col Brahman (la Realtà Universale); un Cristiano la chiamerebbe “visione dello Spirito per raggiungere il Regno di Dio”; per un Buddista è il raggiungimento del Bodhisatva o il raggiungimento dello stato di nirvana; per uno Yogi Shivaita si tratta di diventare uno con Shiva; il Musulmano Sufi indica questo stato finale col nome di fana’, l’estinzione in Dio (o l’Unità dell’Essere, il Wahdat al-Wujud); mentre un Cabalista Ebreo interpreta questa esperienza nel raggiungimento del trono di Dio.

È interessante confrontare la sommità o lo stadio più elevato del matrimonio spirituale nelle differenti tradizioni religiose. Nel Tirumantiram , Moolar paragona la tappa finale del sahasrara nel Kundalini Yoga al Monte Meru, la sacra e mitica montagna degli Indù, dei Buddisti e dei Giainisti, la quale è spesso identificata col monte Kailash appartenente all’Himalaya Tibetano (Tmt: 1984). Il più basso stadio del muladhara è paragonato alla Terra (Tmt: 1982, 1983). Nella mistica Ebraica e Islamica, il livello più alto è il Trono di Dio. Il Corano indica molti punti riguardanti la sperimentazione del Kundalini Yoga. Il Corano dichiara che Dio trasportò di notte il Profeta Muhammad (ص) dalla Moschea Sacra alla Moschea Lontana  (مِّنَ الْمَسْجِدِ الْحَرَامِ إِلَى الْمَسْجِدِ الأَقْصَى) (Corano, 17: 1). La Moschea Sacra della Mecca (الْمَسْجِدِ الْحَرَامِ) indica lo stadio più basso, mentre la Moschea Lontana (الْمَسْجِدِ الأَقْصَى) di Gerusalemme la vetta più elevata. Inoltre, il Corano contiene il versetto che comprova questo evento di ascesa verticale (Mi’raj) attraverso i sette chakra. Il diagramma di uno Yogi in meditazione, indica chiaramente la sinistra, la destra e il canale posto al centro. È sul canale centrale, chiamato nello Yoga sushumna nadi o il Sirat al Mustaqim del Corano (1 : 6), che tutti i chakra (centri spirituali) sono situati. Il Profeta Muhammad (ص) indicò di camminare sul sentiero centrale e di non sbandare, né a destra, né a sinistra, rimanendo in equilibrio.

Il Corano contiene, inoltre, il codice che simboleggia i sette chakra.

“E le fu ancora detto: Entra nel palazzo!

E quando essa lo vide lo credette una gran

distesa d’acqua, e si scoprì le gambe.

Ma Salomone le disse: È un palazzo pavimentato

di cristalli! Allora la Regina esclamò: Signore! Io ho fatto

torto a me stessa, ma ora, come Salomone, mi

dò ad Allah, il Signor del Creato!

(Corano, 27: 44)

Saba (Saba’) significa “sette.” La Regina di Saba è la Regina del sette. Questo codice simboleggia i sette chakra.

Nello Yoga, la Regina dei sette chakra è detta Madre Kundalini, essa è ciò che caratterizza Saba nel Corano.

(vedere articolo: https://bakshi786islam.altervista.org/madre_kundalini_e_la_sura_della_formica_nel_corano_1983508-shtml/)

Un Sufi persegue abitualmente l’abnegazione e la contemplazione fino al fana’ (فناء), l’estinzione o l’assorbimento totale nella Divinità. Lo stadio del fanā’ (فناء), perciò, corrisponde allo stato di Mukti nel sistema Indiano. Che cos’è il fana’? Il fana’ è il passaggio finale che conduce alla sommità degli stadi. Il fana’ è uno stato o un potere “mentale” di “morte reale” o di “morte vivente” simile al concetto filosofico Indiano di “Jivan Mukti” (salvezza Ante-mortem), giacché la liberazione si realizza in un’esistenza incarnata essendo opposta al “Videha Mukti”(salvezza Post-mortem), dato che la liberazione è ottenuta dopo la dissoluzione del corpo.

L’interpretazione Sufi del fana’ come molti hanno già evidenziato fu spesso confusa col nirvana Buddista. Il Nirvana è descritto come uno stato in cui l’ego scompare estinguendo l’anima umana e la coscienza. Il suo significato è “soffiare o spegnere una fiamma” o “soffiare o estinguere i desideri.” Il fana’ è con Dio ed è perciò teistico. Se il fana’ è lo stato finale di estinzione che conduce alla vetta del totale assorbimento nella Divinità, si può equipararlo al Samadhi. Per Majid Fakhry questa nozione di autoannientamento o di estinzione è il riflesso dell’influenza nichilista Induista prima che il Sufismo diventasse panteistico o un “misticismo unitario.”

Come si coniuga l’esperienza mistica col Divino? I mistici la descrivono con allegorie. Santa Teresa d’Avila paragona il matrimonio spirituale all’acqua che cade dal cielo in un fiume o ad un piccolo ruscello che si versa in mare, là le acque si uniscono e non si separano più. Thirumular lo confronta alla mistura di acqua e sale, mentre al-Hallāj al vino che si mescola nell’acqua pura.

Versi Siddha Versi Sufi
  

Come il sale in acqua, nel Signore mi mescolai,

Trascendendo Param e gli stati di Paraparam*, (2945)

Al pari dell’acqua che riforma le bolle,

Al pari della fiamma di canfora* che non lascia traccia,

Così è quando Jiva si unisce in Param. (Tmt: 2587)

Il tuo spirito sta mescolandosi con il mio spirito

Come il vino sta mescolandosi con l’acqua pura

E quando qualcosa ti tocca, mi tocca

Adesso Tu sei me in ogni cosa (al-Hallāj)

* Swami Ramalinga (1823-1874), un leader religioso Shivaita Tamil e fondatore di una religione sincretista nota come il “Samarasa Suddha Sanmarga”, e Sri Aurobindo (1872-1950), composero insieme uno studio comparato intitolato “Arut perum jothi and deathless body”, nel quale spiegarono il significato di Param Paraparam.Para Param” significa il cielo più lontano al di là di Param,  la supermente terziaria. Quindi, vuol dire apprendere supermente. “Para Param” si distingue da “Paraparam” (cioè, para apara il confine del cielo tra il superiore e l’inferiore).

* Gli Indù venerano la fiamma sacra bruciando canfora. La canfora è usata nelle celebrazioni notturne di Maha Shivaratri di Shiva, il dio Indù della distruzione e della rigenerazione.

Sebbene l’esperienza spirituale di tutti i mistici appare identica, l’interpretazione ed il risultato finale della stessa è condizionato stabilmente dalla tradizione culturale in cui hanno vissuto. Il misticismo è parte integrante dell’Induismo e di tutti i testi Indù, specialmente della shruti, che contiene elementi mistici notevoli. Nell’Islam, invece, nonostante le avversità dei teologi ortodossi, molti Musulmani Sufi non hanno esitato a interpretare la loro esperienza religiosa come unione col Divino.

La storia registra che molti mistici, nel loro stato di unità assoluta con l’Assoluto, hanno usato spesso un linguaggio paradossale ed eterodosso per esprimere la loro esperienza mistica. Quando il soggetto diventa uno con l’Oggetto, qualunque espressione del Soggetto può essere considerata proveniente dall’Oggetto. Forse il più audace di tutti i Sufi, al-Hallāj, osò dichiarare che la sua percezione diretta di Dio costituiva la prova più chiara di rivelazione e ragione (nell’analisi dell’Ayatollah Amoli rivelazione e ragione sono complementari). Egli proclamò “Io sono la Verità” (Ana al-Haqq), che nella terminologia Sufi è considerata una dichiarazione di grande umiltà perché afferma la verità. Al-Hallāj evitò effettivamente di dire “Io sono Dio”, che equivale a dire “Io sono Quello” (Io sono Brahman) nel misticismo monistico dell’Advaita di Sankara sottolineato nelle Upanishad. Thirumular dichiarò che avendo realizzato la Conoscenza che conosce tutto, puoi benissimo dichiarare “Io sono Dio”:(இறை எனலாமெ: (Tmt: 2596). Il Chandogya Upanishad 6.8.7 dichiara: “Quello sei tu”, il cui significato non è unione con Brahman, ma solamente che uno si identifica con Quello.  Il mistico Indù non fu mai riluttante a istituire un’identità completa tra l’ispirazione e Dio stesso. Nei testi dello Shiva Siddhanta, la Beatitudine Finale è interpretata come Unione con Shiva. Il messaggio più ripetuto nel Tirumantiram è Mukti , cioè l’Unione dell’uomo con Shiva.

Il vero obiettivo è di fondersi in uno con Shiva (Tmt: 1546);
Chi ha gustato la Beatitudine di Shiva, sarà uno con Shiva (Tmt: 1644);
Lui/lei diventa uno con Shiva quando Jiva raggiunge l’Autoconoscenza (Tmt: 2331, 2380);
In verità Mukti deve essere uno con Shiva (Tmt: 2475).

Il Tirumantiram utilizza differenti termini per indicare l’unione: “Unione” (சேர்தல்: 2710, 862), “Realizzare l’Unione” சேர்ந்து உணரல் (1062), “Fondere” கலத்தல் (2943), “Fondersi nella Verità” பொருள் கலத்தல் (1037) e “Processo di cambiamento verso l’alto” ஆகுதல் (630). Cercando interiormente attraverso la contemplazione e le pratiche Yogiche, gli autorealizzati diventano effettivamente Shiva, afferma il seguente versetto audace del Tirumantiram :

எல்லாம் அறிந்த அறிவினை நான் என்னில்,
எல்லாம் அறிந்த இறை எனலாமெ.

Quando puoi dire: “Io sono la conoscenza che sa tutto”,

Allora puoi ben dire, “Io sono Dio che sa tutto” (Tmt: 2596)

Il versetto successivo significa che “Jiva diventa Shiva” e non si tratta “dell’individuo” come generalmente si presume.

E alla fine raggiunge Jnana

In Sivoham “Io” e “Tu” si ha l’unione

Jiva è diventato lui stesso Shiva. (Tmt: 1469)

* Sivoham: significa “Io sono Quello; Io sono Shiva”. È l’unità fondamentale di Dio e dell’anima.

Kabir, Suhrawardi e molti altri importanti Sufi dissero: “Dio è dappertutto e in ogni cosa”. Questa dottrina del wahdat al-wujud (وحدة الوجودثة) che era alternativa all’interpretazione prevalente dell’ittihad (اتحاد) o dell’Unione ricevette la netta opposizione dei teologi ortodossi Musulmani. Questa forma di misticismo panteistico era anche più Indiana nei caratteri e nelle espressioni. Un proverbio Tamil dice: “Dio è nel pilastro e nella scheggia” (அவர் தூணிலும் இருப்பார், துறும்பிலும் இருப்பார்). Le dottrine Sufi sono indubbiamente panteistiche: l’unione dell’uomo con Dio, l’emanazione di ogni cosa proveniente da Dio e il coinvolgimento finale di qualsiasi cosa nell’Essenza Divina. Ecco perché il misticismo è definito anche come l’esperienza del Tutto nell’Uno e dell’Uno nel Tutto. Un poeta Sufi esprime questa idea panteistica in questo meraviglioso distico:

Il tuo viso è visibile attraverso questo mondo che Ti domanda: sei nascosto?

Se Tu sei nascosto, come venisti al mondo?

La maggioranza dei Musulmani Ismailiti è panteista, o per essere più precisi, panenteista.

11. Una breve descrizione dei Pir Sufi nel sacro panorama Shivaita Tamil

I Pir Musulmani Tamil sono delle figure suggestive nell’immaginario Shivaita Tamil. Tra le molte leggende e le varie biografie, un comune riferimento alla tradizione Shivaita è la comparsa in molti testi tazkira (poesia che permette ai Pir di presentarsi in una posizione di dominio sulle figure del pantheon Indù) Tamil del sacro toro Nandi, mezzo di trasporto e assistente del dio Shiva.

Questo figura molto amata del pantheon Induista sopporta molte vicissitudini in queste opere. Un Pir, Shah Bheka di Trichy, dopo aver animato la statua di toro in pietra di un tempio vicino, costrinse il governatore (nayaka) locale Indù, la regina-reggente (rāni in Urdu e Hindi) Magnammal (1689-1704), di assegnarla alla suakhanaqah. Dato che la rāni non acconsentì inizialmente alla rivendicazione del Santo, il Pir fece galoppare a testa in giù lo sfortunato Nandi per la città, finché la regina cedette alle sue richieste. Nelle tazkira di Nagore, Nandi subisce un affronto maggiore: i discepoli di Shahul Hamid macellano e mangiano il toro divino, e il Santo mostra i suoi poteri miracolosi facendo ritornare in vita le parti digerite.

In questo incidente, il Pir usa il suo potere di intercessione per conto della divinità Indù identificandosi nientedimeno con Nandi e opponendosi ai suoi seguaci.

Questa leggenda non si liquida rigettandola tra le aberrazioni sincretistiche di un Santo eccentrico Tamil. Ci sono numerose varianti della storia, l’uccisione e la rianimazione di Nandi appare più volte nelle biografie dei Sufi dell’India Meridionale. Inoltre, questo tema non è facilmente scartabile, giacché non appare solo nei testi Tamil della regione o nei culti dei Santi di Nagore e dei Pir di Trichy (Tiruchirappalli o Tiruchi); non si tratta di una “Tamilizzazione” operata dal Musulmano Andavar (letteralmente “il Signore”) della regione. Al contrario, la storia di Nandi si distingue nelle opere Sufi in lingua Urdu e Persiana della regione, nonché nei culti tradizionali in cui si ritiene che ci siano pochi “prestiti” dalla più ampia cultura panteistica della regione.

C’è un esempio particolarmente affascinante (di questo) nella collezione dei manoscritti Mackenzie 1803 – un resoconto originariamente composto in Persiano – che racconta la storia di un feroce serpente maneggiato da Pir Baba Fakiruddin. Secondo questo testo, Baba Fakiruddin e i suoi discepoli si stabilirono a Penukonda quando la città era governata dal sovrano Indù “Seringarayar”. Il re ed i suoi cortigiani non li ricevettero rifiutandogli il cibo e violando l’obbligo della pia munificenza, uno dei pilastri principali della regalità Indiana. Quando la divinità di uno dei templi Indù della città ne venne a conoscenza, regalò a Baba Fakiruddin un suo toro sacro affinché i discepoli del Santo lo macellassero e lo mangiassero. La storia si conclude come in tutte le tazkira di Nagore: il Santo batte il suo bastone sul terreno; i pezzi disgiunti e digeriti di Nandi vengono miracolosamente riuniti, e il toro torna di nuovo vivo.

La storia è gestita in modo molto diverso nel secondo dei due testi di Penukonda: queste varianti della leggenda mostrano come la stessa storia possa per i diversi cronisti Musulmani avere un contenuto simbolico distinto. La collera di Baba Fakiruddin è molto più terribile nel resoconto 1804: 14.000 templi Indù sono sbriciolati quando il Santo batte il suo bastone a terra e recita l’adhan (la chiamata dei Musulmani alla preghiera), mentre un angelo proclama che Nandi deve essere macellato e gettato come carogna in pasto ai cani e agli aquiloni. Si tratta di un atto particolarmente selvaggio, non solo a causa della distruzione dei templi, ma anche per il riferimento agli animali che si cibano di rifiuti e di carogne: i Musulmani considerano i cani immondi e contaminanti.

In questa versione della storia, c’è un senso molto più netto di confronto tra il potere sacro Indù e Musulmano tipico della letteratura Sufi dell’India Meridionale. Ma anche in questa descrizione Nandi è alla fine rianimato: nonostante il loro tono duro, invocando l’immagine di Nandi questi biografi associano ancora il Santo ad una popolare divinità Indù Tamil.

Inoltre, Nandi è particolarmente adatto per essere inserito nelle biografie Sufi, perché i suoi fedeli Indù lo percepiscono come l’incarnazione della potenza maschile in stato inattivo. Il toro di Shiva è una figura che stimola sessualmente la forza virile, ma il suo potere procreativo è stato incanalato e racchiuso esentandoli dalle impurità e dalla lussuria. Il Sufi, inoltre, è una figura sposata che ha un ruolo di contenimento delle energie maschili esplosive. Idealmente, il Sufi è una figura che ha divorziato dalla carne e dal mondo. I biografi dei Pir dell’India meridionale regolarmente li definiscono dei rinunciatari: “Sayyid Ahmad fu noto come Ya Pir. Rinunciò al mondo e divenne il khalifa di Shah Azmatullah Qadiri. Fu un uomo pio.”

Il tema del sacrificio di Nandi deriva probabilmente dal sacrificio eroico (in realtà un atto di autosacrificio) del guerriero-asura (demone) che è macellato dalla dea e trasformato poi in un principe devoto e in un suddito all’interno del suo reame. Secondo il Professor Jan Heesterman, a mo’ di Shiva, questo guerriero costringe la dea a sacrificarlo. Nelle tazkira Musulmane, il Pir agisce da solo; egli è l’essere trascendente che uccide e rigenera la vittima, giacché non ha bisogno di un partner soprannaturale per fondare il suo regno divino. È chiaro che il potere del Sufi dipende da questa rinuncia al mondo e ai suoi piaceri. Il carattere ascetico e rinunciatario del Pir Musulmano lo avvicina alla figura del Signor Shiva nella sua incarnazione, al pari degli asceti della foresta e ai paria.

12. Conclusione

È sorprendente che i teologi Musulmani non classificarono i compositori della “poesia e della letteratura Sufica Tamil” come Sufi, ma come “Siddhan”. Sebbene, abbiano usato parole Urdu e Arabe come Pir, mastan (divinamente intossicato), kamil; e parole Tamil come Gnani, yogin, siddhan, arivali: essi evitarono la parola Sufi.

I Siddha e i Sufi furono mai insieme? Dai poemi Siddha emerge il soggiorno di Ramadeva e di Bogar in terra Islamica. Ramadeva si recò alla Mecca convertendosi, e ritornò in India col nome di Yaqub. Lì, incontrò molti Sufi. Bogar visitò Gerusalemme e la Mecca incontrando il Profeta Muhammad (ص). I documenti storici registrano un movimento di persone provenienti dal Medio Oriente per l’India e viceversa; quindi, se Yaqub può essere considerato un “Musulmano Siddha”, Ramadeva è un “Indù-Sufi.”. L’autenticità di questi documenti e di altri riferimenti è stata verificata con facilità da ricercatori Musulmani e Indù.

Ci furono molti dialoghi Siddha-Sufi, riunioni e incontri. Durante il periodo Abbasside molti studiosi Indiani e Pandit tradussero le loro opere in Arabo; mentre i Sufi residenti nel Tamizhagam (area comprendente Kerala e Tamil Nadu) incontrarono i Siddha in molte occasioni, particolarmente durante i secoli 18mo, 19mo e 20mo. I Siddha e i Sufi erano a stretto contatto e interagirono insieme più volte nel Tamizhagam; ciò si evince dai punti seguenti:

1.      I poemi mistici del Santo Musulmano Gunangudi Mastan (1792-1838) contengono molti metodi e spiegazioni di Yoga, Pranayama, Mantra, Yantra, Tantra, nonché effusioni estatiche di Jnana e Bakthi Yoga. Gli Indù lo accettarono come Guru seguendo i suoi metodi ampiamente. I suoi scritti somigliano alla filosofia del Santo Indù Thayumanavar (1706–1744), mentre il suo stile scritturale si accomuna alla tradizione dei diciotto maestri Siddha.

2. L’incontro tra Pir Mohammed Appa e Muthuswamy Thampiran.

3. Il filosofo Advaita Tamil Sadasiva Brimendrar (17mo – 18mo secolo) ebbe due discepoli Musulmani. Quando morirono, due tombe furono erette  e sono ancora note col nome di “Irattai Mastan” (i due Mastan o i due intossicati divinamente) di Tanjore.

4. Al tempo di Sadasiva Brimendrar, un Musulmano si tagliò la mano, ma procedette come se nulla fosse accaduto. Il Musulmano mostrò la sua mano e la rimise a posto in un colpo. Rendendosi conto del potere spirituale del Santo, si scusò, però il venerabile andò via come se nulla fosse successo.

5. Le storie di Sadasiva Brimendrar e Gunangudi Mastan si somigliano molto. Dato che entrambi vissero nello stesso periodo, è probabile che incontrarono altri mistici del loro tempo.

6. Kumara Gurubarar (1686-1779), Tayumanavar (1608-1662/1705-1742), Shiva Prakasar (1680-1746) hanno confutato chiaramente il Cristianesimo. Pure Gunangudi Mastan attaccò vigorosamente il Cristianesimo. Pertanto, sotto questo aspetto, ognuno di questi maestri conosceva l’altro, parteciparono a dibattiti comuni e lavorarono insieme essendo contemporanei.

7. L’opera Tamil “Kaivalya Navanitham” (16-17 secolo) ha avuto un grande impatto su tutti i Santi e i filosofi del periodo materialista. Ha confutato filosoficamente tutti gli altri dogmi religiosi, logicamente e metafisicamente. Siccome i sapienti Musulmani hanno esaminato “l’Advaita Islamico” di Nasrin Mohammadi per contrastare “l’Advaita” della religione Induista, sicuramente gli studiosi Musulmani e Indù coinvolti si incontrarono. Mohammed Abdur Rahman nel suo libro intitolato “L’Advaita Mozhi Musulmano” (Il linguaggio dell’Advaita Musulmano) ha trattato di tali eventualità.

8. Tayumanavar, il filosofo e Santo Tamil che articolò la filosofia dello Shiva Siddhanta e Gunangudi Mastan, il Siddha Musulmano e figlio dello Sheikh Miran, soggiornarono entrambi in Tiruchy, Cadhuragiri, Purumalai, Nagamalai (sobborgo di Madurai), Yanaimalai, ecc… Tayumanavar e Gunangudi Mastan incontrarono i Siddha di quest’area.

9. Melappalayam Shaikbu Ali Shahmadar Alim ha letto le opere come il Kaivalya Navanitham, il Vicara Sagaram, il Gnana Vasittam, l’Ozhivilozhukkam, il Vedapuranam, il Pirappa Padalgal, il Gunangudi Mastan Padalgal e il Manimuttumalai in gioventù; queste conoscenze gli permisero di incontrare i Siddha, altrimenti non avrebbe avuto argomenti di conversazione.

10. Alcuni rapporti affermano che un Musulmano anche dopo la morte del Santo Ramalinga Adigal continuava a ottenere tecniche di Rasavada (scienza alchemica) dal defunto. È affermato, altresì, che Ramalinga fu il terzo discepolo di un Sufi di origine Araba, Thanikai Manippiran.

11. I mistici Musulmani Tamil hanno composto le loro poesie collegando il Sufismo alla dottrina Siddhanta. Takkalai Gnani Pirappa e Gunangudi Mastan hanno utilizzato le idee e le espressioni mistiche di Pattinattar e di Tayumanavar, creando un ponte tra i due misticismi, il Siddha e l’Islamico.

12. Molte relazioni dichiarano che Karaikkal Mastan Sahib Valiyullah incontrò vari Siddha. Sebbene tali riferimenti siano stati distorti, dimostrano chiaramente che gli incontri tra i Siddha e i Sufi ebbero luogo.

13. I Sufi ebbero amici Indù, discepoli e seguaci. Ricercarono i Siddha e ottennero anche il “diksha”, l’iniziazione.

14. I poeti mistici Musulmani conobbero molto bene i “Sattukkavi”, i poemi introduttivi alla natura degli Indù.

In conclusione, la ricerca Divina compiuta dai Siddha Tamil e dai Sufi è comparabile e valutabile in una prospettiva storica. Gli uomini sembrano divisi da molti fattori come religione, lingua, cultura e posizione sociale, ma in realtà sono uniti da quei fattori che sono gli istinti fondamentali dell’umanità. I Siddha Tamil e i Sufi sono uniti, sicuramente, nella ricerca Divina attraverso l’unità nella diversità avvicinando la diversità all’unità. Mahmud Shabistari, nel Golshan-e râz (Il roseto del mistero) verseggia: “Vedi Uno. Dì Uno, Conosci l’Uno.” Il Corano proclama: “Dì: Egli Allah è Unico” (112: 1), mentre i Siddha professano: “Onre Kulam, Oruvane Deivam = Solamente un’umanità ed un solo Dio.”

NOTE

1. Tirumurai (திருமுறை), significa Sacro Percorso o Sacra Supplica. È un compendio di canzoni e d’inni in lode a Shiva. È il canone dello Shiva Siddhanta, che consiste in 12 libri e con oltre 18,000 versi. Il Tirumantiram occupa il decimo posto.

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