ZOROASTRO INFLUENZA LA PREGHIERA DEI MUSULMANI SUNNITI

ZOROASTRO INFLUENZA LA PREGHIERA DEI MUSULMANI SUNNITI

“Un Nyayi è una preghiera supplichevole, al contrario del Sitayi, che è una preghiera d’encomio. È un termine particolarmente applicato alle cinque preghiere (namaz) rivolte al Sole, a Mithra, alla Luna, alle Acque e al Fuoco. Ogni chierico in età superiore agli otto anni è obbligato di recitare il Nyayis stando in piedi…” “Possa la mia anima arrivare alla regione del Sole!” (traduzione dal Pahlavi.) Zend Avesta, Parte II (SBE23), James Darmesteter, traduzione [1882]

 

La Preghiera Rituale del Sunnismo

 

I Musulmani Sunniti sono stati influenzati moltissimo dalle idee Zoroastriane e Persiane, ma naturalmente fin dall’inizio della storia Islamica non vollero riconoscere quest’eredità spirituale. Le restanti censure non permettevano alcun ricongiungimento della dottrina Sunnita allo Zoroastrismo, né positivamente, né negativamente; giacché la remota fede Iranica era considerata una sopravvivenza di tabù antichi e pagani. Jamsheed Choksy e Mary Boyce hanno notato che la purificazione rituale Zoroastriana del padyab-kusti (in Persiano, abluzione liturgica seguita dalla slegatura e riannodatura del kusti) rassomiglia sorprendentemente alle abluzioni Islamiche del wudu’. Sicuramente, il parallelismo tra i due riti è evidente dalla seguente descrizione del rituale padyab (in Persiano, lavacro sacramentale delle parti esposte del corpo), tratte da una moderna fonte Zoroastriana:

“Quando le persone si svegliano allo spuntar del giorno, devono applicare prima qualche cosa (chiz-i) alle loro mani, e poi lavare le loro mani e la faccia con acqua pulita, così le mani devono essere lavate dai gomiti alle punte delle dita, tre volte, e la faccia deve essere lavata dalla parte posteriore delle orecchie fino sotto il mento e sino alla corona della testa. E devono lavarsi i piedi su fino al ginocchio, tre volte, e recitare a memoria l’Avesta.”1

A parte piccoli dettagli, per esempio il lavaggio dei piedi fino alle ginocchia, questo rituale rassomiglia quasi alla descrizione delle abluzioni del wudu’ prescritta dalla legge Islamica classica. Non solamente gli elementi individuali delle abluzioni sono molto simili, ma essi sono eseguiti quasi nelle stesse occasioni:

“Si comanda che questo rituale sia compiuto ogni mattina uscendo dal sonno, prima dell’atto religioso del mangiare, prima delle abluzioni, all’inizio di ciascun esercizio di devozione religiosa giornaliera, e dopo la minzione o l’escrezione.” 2

Tenuto conto del fatto che, com’emergerà dal resto di questo lavoro, la definizione dei dettagli delle abluzioni wudu’ e delle occasioni in cui sono eseguite costituiscono l’elemento più particolareggiato, distintivo e controverso della legge Islamica di purità rituale, questo parallelismo con la pratica Zoroastriana provoca veramente qualcuno, sebbene illumini altri.

Il problema principale consiste invece nell’interpretare il significato di questo parallelismo, poiché poggia sulla difficoltà di datare i rituali Zoroastriani. I testi Zoroastriani che offrono i dettagli dei riti attinenti, sono posteriori all’avvento dell’Islam di molti secoli. 3 Ciononostante, Boyce ritiene che il rito del kusti Zoroastriano [anche noto come padyab]… abbia creato un modello per il wudu’ Musulmano. 4 La sua conclusione si basa sulla convergenza delle tradizioni Iraniane e Indiane nella pratica Zoroastriana:

“La vicinanza col Persiano e le descrizioni dei rituali Parsi sono sorprendenti, anche in considerazione del fatto che Dastur Darab [la sua fonte è Parsi] era un sacerdote istruito di Navsari (città del Gujarat)… Egli fu familiare alle scritture dei suoi predecessori Iraniani; poiché le differenze nella terminologia rituale, anche se lievi, indicano una tradizione Parsi. Chiaramente, i rituali descritti furono fermamente stabiliti in tutta la comunità Zoroastriana ben prima che gli antenati dei Parsi emigrassero in Gujarat, separandosi in gran misura dagli Iraniani. La forma attuale di questi rituali è anteriore di mille anni alla registrazione che Dastur Darab compì in India (in parte, essi sono evidentemente molto più antichi).” 5

Siccome si ritiene che gli antenati dei Parsi siano emigrati nel subcontinente Indiano molti secoli dopo la conquista Musulmana, l’inferenza cronologica di Boyce non è completamente convincente. 6 Ciononostante, è verosimile che i primi Musulmani abbiano abbozzato e adottato i rituali Zoroastriani piuttosto del contrario, per due ragioni.

Primo, sembra inerentemente improbabile che una comunità religiosa arcaica e ben radicata, composta di un sacerdozio, abbia adottato dei rituali dall’ultima religione arrivata, infatti, così apparve l’Islam agli Zoroastriani. In particolare, giacché gli antenati dei Parsi emigrarono in India per evitare la soppressione delle loro tradizioni in uno Stato Islamico, sembra inammissibile che abbiano adottato in modo interessato delle innovazioni religiose dai Musulmani, che erano considerati degli intrusi e degli oppressori. Al contrario, non è per nulla difficile immaginare che una giovane e dinamica comunità di Musulmani, composta di molti convertiti provenienti dallo Zoroastrismo, abbia adottato e trasformato certi rituali di questa tradizione. I Musulmani ebbero la possibilità di adottare molti elementi dalle fedi preesistenti, i quali restarono in infusione nell’impulso spirituale e distintivo dell’Islam.

Senza dubbio, è molto improbabile che i Musulmani abbiano adottato un rituale che consideravano come un tratto distintivo dello Zoroastrismo. Più probabilmente, gli elementi basilari del rituale del padyab (al pari d’altre pratiche purificatorie) furono svincolati dal loro ambiente originale e confessionale, per divenire parte di ciò che può essere definito la rituale koinè del tardo-antico e primo medioevo nel Vicino Oriente. Ogni sistema confessionale ed individuale era, da questo punto di vista, soltanto una forma dialettica di un linguaggio di purezza che tutti gli abitanti contemporanei della regione probabilmente capivano in una certa misura.

Secondo le prime fonti Islamiche, gli Arabi pagani e pre-Islamici associavano una serie di pratiche di purità riguardanti il rapporto sessuale, le mestruazioni e gli alimenti da evitare nell’esercizio della pratica monoteista. L’autenticità delle relazioni sugli hanif, in altre parole gli Arabi che adottarono un generico monoteismo Abramitico nel periodo appena precedente all’avvento del Profeta, resta una questione aperta. Ciononostante, il contenuto delle descrizioni delle loro conversioni è affascinante. Nella biografia del Profeta (ص) redatta da Ibn Ishaq è citato il seguente personaggio:

“Per quanto riguarda Zayd ibn ‘Amr ibn Nufayl, non ritenne (waqafa) di convertirsi né all’Ebraismo, né al Cristianesimo. Abbandonò la religione del suo popolo e rifuggì da idoli, carne putrefatta, sangue e carne sacrificata ai feticci.” 7

In questo caso, l’astensione dal sangue, dalle carogne e dagli animali sacrificati nell’ambiente cultuale pagano è seconda solo al rifiuto dell’idolatria come segno d’identificazione monoteistica. È detto di un altro personaggio, Abu Qays ibn abi Anas, che divenne un asceta (tarahhaba) al Tempo dell’Ignoranza [cioè, prima dell’avvento dell’Islam] quanto segue: indossava un tessuto di crine (al-musuh), abbandonò gli idoli, eseguiva l’abluzione completa dopo la polluzione sessuale (ightasala min al-janaba), evitava il contatto e la polluzione con le donne mestruate (tatahhara min al-ha’id min al-nisa’). Egli divenne quasi un Cristiano, ma poi fece retromarcia. Andò in una delle sue case private, che essendo consacrata a luogo di culto, non permetteva a nessuna donna mestruata o persona in stato di polluzione sessuale di entrare. Disse: “Io adoro il Dio d’Abramo.” 8

I Musulmani erano perfettamente consapevoli della comune radice tra le loro pratiche di purità rituale e quelle dei loro vicini di casa. Effettivamente, gli specialisti Islamici narrano che una continuazione di Profeti (ع) ha affermato che Dio stesso incoraggiò favorevolmente la prosecuzione delle pratiche delle precedenti comunità monoteistiche. Alcuni autori medievali sostennero che il wudu’ non si era originato all’interno della comunità Islamica, ma faceva parte di un’eredità monoteistica di più ampia portata. Ibn Hajar al-Haytami (morì il 974/1567), sapiente Sunnita di scuola Shafi’ita, scrisse sulle abluzioni wudu’:

” Il wudu’ fu reso obbligatorio ai Musulmani, unitamente alla preghiera, nella notte del Viaggio Notturno del Profeta. Fu anche comandato da Dio nelle precedenti deroghe religiose (huwa min al-shara’i’ al-qadima) che sono indicate nelle relazioni degli hadith autentici. Ai Musulmani è distintivo (alladhi min khasa’isina), o il modo specifico della loro esecuzione o la radiosità della testa e delle estremità [che appariranno nella prossima vita ai Musulmani che hanno compiuto il wudu’]” (al-ghurra wa’l-tahjil). 9

In ogni modo, i Musulmani non furono interessati a far risalire le loro pratiche di purità rituale allo Zoroastrismo. Una descrizione della legislazione di Zoroastro (ع) redatta da al-Tha’alibi, 10 risalente al quarto secolo dell’Egira/decimo secolo d.C., dimostra che i Musulmani del medioevo erano a conoscenza (o sottolineavano) delle minime differenze tra le pratiche di purezza rituale Islamiche e quelle Zoroastriane, seppur esclusero quasi completamente qualsiasi caratteristica che le accomunasse:

“Zoroastro, la pace sia su di Lui, venerò il fuoco come una forma di devozione a Dio, perché appartiene alla sua luce, ed è uno tra i più grandi e gloriosi elementi. Ha inoltre comandato il culto delle acque, che è il pilastro dell’esistenza e causa la prosperità del mondo. Comandò che essa non sia violata, e non si debba rimuovere l’impurità o togliere lo sporco se non con la mediazione di un liquido come quello che è estratto dalle mucche [sic; i.e., urina del toro], dalla vite e dagli alberi. Egli proscrisse le carogne e affermò che qualsiasi cosa che esca dall’interno di un essere umano, da ogni orifizio è impuro (najis). Per questo motivo, fissò la pratica di contrarre le labbra (al-zamzama) mentre si mangia per precauzione contro i getti di saliva (bawadir) che possono contaminare il cibo. Impose le tre preghiere che seguono la rivoluzione del Sole, una all’alba, la seconda quando il Sole è al suo apice (‘inda intisaf al-shams) e la terza al tramonto. Ha vietato di mangiare e bere da recipienti di legno e in terracotta, perché sono sensibili alle impurità … Proscrisse il contatto con i cadaveri, e dichiarò che il palpamento di un corpo morto necessita la piena abluzione perché con la partenza del puro spirito si diviene impuri. Comandò alle persone di purificarsi una volta il giorno e la notte, che secondo lui include il lavaggio del viso e delle mani.” 11

In realtà, la tradizione Islamica sembra avere una tendenza costante ad elidere la memoria dell’influenza Zoroastriana, mentre evidenzia l’anteriore influsso Ebraico e Cristiano, anche se la pratica in questione appare d’origine Zoroastriana. Ad esempio, una diffusa relazione della tradizione degli asbab al nuzul (termine designante le “occasioni/circostanze di rivelazione;” si tratta di una disciplina d’esegesi Coranica che inquadra storicamente le circostanze di ciascuna rivelazione), spiega lo sfondo storico del principale riferimento Coranico al ciclo mestruale (versetto 2: 222) in questo modo:

“Quando una donna fra loro è mestruata, gli Ebrei né mangiano e né vivono con lei nella stessa casa. I Compagni del Profeta chiesero [su quest’argomento], e Dio rivelò [Ti domanderanno ancora delle mestruazioni. Rispondi: “È cosa immonda. Pertanto astenetevi dalle donne durante le mestruazioni…”] [Corano 2:222]. Il Profeta disse, “Fate qualsiasi cosa, ma non abbiate il rapporto sessuale [con loro].” Questo decreto raggiunse gli Ebrei che dissero, “Quest’uomo non tralascia una sola cosa che non ci contraddica (khalafa)!” Usayd ibn Hudayr e Abbad ibn Bishr andarono dal Messaggero (ص) di Allah e dissero: “O Profeta! Gli Ebrei dicono così e così. Non possiamo avere rapporti sessuali con loro?” Il volto del Profeta (ص) cambiò espressione cosicché pensammo che fosse adirato con loro. 12

È certo che le proibizioni Islamiche dirette ed indirette a riguardo delle mestruazioni femminili furono meno severe rispetto a quelle praticate dagli Ebrei – ed alcuni hadith riflettono le pratiche documentate nel Talmud – questa particolare tradizione si riferisce ad una pratica che supera le ordinarie scritture Ebraiche: la rimozione delle donne mestruate dalle loro case. La tradizione è molto esplicita al riguardo; nella versione trasmessa da Ibn Maja, la formulazione è la seguente: “Non vogliono sedersi nella stessa casa [con una donna mestruata].” Più probabilmente, si riferisce ad una pratica Zoroastriana; gli Zoroastriani, infatti, relegano le donne in capanne separate per tutta la durata del loro periodo mestruale. 13

In effetti, una versione della tradizione conservata da Jalal al-Din Suyuti (morto 910-11/1505) riconosce la provenienza di quest’usanza:

“[Questo passo del] Corano fu rivelato a riguardo delle mestruazioni femminili, in un momento in cui i Musulmani le stavano espellendo dalle loro case come usavano gli Iraniani (ka-fi’l al-‘ajam). Chiesero al Profeta (ص) un’opinione su questo punto, e Dio rivelò {Ti domanderanno ancora delle mestruazioni. Rispondi: “È cosa immonda. Pertanto astenetevi dalle donne durante le mestruazioni…}” [Corano 2: 222]. I credenti pensarono che “mantenere lontano” significasse lasciarle nelle loro case, come loro stavano facendo, finché recitò la fine del versetto, e i credenti capirono il vero significato di “mantenere lontano”, perché Dio ha detto, [e non avvicinatevi finché non si siano purificate]. 14

Come dobbiamo interpretare che la tradizione Islamica sposti la pratica di separare le donne mestruate in distinte capanne dagli Zoroastriani agli Ebrei? La risposta va ricercata, chiaramente, nel significato teologico che la direzione Musulmana ha assegnato agli Ebrei, giacché sono titolari di un’alleanza, una posizione che ha richiesto una miscela complessa di continuità e d’opposizione in merito alla tradizione Ebraica. Il Zoroastrismo, a differenza del Giudaismo e del Cristianesimo, non ha avuto alcun ruolo nella storia della salvezza Islamica. Gli Zoroastriani furono storicamente importanti per l’Islam, sia per l’apporto esterno, sia per la loro conversione all’Islam; tuttavia, nessuna memoria consapevole riporta il contributo Zoroastriano all’auto-comprensione teologica della comunità Musulmana. Qualunque sia l’importanza storica della partecipazione Zoroastriana, i Musulmani non sono illuminati sufficientemente circa la natura o l’importanza originaria dei loro rituali di purità.

Il Zoroastrismo nella Sunna dei Musulmani Sunniti

“Quando le persone si svegliano allo spuntar del giorno, devono applicare prima qualche cosa (chiz-i) alle loro mani, e poi lavare le loro mani e la faccia con acqua pulita, così: le mani devono essere lavate dai gomiti alle punte delle dita, tre volte, e la faccia deve essere lavata dalla parte posteriore delle orecchie fino sotto al mento e sino alla corona della testa. E devono lavarsi i piedi su fino al ginocchio, tre volte, e recitare a memoria l’Avesta.” (op. cit.)

Il wudu’ Sunnita

Hazrat Uthman (radhiallahu anhu) una volta chiese: “Non dovrei mostrare la maniera in cui Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) eseguiva il suo wudu’?” Da allora in poi, compì il wudu’ in tal modo che lavò ogni arto tre volte. [Sahih Muslim, capitolo sul wudu’, Hadith 23]

Ahura Mazda rispose: “Voi laverete per tre volte i vostri corpi e laverete per tre volte i vostri abiti cantando ogni volta le Gatha.” (Avesta, Vendidad, Fargard 12, verso 2)

Ahura Mazda rispose: “Laverete i vostri corpi per tre volte e per tre volte laverete i vostri abiti, canterete tre volte le Ghata” (Avesta, Vendidad, Fargard 12, verso 4)

Masah (passare le dita bagnate) sulla nuca

Hazrat Abdullah Ibn Umar (radhiallahu anhu) narrò che Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) disse: “Chiunque esegua il wudu’ e fa il masah sulla sua nuca, sarà salvato dal portare una collana (di fuoco) intorno al suo collo il giorno di giudizio.” Il famoso commentatore del Sahih al-Bukhari, Allamah Ibn Hajar Asqalaani (R.A), scrisse nel suo libro “Talkhisul Habir” (vol. 1: p. 92) che questo racconto è nel Sahih. Allamah Shawkani (R.A.) ha affermato che si trova anche nel Naylul Awtaar (vol. 1, p.204).

“Quando gli avrai lavato le mani tre volte, con le mani lavate gli aspergerai il cranio, così che la Druj Nasu (demone) scappi dalla fronte tra le sopracciglia. Gli aspergerai del gaomayzia in fronte tra le sopracciglia e allora Druj Nasu fuggirà sulla nuca. Tu gli aspergerai la nuca, e la Draju Nasu volerà via sulle mascelle.” (Avesta, Vendidad, Fargard 9, versi15-16)

Effettuazione del Masah sopra i comuni calzini ordinari

 (vale a dire, cotone, lana, poliestere, ecc…)

Non è lecito fare il masah sopra i calzini ordinari (cotone, lana, nylon, ecc… – cioè, sopra tutti gli altri calzini tranne quelli in cuoio) per il wudu’. Non esiste una narrazione autentica che autorizzi questa pratica. Allamah Mubarakpuri, il famoso studioso degli Ahle Hadith, nel “Tuhfat al-Ahwadhi” (il suo commentario alla Sunan al-Tirmidhi) ha scritto che la pratica del masah sui calzini di lana, cotone e simili materiali non è riconosciuta da alcun hadith autentico (volume 1, pg.333). Molti altri eruditi d’alto livello appartenenti al ghair muqallid (coloro che non prescrivono il taqlid) hanno confutato questa pratica e l’hanno dichiarata inammissibile (vedere Fatawa e Naziriya; 1: 423).

“Bagnerai la caviglia sinistra, ed ella passerà sul collo del piede destro. Aspergerai il collo del piede destro, ed ella passerà sul sinistro. Aspergerai il sinistro, e la Druj Nasu ruoterà intorno al tallone e avrà l’aspetto di un’ala di mosca. Premerai le punte dei piedi contro il pavimento, tenendo sollevato il calcagno, e gli aspergerai la pianta del piede destro; allora la Draj Nasu se ne andrà sulla pianta sinistra, svolazzerà attorno alle dita del piede con le ali di mosca. Premerai le punte del piede contro il pavimento, tenendo sollevato il calcagno, e gli aspergerai la pianta del piede sinistro così che la Draj Nasu fuggirà via nelle regioni del Nord…” (Avesta, Fargard 9, versi 24-26)   

Gli orari prescritti per le cinque salat (preghiere) quotidiane

Hazrat Abu Huraira (radhiallahu anhu) racconta: “Quando la lunghezza della vostra ombra (prodotta dal Sole) è uguale alla vostra altezza, allora eseguite la zuhr salat. Quando la lunghezza della vostra ombra diventa il doppio della vostra altezza, eseguite asr salat. Eseguite maghrib salat quando il Sole è tramontato. Eseguite isha salat prima che un terzo (1/3) della notte trascorra. Compite fajr salat quando è ancora buio.” [Muwatta Imam Malik vol.1, pag.8, Hadith 9]

Nel Corano stesso sono note solo tre preghiere giornaliere: senza dubbio è a causa dell’influenza Persiana che il loro numero nell’Islam più antico aumentò a cinque. (Buhl, “The Character of Mohammed as a Prophet”, The Muslim World, Vol. 1, p.356).

Gli Zoroastriani avevano cinque preghiere quotidiane, invece delle tre pagane, e le osservavano obbligatoriamente, essendo questa una parte essenziale di ciò che è chiamato in Persiano “bandagi” o servizio Divino. Queste cinque preghiere sono dette “Gah“. Il devoto è convocato dal suono emesso di una campana dell’Agiary (tempio del fuoco), quando la vampa consacrata e vittoriosa raggiunge il più alto grado nella combustione (Atash Bahram). I Musulmani seguirono questa stessa pratica adottandola dallo Zoroastrismo. Queste preghiere hanno tempi comuni alle Salat Musulmane.

Italiano

Arabo

Avestico

Medio Persiano

Alba

Fajr

Havani

Havan

Mezzogiorno

Zohr

Rapithwina

Rapithwin

Pomeriggio

Asr

Uzayeirina

Uziren

Tramonto

Maghrib

Aivisruthrema

Aivisruthrem

Notte

‘Isha

Ushahina

Ushahin

 

Le tradizioni Islamiche (gli hadith) spesso riflettevano e confermavano abitudini locali, pratiche e idee, in tal modo, molti elementi non sono stabiliti con precisione nel Corano.

Caratteristiche comuni tra Salat e Gah

Copertura del capo durante la Salat

Ibn Umar (R.A.) narra che Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) indossava un cappello bianco. (Tabarani e Allamah Suyuti hanno classificato questo hadith altamente autentico: vedere Sirajul Munir; v.4, pg.112). È scritto nel Fatawa Thunaiyya vol. 1, pg. 525, e nel Fatawa dei sapienti Ahle Hadith (vol. 4, pg.291) che Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) conservava sempre la sua mubarak coprendo la testa durante la Salat. Negli stessi libri è anche menzionato che rimuovere intenzionalmente il copricapo (cappello) e compiere la Salat a capo scoperto è in contrasto con la Sunnah (vol. 1, pg.523).

Entrando in una Moschea e prima di cominciare le preghiere, un Musulmano deve coprire il suo capo, lavare la faccia e gli arti. Similmente, un Zoroastriano convocato dal suono di una campana entra nell’Atash Behram/Agiary (fuoco della vittoria, il più alto grado del fuoco) copre la sua testa, lava faccia e arti e compie il Padyab kusti prima di cominciare le sue preghiere.

Recitare Bismillah Sottovoce

Hazrat Anas (radhiallahu anhu) afferma, “Ho eseguito la Salat congregazionale dietro Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam), Abu Bakr, Umar e Uthman (radhiallahu anhum) e non ho sentito nessuno di loro pronunciare Bismillah rahman rahim” [Sahih Muslim, Hadith 399]

Imam Tirmidhi (R.A.) afferma che la maggioranza dei Sahaba (radhiallahu anhum) recitava Bismillah sottovoce.

Allah Ta’ala ha detto: E quando il Corano viene letto, prestatevi ascolto e rimanete in silenzio. Così vi verrà fatta misericordia.” (Corano, 7: 204-205)

Hazrat Abdullah Ibn Mas’ud, Abu Hurairah, Abdullah Ibn Abbas e Abdullah Ibn Mughaffal (radhiallahu anhum) asseriscono che questo versetto del Corano fu rivelato in merito alla Khutba (del Juma’ah) e alla Salat. [Tafsir Ibn Kathir, vol. 1, pag. 281]

Questo versetto intima che quando l’Imam recita ad alta voce il Corano, i seguaci dovrebbero ascoltare con attenzione; e quando lo recita sottovoce, i seguaci dovrebbero rimanere silenziosi.

Le preghiere Islamiche sono solo in Arabo, sebbene le traduzioni/traslitterazioni siano disponibili. La liturgia è condotta solo in Arabo. Nello Zoroastrismo, pure, le preghiere sono declamate soltanto in Avestico o in Pazend. Nelle preghiere Avestiche, alcuni brani sono recitati in Pazend (una forma di Medio Persiano usata per i commentari sull’Avesta) a bassa voce per non interrompere il flusso dell’Avestan Manthravani (la scienza delle vibrazioni e dei colori). Questi testi devono essere solo mormorati, in Arabo zamzama, parola di chiara derivazione onomatopeica. Il rito del mormorare esiste anche nel culto Mazdeo (in Pahlavi è detto vâĉ). Nella cultura Avestica e in quell’Islamica, pertanto, la lettura presuppone l’esistenza di un testo sacro da mormorare, recitare velocemente, conosciuto (quasi) a memoria. Del resto, la lettura ad alta voce del testo sacro, già tipicamente vetero-ebraica, ritorna puntuale nel termine Arabo Qur’an. Questo termine è tradizionalmente fatto derivare dal verbo qarana «legare insieme». Ma per altri studiosi è connesso con qarâ’a «recitare, leggere», peraltro questo rapportabile semanticamente al latino lego/ligo. In realtà, per definire meglio il vocabolo, occorre risalire ad un calco dell’Aramaico qeryânâ, usato sia dagli Ebrei sia dai Cristiani d’Arabia per indicare la lettura liturgica solenne di testi scritti.

La Qira’at dell’Imam è sufficiente per il Muqtadi

Hazrat Abdullah Ibn Umar (radhiallahu anhu) ripeteva più volte: “Chi esegue la Salat dietro l’Imam, la qira’at dell’Imam gli è sufficiente.” (Sunan Baihaqi; capitolo sulla non recitazione qira’at dietro l’Imam – Imam Baihaqi (R.A.) ha dichiarato che questo hadith è Sahih.)

“Recita l’Atash Niyayesh a bassa voce per non disturbare gli altri. L’Entità Santa è interessata più alla palpitazione del tuo cuore mentre preghi al posto dell’alta voce.” (Tratto dalle regole per presenziare davanti all’Atash Padshah)

Il Sollevamento delle mani

Hazrat Qataada (radhiallahu anhu) riferisce di aver visto Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) compiere la sua Salat. Riferisce che Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) sollevava solitamente le sue mani finché erano in linea con i suoi lobi dell’orecchio. [Sahih Muslim, capitolo sull’Istihbaabur Raf’, Hadith 391]

Hazrat Jabir Ibn Samurah (radhiallahu anhu) riferisce che una volta Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) venne da casa sua verso di noi e disse: “Perché sollevate le mani come se fossero le code di cavalli testardi? Fate la Salat in tutta tranquillità”. [Sahih Muslim, Hadith 430]

Questo hadith sottolinea che i racconti riguardanti il sollevamento delle mani (durante la Salat) furono narrati prima del divieto di tale pratica.

Si narra che Abdullah Ibn Zubair (radhiallahu anhu) vide un uomo alzare le mani e fare du’a prima di completare la sua Salat. Quando la persona concluse la Salat, Hazrat Abdullah Ibn Zubair (radhiallahu anhu) si avvicinò a lui e disse: “In verità, Rasulullah (sallallahu alaihi wasallam) alzava le mani e faceva du’a dopo aver completato la sua Salat” (i narratori di questo hadith sono affidabili? Majmauz Zawaaid, vol. 1, pg. 169).

È anche citato nel Fatawa degli Ahl-e Hadith (vol. 1, pg.190) così come nel Fatawa e Naziriya (vol. 1, pg. 566), che alla luce della sharia, il du’a dopo la Salat è autenticamente riconosciuto ed è mustahab (raccomandabile) farlo.

Nell’Avesta, “Ustana-zasta” significa “le mani sollevate in alto”. Questa parola indica l’universalità del Mazdeismo che è comprendente e omnipervadente. Quando un Zoroastriano esegue “Ustana-zasta“evolve ulteriormente, sviluppa la sua intuizione e sente l’aria per un po’ del suo Creatore:

“Le mani protese in atto d’adorazione verso di te, o Mazda” (Gatha Ahunavaiti, Yasna 28, verso 1)

 “Ad Ahura con le mani protese, noi due vorremmo pregare, la mia anima e quella della Vacca pregna, così che noi due si possa esortare Mazda [a dare ascolto alle nostre] suppliche” (Ghata Ahunavaiti, Yasna 29, verso 5)

 “Ustana-zasta“, termine che ricorre tre volte nelle Gatha dell’Avesta, significa in un altro caso “le braccia sollevate in alto”, protese verso l’ottenimento dello Spirito Santo. Nella Salat divenne il Takbir. Questa Gatha prende il nome dallo Spirito Santo, la Spenta Mainyu, lo spirito della benevolenza Divina.

“Con le braccia protese, io rendo omaggio a tutti voi…” (Gatha Spentamainyu, Yasna 50, verso 8)

 

Il Rituale della preghiera Zoroastriana

 

Le cinque preghiere Islamiche provengono dal Profeta Zoroastro, la pace sia su di Lui.

Trascrivo alcune citazioni sul cerimoniale della preghiera rituale nello Zoroastrismo tratte dal libro di J.J. Modi: The Religious Ceremonies and Customs of the Parsees. (Bombay, 1922.) Part 3.

 1. Ci sono tre gradi del Sacro Fuoco:

A. Il Sacro Fuoco di Atash Behram, il fuoco della vittoria.

B. Il Sacro Fuoco di Atash Adaran, il fuoco dei fuochi o il fuoco dei consacranti.

C. Il Sacro Fuoco di Atash Dad Gah, il fuoco dei preparatori della cerimonia del fuoco anche di quello domestico.

Questi tre inni al fuoco, hanno differenti rituali di consacrazione ed una distinta liturgia per le cinque preghiere quotidiane (Gah) quando sono alimentati con combustile fresco. In primo luogo, noi parleremo del processo consacratorio di questi tre gradi del sacro fuoco. Per esempio, il Zoroastriano s’inginocchia nelle sue preghiere; abbassa la testa e si inchina; alza le mani al Cielo. Questi riti che simboleggiano il servizio, l’obbedienza o l’omaggio reso a Dio sono compiuti di tanto in tanto. Il candidato recita cinque volte le sue preghiere durante il giorno. Il suo stato d’animo deve essere pio o religioso. Il candidato nel corso di questi sei giorni deve pregare durante i cinque Gah chiedendo con deferenza la grazia ai pasti, ecc… Non deve mettersi in contattato con nessun non-Zoroastriano.

I cinque periodi per lo svolgimento della cerimonia

La cerimonia Bui è eseguita cinque volte ogni giorno. È effettuata al principio di ognuno dei cinque Gah o periodi giornalieri che corrispondono approssimativamente alle ore canoniche dei Musulmani.

Questi periodi sono i seguenti:

(1) Havani. Comincia alle prime ore del mattino quando le stelle iniziano a scomparire, e dura fino alle ore 12 quando il Sole è in alto. Letteralmente, significa il momento in cui la cerimonia della battitura dell’Haoma è eseguita.

(2) Rapithavana. Va da mezzogiorno alle ore 3 pomeridiane. Letteralmente, significa il centro (pithwa) o la parte centrale della giornata (ayarê).

(3) Uzayeirina. Inizia alle 3 pomeridiane quando le stelle iniziano a comparire. Letteralmente, significa il tempo d’avanzamento del Sole.

(4) Aivisruthrema. Va dal tramonto fino alla mezzanotte.

(5) Ushahin. Dalla mezzanotte all’alba quando le stelle cominciano a scomparire.

Il sacerdote compie il Kusti-padyab (i.e., rituale seguito dalla slegatura e riannodatura del kusti).

La cerimonia Bui nell’Atash Behram: un sacerdote che ha compiuto la cerimonia Khub, esegue il Kusti-padyab al principio d’ogni nuovo Gah, vale a dire, durante la giornata così com’è stato descritto sopra, poi recita a memoria il suo Farziyat, cioè, le preghiere necessarie che sono il Sarosh-Baj (preghiera quotidiana penitenziale), il Gah corrispondente all’orario del giorno, ed il Khvarshed Niyayeshe (Litania al Sole) e il Mihr Niyayeshe (Litania a Mithra: nel Persiano Avestico Mithra significa “alleanza”, ma anche bontà, amore e misericordia cui si associa il Sole e l’amicizia) durante i periodi della giornata, in pratica, i suddetti primi tre Gah.

Durante la notte ci sono dei periodi che costituiscono gli ultimi due Gah. Il Khvarshed Niyayeshe (Litania al Sole) e il Mihr Niyayeshe (Litania a Mithra) sono sostituiti dallo Sraosha Yasht (Lo Yasna 57 è, di fatto uno Yasht dedicato a Sraosha, l’obbedienza o l’osservanza) e dallo Sraosha Hadhokht. Poi, il sacerdote si reca nella camera sacra, indossa i guanti bianchi, depone dell’incenso sul Sacro Fuoco, e poi il Mâchi, cioè, sei pezzi di legno di sandalo.

Sequenza maestra delle preghiere Zoroastriane

In primo luogo, fai il bagno, o lava le mani, i piedi e il viso. Con un cappello o foulard sulla testa, e di fronte al Sole o alla luce, rimuovi il kusti dalla tua vita. Poi, recita l’Ashem Vohu e lo Yatha ahu vairyo (sono due mantra fondamentali), il Kem na Mazda (un esorcismo, una preghiera contro i Daeva-Demoni), dopo lega il kusti recitando l’Ahura Mazda Khodae (mentre finisce di legare il kusti), recita il Mazdayasno ahmi (Yasna 12: 8-9; formula degli Articoli di Fede), il Sarosh Baj (preghiera quotidiana penitenziale), Ahmai Raeshcha (preghiera ad Ahura Mazda per la salute e la felicità), l’Hazangrem, lo Jasme Avanghe Mazda (credo Mazdeo, Yasna 12, comunemente chiamato Jasme Avanghe Mazda), Kefreh Mazda, poi compi l’appropriato Gah, dopo le preghiere Farajyat (obbligatorie) come il Khorshed e il Mihr Niyayesh (solo nei primi tre Gah), l’Atash Niyayesh (Litania al Fuoco), Hormuzd Yasht (Preghiera di celebrazione ad Ahura Mazda), e poi Ardvahisht Yasht (Inno a Asha Vahishta).

Una guida dettagliata per ogni Gah è riportata di seguito. Nota che la maggior parte delle preghiere sono raccomandate nel primo Gah, l’Havani, e questo include l’Ardvahisht Yasht (Inno a Asha Vahishta). L’Havani Gah, è quindi il momento migliore per pregare questo Yasht (Inni a Ahura Mazda, agli arcangeli e agli angeli).

L’Havani Gah corrisponde al Salatu-l-Fajr: “Annuncio e celebro [questo yasna] in lode degli Asnya, i santi del giorno, maestri di rettitudine; degli Havani, i santi guardiani del mattino…” (Avesta, Yasna 1.3)

Alzarsi prima del sorgere del Sole, pregare l’Hoshbam (Inno all’Aurora). Quando il Sole sorge, iniziare la sequenza maestra di cui sopra. Continua con Khvarshed Niyayesh (Litania al Sole) e Mihr Niyayesh (Litania a Mithra), Vispa Humata (Tutti i buoni pensieri), Atash Mihr Niyayesh (Litanie al fuoco di Mihr), Hormuzd Yasht (Preghiera di celebrazione ad Ahura Mazda). Se è possibile, prega anche l’Haptan Yasht (Inno ai sette, gli Amesha Spenta), Ardvahisht Yasht (Inno a Asha Vahishta), Sarosh Yasht Hadokht e Vanant Yasht [dedicato a Vanant (Vega), la stella delle pioggie]. Poi, Doa Nam Satayashne (Tributo di Gratitudine ad Ahura Mazda), Char Disha-no Namaskar (Saluto alle quattro direzioni), Doa Tan-Dorosti (Possa esserci salute) e Din-no-kalmo (Confessione di fede).

Il Rapithavana Gah corrisponde al Salatu-l-Zohr: “Annuncio e celebro [questo Yasna] in lode a Rapithavan…” (lo yazata che presiede la parte del giorno che va da mezzogiorno a metà del pomeriggio) (Avesta, Yasna, 1: 4)

Inizia la sequenza maestra di cui sopra. Se è possibile, continua con Sarosh Baj (preghiera quotidiana penitenziale), Rapithavana Gah, Khvarshed Niyayesh (Litania al Sole), Mihr Niyayesh (Litania a Mithra) e Atash Niyayesh (Litania al Fuoco), Doa Nam Satayashne (Tributo di Gratitudine ad Ahura Mazda), Char Disha-no Namaskar (Saluto alle quattro direzioni), Doa Tan-Dorosti (Possa esserci salute) e Din-no-kalmo (Confessione di fede).

L’Uzayeirina Gah corrisponde al Salutu-l-Asr: “Annuncio e celebro in lode di Uzayeirina, spirito del tardo pomeriggio…” (Avesta, Yasna, 1: 5)

Comincia con la suddetta sequenza maestra. Se è possibile, continua con Sarosh Baj (preghiera quotidiana penitenziale), Uzayeirina Gah, Khvarshed Niyayesh (Litania al Sole), Mihr Niyayesh (Litania a Mithra), Ava Ardvisur e Atash Niyayeshe (Litania al Fuoco), Doa Nam Satayashne (Tributo di Gratitudine ad Ahura Mazda), Sarosh Yasht Hadokht, Char Disha-no Namaskar (Saluto alle quattro direzioni), Doa Tan-Dorosti (Possa esserci salute) e Din-no-kalmo (Confessione di fede).

L’Aivisruthrema Gah corrisponde al Salatu-l-Maghrib: “Annuncio e celebro in lode di Aivisruthrem, il periodo del giorno che dal tramonto giunge fino a mezzanotte (Avesta, Yasna 1.5)

Inizia la suddetta sequenza maestra. Se è possibile, continua con Sarosh Baj (preghiera quotidiana penitenziale), Aivisruthrema Gah, Cheragno Namaskar (Omaggio ai lumi), Mah Bokhtar (Omaggio alla luna), Atash Niyayesh (Litania al Fuoco), Sarosh Yasht Vadi, Doa Nam Satayashne (Tributo di Gratitudine ad Ahura Mazda), Doa Tan-Dorosti (Possa esserci salute) e Din-no-kalmo (Confessione di fede).

L’Ushahina Gah corrisponde al Salutu-l-‘Isha: “Annuncio e celebro in lode di Ushahin, il tempo tra la mezzanotte e l’alba” (Avesta. Yasna 1.7)

Comincia con la suddetta sequenza maestra. Se la salute lo consente, continua con Sarosh Baj (preghiera quotidiana penitenziale), Ushahina Gah, Atash Niyayesh (Litania al Fuoco), Doa Nam Satayashne (Tributo di Gratitudine a Ahura Mazda), e se è possibile con Hormuzd Yasht (Preghiera di celebrazione ad Ahura Mazda), Ardvahisht Yasht (Inno a Asha Vahishta), Sarosh Yasht Hadokht, Doa Tan-Dorosti (Possa esserci salute) e Din-no-kalmo (Confessione di fede).

Note:

Ava Yasht (Yasna 5 o 37: in lode di Ahura, della santa Creazione. Una preghiera di glorificazione alle proprietà purificatorie di questa creazione Ahurica). Se non è possibile giornalmente, allora prega in questi 5 giorni ogni mese: Asfandarmad, Ava, Din, Ashishvangh, Marespand.

Atash Niyayesh (Litania al Fuoco). Se non è possibile giornalmente, prega in questi 5 giorni: Hormuz, Ardibehest, Ader, Sarosh, Behram roj.

Dal primo mese di Farvardin al mese di Meher, dal primo roj Hormuz all’ultimo roj Aneran di questi mesi, prega il Rapithavana Gah nella sua fascia oraria. Ma dal mese di Aban al giorno di Vahistohist Gatha che ci sono 5 mesi 5 giorni, prega invece l’Havani Gah.

Breve descrizione d’altri elementi comuni tra Islam e Zoroastrismo

Il Sanctum Sanctorum in queste due religioni. Il posto più sacro della Moschea è la parete di fronte alla Mecca che si chiama Kiblah. Nell’Atash Behram/Agiary, la stanza in cui l’Atash Padshah [il fuoco Imperatore delle Divine Energie che converte tutto il male (materia) nella luce spirituale (energia) con la sua Divina Radiosità] è insediato, è detta Keblah. Un Musulmano compie sempre la Sajdah (la prostrazione) di fronte alla Kiblah, e così anche lo Zoroastriano esegue la Sezdah di fronte alla sua Keblah. Entrambi s’inginocchiano toccando la fronte a terra.

Il mese sacro. Nell’Islam, il Ramadan è il mese santo in cui tutti Musulmani sono tenuti a digiunare dall’alba al tramonto. Nello Zoroastrismo, il mese di Bahman ha una simile connotazione, in esso a tutti è richiesto di astenersi particolarmente dalla carne. Forse, in epoca Sassanide, il mese di Bahman era osservato così come oggi si compie il Ramadan.

L’ascesa al cielo. L’agiografia Islamica ci assicura che il Profeta Muhammad (ص) ascese al cielo da Gerusalemme sulla mitica bestia Burak. Attraversò le 7 sfere salutando i vari patriarchi e scorse la gloria di Dio.

Il Dinkard o Denkart, opera in lingua Pahlavica, scritta nel IX sec. e giunta a noi incompleta, ci narra che alle suppliche del puro di cuore (Asho) Zarathustra, il trascendente arcangelo Bahman Ameshaspand elevò la sua coscienza al regno dei cieli, in cui ammirò la brillante maestà Divina. Un simile viaggio fu attribuito al virtuoso Arda Viraf che visitò l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso durante il suo cammino spirituale. Naturalmente, Arda Viraf non poteva guardare Dio di persona. L’opera è stata più volte comparata alla Divina Commedia di Dante.

Le suddette somiglianze sono ovvie, una ricerca più accurata rivelerebbe maggiori parallelismi. Questi punti, in ogni modo, sono congedati come mere coincidenze. Questo significa che lo Zoroastrismo ha avuto un impatto enorme sull’Islam cui non è dato credito. Tutti convengono che l’Islam abbia molti punti in comune col Giudaismo e col Cristianesimo, ma pochi arguiscono che il Profeta Muhammad (ص) accolse fortemente l’eredità spirituale Iranica, grazie probabilmente alla misteriosa figura di Dastur Dinyar (Salman al-Farsi). Questo debito è così impressionante che fu necessario declassarlo e negarlo completamente in seguito. Dopo tutto, se l’Islam è ispirato direttamente da Dio, non deve avere nessun debito nei confronti di una fede anteriore, specialmente se si tratta del culto di una nazione sconfitta. Questo disconoscimento, forse, spiega il motivo della feroce persecuzione condotta da una certa élite Musulmana contro gli Zoroastriani, un metodo sistematico per cancellare un’imbarazzante traccia dell’eredità spirituale Islamica.

Il ponte Chinvat

Secondo un antico mito Persiano, quando una persona muore, l’anima rimane nel corpo per tre giorni. Al quarto, percorre il ponte Chinvat (il ponte della separazione, chiamato anche Al-Sirat), accompagnato da divinità protettrici. Il ponte è “più sottile di un capello e più affilato di una spada” ed attraversa un profondo abisso pieno di mostri. Sull’altro lato del ponte c’è l’ingresso al Paradiso.

La vita ultraterrena esiste e tutte le anime mortali risorgeranno e saranno giudicate, punite o premiate secondo le azioni compiute in vita. Le anime defunte attraversano un ponte (il ponte Chinvat nell’Avesta, il ponte al-Sirat nel Corano) sul quale sono interrogate dagli dei per vedere se siano degne del Paradiso, un luogo illuminato dal Sole in cui esistono tutte le delizie immaginabili. I peccatori ed i colpevoli cadono dal ponte e finiscono nel regno sotterraneo dell’Inferno. Il concetto d’Inferno come luogo di tormento è presieduto da Angra Mainyu (Ahriman, lo Shaytan nel Corano); invece, le nozioni di Paradiso, risurrezione e giudizio individuale sono proprie di Zoroastro, la pace sia su di Lui. Queste dottrine influenzarono profondamente l’evoluzione religiosa dell’area, in altre parole la tradizione Giudaico-Cristiana e Islamica.

I demoni presidiano le fondamenta del ponte e disputano con gli dei sul destino dell’anima. Le azioni buone o cattive del defunto sono pesate affinché all’anima sia concesso o negato l’attraversamento del ponte. Gli spiriti che hanno commesso più male che bene, cadranno nella fossa infestata dai demoni per affrontare il tormento eterno. In quest’abisso di dannati, ogni anima è torturata da un GHOUL (demone mostro) che rappresenta i suoi peccati in vita.

Una volta caduta nell’abisso, nessun’anima può scappare dagli orrori Infernali tramite la propria potenza.

Zoroastro, la pace sia su di Lui, fu un leader religioso vissuto nel sesto secolo a.C. Aveva avvertito i suoi seguaci di quest’ostacolo per raggiungere il cielo, ma promise di portare il suo gregge in salvo attraversandolo. L’antico manoscritto delle Gatha (Inni di Zoroastro) spiega che il Ponte del Trapasso “diventa stretto per gli empi”, mentre i santi possono superarlo incolumi. Nelle Gatha, il giusto dio Rashnu è definito il giudice che accerta i degni di salvezza o di dannazione. Tutti gli infedeli (non credenti) cadono nell’Inferno, perché esso fu creato secondo il Profeta (ع), soprattutto per i “seguaci della menzogna”.

Le leggende sono solo dei canovacci, ma asseriscono che il Ponte Chinvat è situato in qualche posto nel lontano nord. È un luogo di sporcizia in cui i dannati sopportano le torture fisiche e l’agonia spirituale. Le anime che non hanno successo nell’attraversare il Ponte Chinvat soffrono questi tormenti finché Ahriman, il dio del male e dell’oscurità nello Zoroastrismo, è distrutto da Hormuzd (o Ahura Mazda), il dio del bene e della luce nel Giudizio finale. Così, gli spiriti perduti sono restituiti alla verità quando “la menzogna” è sradicata, oppure affrontano l’annientamento finale.

Analogamente, nello Zoroastrismo è importante mantenere la pulizia rituale, che si riferisce alla purificazione fisico-spirituale. Ad esempio, solo determinati membri autorizzati della comunità Zoroastriana entrano in contatto con un corpo morto. Questa pratica non è rispettata dal Giudaismo e dal Cristianesimo, ed è molto probabile che l’Islam abbia mutuato questa pratica dallo Zoroastrismo. Queste somiglianze dimostrano che l’Islam è stato profondamente influenzato dallo Zoroastrismo.

La creazione

“Allah, Colui Che in sei giorni creò i cieli e la terra” (Corano, 11: 7, 7: 54, 50: 38, 10: 3, 25: 59, 32: 4, 57: 4) Secondo il credo Zoroastriano, Ahura Mazda, il Creatore dell’universo, ha sei assistenti, detti Amesha Spenta, che lo aiutano. Lui e gli Amesha Spenta sono i responsabili della creazione. Queste entità spirituali più elevate, create da Ahura Mazda sono state affiancate all’uomo nella sua lotta contro il Male. Sono i predecessori degli arcangeli e includono le maggiori entità divine come: Vohu Manah, il buon pensiero, Asha, la rettitudine, Armaiti, la santa devozione e la pietà, Haurvatat, la perfezione e la salute, Ameretat, l’immortalità, Xsathra, il dominio, il potere supremo e lo stesso Ahura, il Signore.

Hârût e Mârût

“Prestarono fede a quel che i demoni raccontarono sul regno di Salomone. Non era stato Salomone il miscredente, ma i demoni: insegnarono ai popoli la magia e ciò che era stato rivelato ai due angeli Hârût e Mârût a Babele.” (Corano 2 : 102)

Hârût e Mârût sono i due angeli caduti a Babilonia che insegnano agli uomini la Magia. I filologi li riconoscono come nomi non-Arabi, questo è chiaro dal testo “al-Jawaliqi” di Mu’arrab. Lagarde li identifica con l’Haurvatat (progressione e perfezione) e l’Ameratat (immortalità e beatitudine eterna) dell’Avesta, i quali furono conosciuti nel tardo periodo Persiano come Khurdad e Murdad, gli spiriti della natura divenuti arcangeli e riveriti dagli antichi Armeni come dei. Quest’identificazione è stata generalmente accettata, sebbene Nestle, li paragona a Khillit e Millit, e Halévy, li dichiaraap.JPGdi Enoch, sebbene pensi che nel testo originale si legga ebr.JPG. Ciò, tuttavia, è improbabile di per sé, ed è davvero fuori discussione che la migliore lettura di questo passaggio di Enoch siapap.JPG. È curioso, tuttavia, che nel Libro Slavo di Enoch, appaiano due angeli chiamati Orioch e Marioch. Margoliouth, ritiene che la forma dei nomi indichi un’origine Aramaica e li considera delle personificazioni Aramaiche del male e della ribellione, e Wensinck, nota chewen.JPGè una comune parola Siriaca per designare il potere o la dominazione, quindi, è possibile che vi sia stata un’influenza Aramaica nella trasmissione dei nomi a Muhammad (ص).

In conclusione, Hinnels, nel suo trattato sullo Zoroastrismo dichiara: “Sono l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam che devono di più allo Zoroastrismo. La credenza in un diavolo, al Paradiso, all’Inferno, alla fine del mondo, alla risurrezione dei morti e al giudizio finale, sono il risultato dell’influenza Zoroastriana. Forse nessun’altra religione ha influenzato così tante persone in molti continenti e per parecchi secoli come il Zoroastrismo.”

 

NOTE

1.   Mary Boyce, “Padyab and Nerang: Two Pahlavi Terms Further Considered,” Bulletin of the School of Oriental and African Studies 54 (1991): 287. Anche Choksy, Purity and Pollution, p. 56

2.   Choksy, Purity and Pollution, p. 55.

3.   Boyce, “Padyab and Nerang,” pp. 286-87.

4.   Ibid., p. 290 n. 53.

5.   Ibid., p. 288.

6.   In un precedente lavoro, Boyce scrive che “la maggior parte dei concetti comuni alle due comunità deriva dalle consuetudini ordinarie in uso presso tutti gli Zoroastriani in Iran nel momento in cui i Parsi partirono, nel decimo secolo d.C. Inoltre, si rileva che le due comunità sono rimaste in contatto, e che il vocabolario Arabo comune e alcune pratiche distintive come la costruzione delle torri funerarie siano passate dagli Iraniani Zoroastriani ai loro correligionari nel Gujarat nel periodo Islamico (Mary Boyce, Zoroastrians: Their Religions Beliefs and Practises [London: Routledge & Kegan Paul, 1979], pp. 157-58).

7.   Ibn Hisham, Sira, 2:53 (Guillame, Life of Muhammad, p. 99). Questo minimo elenco d’astensioni, ma ancora simbolicamente potente, è un po’ una reminiscenza dell’esempio Cristiano degli Atti 21:25, che prescrive l’astinenza “da ciò che è stato sacrificato agli idoli, dal sangue, dall’animale strangolato e impuro.”

8.   Ibn Hisham, Sira, 3:43. Alcune delle pratiche qui menzionate, sembrano appartenere ad un’usanza pagana Araba e, quindi, riguardano la scrupolosità ritualistica di Abu Qays nell’esecuzione delle abluzioni dopo la polluzione sessuale – o, in alternativa, il fatto che si lavava il corpo intero, piuttosto che “toccarsi la testa con l’acqua” come la suddetta pratica pagana – e non si tratta di una consuetudine insolita. Similmente, l’asserzione secondo cui “evitava il contatto e la polluzione con le donne mestruate (tatahhara min al-ha’id min al-nisa’)” può significare che evitò ogni tipo di contatto con qualsiasi donna mestruata, e non solamente che si astenne dai rapporti con la moglie durante il suo periodo mestruale.

9.   Ibn Hajar al-Haytami, Tuhfat al-muhtaj bi-sharh al-minhaj, stampa a margine di al-Shirwani, Hawashi al-‘Shirwani wa Ahmad ibn Qasim al-‘Abadi ‘ala tuhfat al-muhtaj bi-sharh al-minhaj (n.p., n.d.), 1:185-86.

10.  Al-Tha’alibi, la cui data di morte è ignota, dedicò il suo Ghurar akhbar muluk al-furs wa-siyarihim al fratello di Mahmud di Ghazna che morì nel 412 Egira/1021 d.C. (Encyclopaedia of Islam. 1st ed. 10 vols. Leiden, the Netherlands: E. J. Brill, 1913-38, ristampato 1987, vedere “al-Tha’alibi).

11.  ‘Abd al-Malik ibn Muhammad al-Tha’alibi, Ghurar akhbar muluk al-furs wa-siyarihim, ed. H. Zotenberg (Paris, Stamperia Nazionale, 1900), pp. 258-260. Mary Boyce osserva che “il lavaggio del viso e delle mani” fu una frase usata dagli studiosi Zoroastriani per riferirsi alle abluzioni kusti/padyab (le quali, naturalmente, includono non soltanto le mani e il viso) fino all’era moderna (Boyce, “Padyab and Nerang,” pp. 286-287). Presumibilmente al-Tha’alibi si basa su una fonte scritta, piuttosto che sull’osservazione dell’effettivo comportamento.

12.  Muslim, ibn al-Hajjaj, Sahih Muslim bi-sharh al-iman Muhyi’ l Din al-Nawawi, vol. 3, ed. Khalil Ma’mun Shiha (Beirut: Dar al-Ma’rifa), 3:202-3. Paralleli in Ahmad ‘Abd al-Rahman al-Banna, noto come al-Sa’ati, al-Fath al-rabbani li-tartib musnad al-imam Ahmad ibn Hanbal al-Shaybani (n.p.: Matba’at al-Ikhawan al-Muslimin, n.d.), 2:152-53; Abu Dawud Sulayman ibn al-Ash’ath al-Sijistani, Sunan Abi Dawud, ed. Muhammad Muhyi’l Din ‘Abd al-Hamid (n.p.: Dar Ihya’ al-Sunna al-Nabawwiya, n.d.), 1:177:178; Muhammad ibn Yazid ibn Maja, Sunan, ed. Muhammad Fu’ad ‘Abd al-Baqi (n.p.: Isa al-Babi al-Habibi wa-Shuraka’uhu, n.d.), 1:211; Ahmad ibn Shu’ayb al-Nasa’i, al-Sunan al-kubra, ed. Muhammad Habib Allah Amir al-Din al-Athari (Bombay: al-Dar al-Qayyima, A.H. 1405/1985 d.C.), 1:78.

13.  Choksy, Purity and pollution, p. 97.

14.  Jalal al Din al-Suyuti, al-Durr al-manthar fi’l tafsir bi’l-ma’thur (Tehran, 1377/[1957]), 1:258.

 

Bibliografia

Arnaldo Alberti, Avesta, Utet, Torino, 2004.

Marion Holmes Katz, Body of text: the emergence of the Sunni Law of Ritual Purity, Published by State University of New York Press, Albany, 2002.

Mary Boyce, Zoroastrians: their religious beliefs and practices, London: St Edmundsbury press, 2001

Jamsheed Choksy, Purity and Pollution in Zoroastrianism, Austin University of Texas Press, 1989

Mary Boyce, “Padyab and Nerang: Two Pahlavi Terms Further Considered,” Bulletin of the School of Oriental and African Studies 54 (1991): 287.

Bibliografia

https://soi-seattle.org/the-five-aspects-of-prayer-and-the-five-elements/

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