Elementi Sufi e Sciiti nella rappresentazione di Guru Nanak

a cura di Francisco José Luis, professore universitario in Lussemburgo, si è convertito all'Islam Sciita

Preambolo

Il Sikhismo è una tradizione mistica che esordì nel 15° secolo nell’India settentrionale con gli insegnamenti di Guru Nanak e dei nove successivi Guru (insegnanti). Sikh è una parola sanscrita, la cui radice è shishya, che significa “discepolo”. I Sikh credono in un Essere Immortale, nei dieci Guru e nell’Adi Guru Granth Sahib (la loro Sacra Scrittura).

Guru Nanak, il primo insegnante, nacque nel 1469 d.C. nel Punjab (nell’attuale Pakistan), a qualche chilometro da Lahore. I suoi insegnamenti enfatizzavano l’unità di Dio e l’uguaglianza tra tutte le caste e i credi, tra gli uomini e le donne. Il Sikhismo ha radici sia nelle tradizioni Indiana e Islamica, sia nelle tradizioni Sufi e Sciite.

Il Sufismo o tasawwuf è il sentiero iniziatico Islamico. La parola Sufi ha origine dalla parola Araba suf che significa “lana” e si riferisce ai semplici mantelli indossati dai primi asceti Musulmani. Un’altra parola radice safa che significa “purezza” suggerisce la purezza del cuore e dell’anima nel Sufismo. Un Sufi è comunemente inteso come una persona di cultura religiosa che aspira a essere vicino ad Allah. I Sufi appartengono alle turuq (ordini) organizzate nei primi secoli dopo la morte del Profeta (S); questi ordini hanno un maestro responsabile dell’insegnamento della sacra conoscenza.

I Sufi furono influenti nel diffondere l’Islam soprattutto in Africa, in India ed in Estremo Oriente. Lo Sciismo è una fazione Musulmana che dopo la morte del Profeta Muhammad (S) all’inizio del VII secolo ha sostenuto che Hazrat Ali (a), suo genero e cugino, fosse suo il legittimo successore e califfo; invece, la parola Shi’a significa “seguace”, e per estensione “seguace di Ali”. Gli Sciiti aderiscono agli insegnamenti del Profeta Muhammad (S) e alla guida religiosa della sua famiglia (Ahl al-Bayt) o dei suoi discendenti noti come Imam Sciiti.

L’Hujjat-ul-Islam “Sayyed Ali Abbas Razavi” in un Gurdwara scozzese

Introduzione

La tradizione Sikh, nata alla confluenza di due oceani (majma-ul bahrain), i mondi Islamico e Indiano, ha sempre sostenuto che le sue radici risiedano in queste due grandi tradizioni religiose; infatti, gli stessi Guru che fondarono Amritsar e costruirono l’Harimandir Sahib (il Tempio d’Oro) furono anche quelli che edificarono moschee e templi per le diverse tradizioni Indiane.

Non è sorprendente vedere elementi di queste fedi incorporati nel Sikhismo. Ciò è osservabile nel modo in cui Guru Nanak è rappresentato nella sua iconografia. Quest’articolo basato su materiale agiografico si concentrerà su un particolare tipo di rappresentazione di Guru Nanak, in cui sono stati incorporati elementi Sufi e Sciiti.

L’immagine è una miniatura del Sarvasiddhantatattvacudamani di Durgashankar ora conservata presso la British Library; essa raffigura Guru Nanak seduto col suo discepolo stretto Bhai Mardana che suona il rubab, uno strumento a corde pizzicate (Vedere analisi dettagliata a p. 281 del Sarvasiddhantatattvacudamani).

Ritratto di Guru Nanak (1469-1539 d.C.) e del suo discepolo Bhar Mardana, che suona il rubab, tratto dal Sarvasiddhantaracudamani 'Il Gioiello dell'Essenza di tutte le Scienze', India (1840 d.C.), un trattato in Sanscrito sullo Zodiaco con numerose illustrazioni dipinte.

La descrizione di Guru Nanak nella prima letteratura Sikh

Le descrizioni fisiche di Guru Nanak nella prima letteratura del Sikhismo differiscono radicalmente dall’odierna iconografia neo-Sikh che si trova nella maggior parte delle case e dei luoghi di culto Sikh.

Il neo Sikhismo emerso nella seconda metà del diciannovesimo secolo, al pari del Protestantesimo e della Modernità, fu fortemente influenzato dai paradigmi Occidentali e si sforzò di riformulare un’identità Sikh che fosse iper-maschile e priva di elementi Islamici e Indiani; difatti, il rapporto con l’arte e l’iconografia è stato fortemente trasformato. Le pitture murali sui diversi templi Sikh furono imbiancate dalle autorità del neo Sikhismo giacché il loro contenuto non era in linea con la nuova identità.

Il neo Sikh Guru Nanak è un vecchio stoico che indossa un turbante e delle semplici vesti color zafferano; questo corredo ha la funzione di benedizione ieratica corrispondente all’ideale di un santo neo Sikh.

Guru Nanak è raffigurato come un vecchio stoico che indossa un turbante color zafferano e una veste nella posizione ieratica di benedizione. L'autore del dipinto è l'acclamato artista S. Sobha Singh (1901-1986 d.C.) che è stato premiato con l'onorificenza del Padma Shri. Il punto di forza di Singh era la ritrattistica con un'attenzione particolare ai Guru Sikh, alla loro vita e al loro lavoro; i dipinti erano una manifestazione della sua devozione ai Guru e del suo desiderio di fornire ispirazione alle persone.

La fisionomia di Guru Nanak

Guru Nanak è, quindi, spesso rappresentato come un uomo anziano nelle miniature del diciannovesimo secolo, anche se non è raro imbattersi in dipinti precedenti che lo ritraggono come un giovane uomo, con una grande enfasi sulla sua bellezza. Un famoso passaggio in varie agiografie narra la sua cattura da parte dei Pathan che volevano venderlo come schiavo; ma le donne Pathan, ipnotizzate dalla sua bellezza, insistettero per mantenerselo. Quest’episodio è un’eco del tema di Yusuf (a), il bellissimo giovane Profeta in cui si è manifestato l’attributo Divino della bellezza.1

L’abbigliamento di Guru Nanak

L’abbigliamento di Guru Nanak cambiò molte volte durante la sua vita, specialmente a causa dei viaggi che intraprese. Ciò che non cambia è il fatto che Guru Nanak indossa un topi o un cappello Sufi durante queste diverse fasi. Come capofamiglia indossa l’abito usuale del laico del suo tempo e del suo rango, cioè un jama. Durante i suoi quattro grandi viaggi o udasi indossa abiti diversi. Nei primi due viaggi (nel sud e nell’est dell’India) indossa una miscela colorata di elementi Indiani e Islamici. Durante la sua spedizione del nord verso l’Himalaya e il Tibet si dice che abbia indossato pellicce e pelli, e nel suo quarto e ultimo viaggio in Medio Oriente, il suo vestito ha più elementi Islamici ed è descritto come un qalandari.2

Il viaggio di Guru Nanak

Il viaggio di Guru Nanak in Medio Oriente è ricco di episodi mistici che rivelano l’enfasi che la tradizione Sikh pone sulla spiritualità interiore e sui suoi rapporti con l’Islam. Si noterà che le agiografie mostrano l’opposizione tra Guru Nanak e i fuqaha3 dell’Islam exoterico, e la sua amicizia verso i mistici Sciiti-Sufi. Tre importanti episodi di questo viaggio saranno raccontati. Il primo evento avviene sul percorso che Guru Nanak intraprende verso la Persia Safavide. Gli è chiesto da un gruppo di pellegrini Sciiti a Mashhad la sua posizione sul rapporto tra il Profeta Muhammad (S) e l’Imam Ali (a) che è in contrasto con quella Sunnita4. Guru Nanak gli risponde nel modo seguente:

Sappiate che Muhammad e Ali sono uno. Muhammad oltrepassa la conoscenza. Ali eccede nella cavalleria. La luce di Dio è sia in Muhammad che in Ali. È anche nei quattro amici e nel tuo cuore, ma te ne sei dimenticato. (Singh 1999.236-7)

La prima parte di questa risposta riflette parola per parola un detto dell’Imam Giafar as-Sadiq (a), mentre i Char Yar (i Quattro Amici) citati sono quattro famosi santi Sufi del Punjab e del Sindh: Baba Farid Shakar Ganj di Pakpattan (1174-1266 d.C.); Jalaluddin Bukhari di Uch, Bahawalpur (1196-1294 d.C.); Bahauddin Zakariah di Multan (1170-1267 d.C.) e Lal Shahbaz Qalandar di Sehwan (1177-1274d.C.). Si noterà che questi santi sono tutti collegati a ordini Sufi le cui silsila (lignaggi) risalgono all’Imam Ali (a) passando per l’Imam Reza (a). La seconda parte della risposta rivela la relazione della tradizione Sikh con gli ordini Sciiti-Sufi.

Sikh prega con i Musulmani durante l’Aid in New Delhi

Il soggiorno di Guru Nanak a Baghdad

Il secondo evento importante è il soggiorno di Guru Nanak a Baghdad dove recitò l’adhan o chiamata alla preghiera che a quel tempo, nella Persia Safavide, includeva la menzione dell’Imam Ali (a).  Dopo che le persone si riunirono intorno a Guru Nanak, iniziò a cantare i grandi temi del misticismo in Persiano accompagnato da Bhai Mardana col rubab.  Dopo aver cantato gli stadi di shari’a, tariqa e ma’rifa,5 Guru Nanak menzionò la molteplicità degli universi.

Il fuqaha di turno considerò questo comportamento sacrilego e minacciò di farlo lapidare a morte. Guru Nanak dimostrò che si sbagliavano citando un passaggio dal Mi’raj del Profeta Muhammad (S) che indica l’esistenza di altri universi. Guru Nanak ha poi avuto un incontro mistico con lo Shaikh Bahlol,6 il famoso discepolo dell’Imam Giafar as-Sadiq (a) e dell’Imam Musa al-Kazim (a), che riconobbe in Guru Nanak un grande santo.

Il soggiorno di Guru Nanak alla Mecca

Il terzo e più famoso episodio del viaggio in Medio Oriente di Guru Nanak  è il suo soggiorno alla Mecca. Alcune tradizioni dicono che si coricò per dormire in una moschea dove altri pellegrini stavano riposando, ma mentre dormivano i suoi piedi puntavano verso il mihrab (una nicchia nel muro di una moschea, che indica la qibla, cioè la direzione della Ka’aba alla Mecca, che i Musulmani guardano quando pregano). Un’altra e più famosa versione narra che Guru Nanak si coricò per dormire davanti alla Ka’aba con i piedi in direzione del sacro santuario. In entrambe le versioni i mullah (chierici) rimproveravano a Guru Nanak quest’atto di blasfemia e lo istruivano a spostare i piedi, ma ogni volta il mihrab o la Ka’aba stessa sembrava spostarsi.

L’aspetto del qalandari blu di Guru Nanak ha un profondo significato a causa degli episodi sopra menzionati.

Sikh esegue du’a

Un analisi del ritratto di Guru Nanak nel Sarvasiddhantatattvacudamani di Durgashankar

Nella miniatura Guru Nanak è seduto sopra un tappeto con la schiena appoggiata contro un cuscino, con la mano sinistra si sostiene mentre sgrana il suo rosario con la mano destra. Indossa un cappello Sufi con un turbante bianco avvolto. Veste una tunica blu a cui è drappeggiata una serie di corde nere chiamate seli che scende dalla sua spalla sinistra. Sulle spalle indossa una khirqa multicolore o mantello Sufi; accanto a lui giacciono un bastone da meditazione e un vasetto per l’acqua. Il suo discepolo Mardana, vestito laicamente, siede di fronte a lui, mentre suona il rubab. Bhai Gurdas, famoso teologo e discepolo di Guru Arja (Quinto Guru), si riferisce alle sembianze qalandari di Guru Nanak nel suo Varan:

Indossando abiti blu, Baba Nanak andò alla Mecca. Teneva il bastone in mano, stringeva un libro sotto l’ascella, afferrò una pentola di metallo e un materasso “. (Var I, Pauri 32).

L’abbigliamento e il concetto di miri e piri

Quindi, questa miniatura illustra il viaggio di Guru Nanak in Medio Oriente. Gli elementi Islamici dell’abbigliamento di Guru Nanak derivano dal mondo Sciita-Sufi: il suo cappello Sufi avvolto da un turbante bianco è un attributo che si trova in molti ordini Sufi. Il cappello da derviscio è dato al momento dell’iniziazione dal maestro al suo discepolo e simboleggia il taj o corona, indicando che colui che percorre il sentiero mistico è il vero re di questo mondo. Nella maggior parte delle rappresentazioni che possono essere ricondotte al rishta-e dervishan (relazioni sui dervisci) degli ordini Sciiti-Sufi, Guru Nanak è mostrato con indosso una serie di corde nere di seli attorno a questo cappello o al collo. Il nome suggerisce che il cavo nero rappresenta la faqiri (povertà) spirituale.

La combinazione di topi e seli a parte il suo legame con la tradizione Sciita-Sufi traduce un aspetto molto importante della tradizione Sikh, cioè il concetto di miri e piri (potere temporale e spirituale). Il Guru nella tradizione Sikh possiede sia la corona di miri rappresentata dal cappello che la corda nera di piri. Le interpretazioni moderne hanno portato molti, alla luce della rivoluzione del 1979 in Iran, a considerare la combinazione dei due come un’affermazione che religione e politica non sono separate nel Sikhismo, e che è necessario uno Stato Sikh indipendente. Uno sguardo più da vicino alla storia delle relazioni tra i Guru Sikh e i Moghul mostrerà tuttavia che a livello temporale la comunità Sikh era più simile a uno stato all’interno di uno stato, o a un potere parallelo basato su un ethos spirituale.

L'identificazione dei 12 Guru con i 12 Imam proviene dalle scritture Sikh: "ਦ੍ਵਾਦਸਿ ਰੂਪ ਸਤਿਗੁਰੁ ਏ ਕਹਿਯਤਿ, ਦ੍ਵਾਦਸਿ-ਭਾਨੁ ਪ੍ਰਗਟ ਹਰਿ ਸੰਤਾ" (Oh Santi dell'Hari ascoltate, in dodici forme il Satiguru appare, proprio come le dodici fasi del Sole)

Miri e Piri, Shah Faqir e Badshah Dervish

Ai Guru Sikh vengono dati titoli che combinano questi due attributi di miri e piri come Shah Faqir (monarca e impoverito, rispettivamente) o Badshah Dervish (letteralmente Imperatore Ascetico). Il Guru come aspetto rivelato del Divino manifesta gli attributi di jalal (maestà) e jamal (bellezza) che a loro volta sono evidenti in termini di autorità, cioè nei suoi aspetti temporali e spirituali. Lo status del Guru è anche indicato dal tilak sulla sua fronte, un segno di consacrazione reale. Nella tradizione Indiana il marchio tilak faceva inizialmente parte del galateo cortese e prima che diventasse parte del tempio e dei rituali di culto domestico o puja; re e nobili lo ricevettero in segno di consacrazione e intronizzazione. Guru Nanak sia come shah che come faqir indossa il tilak come simbolo dell’autorità che ha ricevuto da Dio.7 Si noterà l’assenza della ciotola per l’elemosina, un attributo comune ai monaci Indiani, così come a molti ordini Sufi. Ciò non sorprende dal momento che i Guru Sikh non hanno mai sostenuto la rinuncia monastica. Un Sikh è incoraggiato a raggiungere l’illuminazione spirituale rimanendo nel mondo, sperimentando le gioie e le pene del lavoro e del matrimonio.

Il colore blu e la khirqa

Il colore blu, considerato infausto nelle tradizioni religiose indiane,8 gioca effettivamente un ruolo importante nelle tradizioni Khalsa9. Tra i Nihang Singh, in particolare, è considerato il colore per eccellenza, essendo il colore del cielo che rappresenta l’infinito e l’eternità senza tempo. Prima dell’emergere del Khalsa, la tunica blu era usata come indumento religioso dagli ordini Iraniani Sciiti-Sufi. A questo bisogna aggiungere il mantello Sufi o khirqa che risale al Profeta Muhammad (S) stesso e al suo mantello di lana bianca rattoppato. La Khirqa può essere tramandata da maestro a discepolo, mentre altri creano la propria raccogliendo pezzi di stoffa dagli abiti di altre persone sante. È un oggetto sacro che non è solo legato al Profeta (S), ma rappresenta anche la nozione di umiltà e di povertà spirituale.

Bhai Mardana

Occorre prestare molta attenzione all’importanza di Bhai Mardana nei dipinti che raffigurano Guru Nanak.  Questo fedele amico Musulmano e discepolo di Guru Nanak è l’unico collaboratore, a parte i Sikh Guru, che usa il titolo di Nanak nelle sue composizioni nell’Adi Guru Granth Sahib.  I suoi discendenti continuarono a suonare la musica sacra nell’Harimandir Sahib (Tempio d’Oro) fino al 1947, quando furono costretti a partire per il Pakistan dopo essere stati presi di mira dai riformisti islamofobi neo-Sikh, come ad esempio Giani Ditt Singh.  Bhai Mardana, il suonatore di rubab, ricorda costantemente che il gurbani non è solo un testo religioso, ma è anche musica sacra, e svolge un ruolo importante come promemoria dell’eredità islamica del Sikhismo. La parola mardana in Persiano significa virile e coraggioso ed è collegata all’ethos della cavalleria (javanmardi in Persiano).

Javanmardi

Javanmardi è l’ethos essenziale che caratterizza lo Sciismo e il Sufismo, ma ha le sue radici nell’antica tradizione Zoroastriana. Quest’antica eredità Persiana è rappresentata nella tradizione Islamica da Salman al-Farsi, il compagno Persiano del Profeta Muhammad (S), il quale rimase insieme ad Ammar ibn Yasir, uno dei pochi fedeli compagni dell’Imam Ali (a) a giocare un ruolo importante nella gnosi Sciita. Rappresenta, quindi, non solo la transizione tra le tradizioni Zoroastriana e Sciita-Sufi, ma anche l’evoluzione dall’aspetto zahir (essoterico) a quello batin (esoterico) della religione. Il primo aspetto è quello della shari’a, la religione della sottomissione, mentre il secondo è rappresentato dal javanmardi – la via dell’amore per l’aspetto rivelato della Divinità, l’Eterno Imam.

A questo bisogna aggiungere l’elemento importante che caratterizza l’ethos della cavalleria spirituale, vale a dire l’esilio. Il javanmard, il cavaliere spirituale interamente dedito al suo Signore, ha bisogno di essere sradicato ed esiliato per vivere il suo amore. Il vecchio sé deve morire affinché il javanmard emerga e inizi il suo viaggio di ritorno al suo Signore. La tradizione Sciita sottolinea che il vero Islam è una religione dell’esilio. Bhai Mardana (che ha scelto l’esilio seguendo Guru Nanak), dal suo stesso nome rappresenta la nozione Islamica di javanmardi e che, suonando il rubab, rappresenta l’aspetto esoterico della religione.

Conclusione

L’ayatollah Hosseini Nassab e Giani Gurbachan Singh

L’analisi di questo ritratto di Guru Nanak evidenzia non solo l’enorme importanza dell’eredità Sciita-Sufi nella tradizione Sikh, ma anche la sua continuità con la prima tradizione Sikh. Nascosta dal pregiudizio islamofobo di molti neo-Sikh, quest’eredità è tuttavia di tale importanza che ignorarla impedisce di avere una comprensione completa e corretta della prima tradizione Sikh. Ciò ha portato molti a ignorare l’importanza della cavalleria spirituale nella tradizione Sikh e crea la famosa immagine della comunità pacifica costretta a prendere le armi sotto Guru Gobind Singh.

Questo stereotipo basato sui paradigmi Occidentali della divisione tra il privato e il pubblico non tiene affatto conto di questa dimensione essenziale della tradizione Sikh che ha assunto forme diverse nel corso della sua storia. La presenza di Bhai Mardana con Guru Nanak supporta l’idea che l’amore mistico è fruttuoso solo se combinato con l’ethos del coraggio e con la volontà di andare in esilio lasciando morire il vecchio sé. Superare questa paura di perdere se stessi è il prerequisito dell’amore divino e di fatto di qualsiasi tipo di vero amore. La coppa di vino dell’amore Divino non è per chi è abituato al succo d’uva, perché l’amore non è per i codardi.

Note

1. Una versione Sikh della storia di Yusuf e Zulekha può essere trovata nella composizione di Guru Gobind Singh chiamata Charitropakhyan, una parte del suo Dasam Guru Granth Sahib. Una storia simile che coinvolge una donna sposata che cerca senza successo di sedurre Guru Gobind Singh si trova anche nella stessa composizione ed è strutturalmente il suo esatto parallelo. L’idea alla base di questo è che il Guru è il Yusuf dell’epoca.

2. Qalandar è un titolo dato ai mistici Sufi, specialmente nell’Asia Meridionale.

3. Fuqaha (plurale di faqih) è un esperto di fiqh, ovvero di giurisprudenza Islamica.

4. Una fazione Musulmana che ha eletto Abu Bakr (ra), uno stretto compagno del Profeta (S), a succedergli come califfo dopo la sua morte. È importante notare che sia gli Sciiti che i Sunniti (così come tutte le altre fazioni) concordano sul fatto che Muhammad (S) fosse il Profeta finale.

5. Shari’a significa “via” o “sentiero” ed è un sistema legale basato sui principi della giurisprudenza Musulmana; tariqa nel Sufismo si riferisce alla spiritualità pratica attraverso la quale l’aspirante cerca l’haqiqa, la verità ultima; ma’rifa è un termine usato dai Musulmani Sufi per descrivere la conoscenza mistica intuitiva.

6. Quest’incontro è considerato probabilmente di natura metastorica, in quanto il famoso santo Sciita Shaikh Bahlol visse alcuni secoli prima di Guru Nanak. Quest’incontro conferma ulteriormente i legami tra le tradizioni Sikh e Sciita. Nel santuario di Shaikh Bahlol a Baghdad una sezione è dedicata a Guru Nanak, in quanto è venerato dagli Sciiti che lo considerano un grande santo. 

7. All’inizio della sua missione, Guru Nanak, mentre faceva il bagno nel fiume Vein vicino a Sultanpur, scomparve per tre giorni durante i quali, secondo la tradizione, fu accolto presso la Corte Divina e incaricato della sua missione.  In segno di quest’autorità ha ricevuto il tilak. Tutti i Guru Sikh hanno ricevuto il tilak sulla fronte quando sono stati intronizzati.

8. Ai Bramini è solitamente vietato indossare il blu quando presiedono i rituali, e gli ordini monastici Indiani non lo usano mai. 

9. Khalsa che significa Puro è l’ordine cavalleresco creato dal decimo e ultimo maestro di Sikh, Guru Gobind Singh, nel 1699 d.C. I membri mostrano la loro fedeltà attraverso cinque segni (detti i cinque K): kangha (pettine), kara (braccialetto), kesh (capelli non tagliati coperti da un turbante e la barba), kirpan (spada corta) e kuccha (pantaloni corti, originariamente per equitazione). Sono anche sollecitati ad attaccare il nome Singh (leone) al loro nome e a condurre una vita spirituale cavalleresca.

Bibliografia

https://www.sikhnet.com/news/recognizing-12-forms-our-guru

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