L’Islamizzazione dello Yoga nelle traduzioni dell’Amritakunda

A cura di Carl W. Ernst. Carl W. Ernst è uno studioso di scienze Islamiche. È professore presso il Dipartimento di Studi Religiosi all’Università di Chapel Hill nella Carolina del Nord (USA)

1. LA TRASMISSIONE TESTUALE DELL’AMRITAKUNDA   2. ELEMENTI ISLAMICI NEL TESTO   3. ELEMENTI YOGICI NEL TESTO

Esiste un testo di pratica Yogica che fu trasmesso, studiato e compreso nei paesi Musulmani al di fuori del Subcontinente Indiano? La storia indica l’esistenza di un testo Sanscrito intitolato “Amritakunda“ o “La Vasca del Nettare“ che fu integralmente Islamizzato, e che sopravvive nelle traduzioni in lingua Araba, Persiana, Turca e Urdu (recentemente è stata ritrovata una versione in lingua Ebraica nello Yemen). In questo testo sono contenuti i temi Islamici del Corano, ed il vocabolario filosofico, terminologico e concettuale è tratto dal Sufismo. In breve, la storia di questa fonte singolare di pratica Yogica narra che ebbe un gran numero di lettori nel mondo Musulmano.

Una delle 21 miniature che illustrano le posizioni Yogiche 
nel “Bahr-ul-Hayat“(L’Oceano della Vita) dello Shaykh
Muhammad Ghawth Gwaliyari Ibn Muhammad Sarni 
Hosaini, Manoscritto in Persiano, Nord India, 1718, raro 
non catalogato presso la University of North Carolina at 
Chapel Hill 

1. LA TRASMISSIONE TESTUALE DELL’AMRITAKUNDA

L’Amritakunda o “La Vasca del Nettare”, è il nome di un testo Sanscrito o Hindi, il cui manoscritto originale è andato perduto. “La Vasca del Nettare” fu anche conosciuto col titolo di “Kamrubijaksa” o “Il seme delle sillabe di Kamarupa”. [vedi nota 1] Questo testo circolò inizialmente in una traduzione in lingua Persiana che rappresentò la sua prima piattaforma di lancio nel mondo Islamico. Fu tradotto successivamente in Arabo stando all’introduzione del libro scritto nel 1210 nella regione del Bengala col titolo di “Hawd ma’ al-hayat” (La Vasca dell’Acqua della Vita).

Bahr-ul-Hayat“(L’Oceano della Vita) è il titolo della traduzione Persiana dell’Amritakunda. Dopo l’istituzione di un governo Musulmano nel Bengala, Bhojar Brahman, uno Yogi (asceta) di Kamarupa venne a Lakhnauti, la capitale del Sultanato del Bengala, per fare la conoscenza della città e dei dotti Musulmani. Ruknu-d-din Samarqandi era il Qazi di Lakhnauti al tempo del Sultano Ali Mardan Khalji. Bhojar Brahman intrattenne una conversazione col Qazi e volle saperne di più sul Profeta (ص) dell’Islam e sui suoi insegnamenti. Lo Yogi Bhojar Brahman fu affascinato dai racconti del Qazi, abbracciò l’Islam e studiò le scienze Islamiche a tal punto che divenne autorizzato ad emettere decreti giuridici. In seguito, Bhojar Brahman presentò l’Amritakunda al Qazi, il quale ne restò affascinato a sua volta, ed iniziò la pratica della scienza dello Yoga fino al raggiungimento dello stadio della perfezione.

Il Qazi tradusse il testo Sanscrito dell’Amritakunda prima in Persiano, e poi dal Persiano all’Arabo. La versione Persiana la intitolò “Bahr-ul-Hayat “, e la versione Araba la denominò “Hawd ma’ al-hayat”. Entrambe le versioni sono state stampate e sono attualmente disponibili. Si tratta di un libretto di 10 capitoli e di 50 versi in poesia, in cui sono trattati aspetti della filosofia Yogica in relazione alla loro applicazione pratica. Percorsi e significati differenti sono stati suggeriti in questo libro. Anche la descrizione relativa all’esecuzione delle Asana (posture) non è trascurata. Il “Bahr-ul-Hayat” è un esempio abbagliante sulle interazioni culturali tra l’Induismo e l’Islam.

La prima fase del testo (forse risale agli inizi del tredicesimo secolo) è una probabile rappresentazione del “Kamrubijaksa” o “Il seme delle sillabe di Kamarupa”. Questo testo eclettico in lingua Persiana contenne la pratica del controllo del respiro, i riferimenti alla magia e alla divinazione, i riti al tempio delle Yogini in base ai principi della scuola tantrica Kaula e gli insegnamenti di Hatha Yoga secondo la tradizione Nath (popolarmente chiamata jogi). Tutti questi concetti furono contestualizzati ponendo in primo piano la supremazia della dea Kamakhya e riferendosi frequentemente al suo tempio principale in Assam (Kamarupa).

Questo testo fu adattato da un traduttore Arabo anonimo che era stato formato nella scuola filosofica Illuminativa (Ishraqi) dell’Iran, probabilmente nel quindicesimo secolo. Questo traduttore Arabo anonimo riscrisse completamente il testo in Persiano e v’incorporò nell’introduzione del libro due narrazioni simboliche: la prima dal cosiddetto “Inno della Perla” degli Atti di Tommaso; la seconda è una traduzione parziale di un trattato in lingua Persiana intitolato “Risala fi haqiqat al-ishq” (Messaggio sulla Realtà dell’Amore), originariamente scritto dal filosofo Illuminativista Shihab al-Din al-Suhrawardi il Martire (al-Maqtul).

La diffusione delle copie del manoscritto Arabo (“Hawd al-hayat”) dell’Amritakunda raggiunse tutti gli angoli del mondo Islamico. Almeno quarantacinque copie sono state trovate tra le biblioteche Europee e quelle dei Paesi Arabi, anche se la loro maggioranza era conservata ad Istanbul. Il contenuto del testo era così insolito che, forse per errore, la paternità era stata frequentemente attribuita al grande Sufi Andaluso Muhyi al-Din Ibn al-‘Arabi. Quest’attribuzione è sicuramente erronea. Il vocabolario del testo è formato soprattutto da termini tecnici Arabi presi in prestito dalla filosofia ellenistica con l’aggiunta di parole tratte dal lessico del Corano e del Sufismo. Il traduttore lavorò strenuamente per rendere le pratiche Yogiche filosoficamente comprensibili al lettore di lingua Araba. Inoltre, il testo “Hawd al-hayat” rappresentava solamente l’inizio del lancio dell’Amritakunda nel mondo Islamico. La recensione più antica della versione Araba non esiste più, e le due recensioni posteriori mostrano un’ulteriore Islamizzazione del testo.

La “Vasca dell’Acqua della Vita” (Hawd ma’ al-hayat) si differenzia dalle altre traduzioni Arabe e Persiane, poiché enfatizza le pratiche spirituali Indiane piuttosto che le dottrine. Sebbene al-Biruni (morto nel 1010) abbia tradotto lo “Yogasutra” di Patañjali in Arabo, si era concentrato eccessivamente su questioni filosofiche omettendo del tutto il tema Mantrico, e i suoi studi Indologici non furono letti ampiamente. La maggior parte dei testi Sanscriti tradotti in Persiano durante il periodo Mughal fu scelta per interessi politici e filosofici, mentre l’attrazione per la pratica spirituale era minima.

Il testo Arabo della “Vasca dell’Acqua della Vita” fu noto a molti mistici Musulmani Indiani che erano interessati agli esercizi respiratori e ai canti liturgici degli Yogi: infatti, avevano osservato notevoli somiglianze tra le loro pratiche meditative e le tecniche dello Yoga. Un maestro Chishti, lo Shaykh `Abd al-Quddus Gangohi (morto il 1537) familiarizzò con lo Yoga dei Nath e scrisse dei versi in Hindi su questo soggetto. Inoltre, insegnò la “Vasca dell’Acqua della Vita” ad un discepolo. Lo Shaykh Muhammad Ghawth Gwaliyari (morto il 1563), un maestro Sufi Indiano dell’ordine della Shattariyya, tradusse nuovamente la più antica versione Araba in Persiano col solito titolo di “Bahr-ul-Hayat” (L’Oceano della Vita).

Le confraternite Sufi Qadiriyya, Mewlewiyya e Sanusiyya del Sind, della Turchia e dell’Africa settentrionale continuarono a riferirsi alla “Vasca dell’Acqua della Vita” fino al diciannovesimo secolo. Il testo Arabo fu due volte tradotto in Turco Ottomano e la traduzione Persiana di Muhammad Ghawth fu resa in Dakhani Urdu. La versione Araba è ancora in uso oggi; uno Sceicco Sufi di Damasco, esperto delle opere di Ibn al-‘Arabi, lo considera un trattato importantissimo.

La “Vasca dell’Acqua” fu l’unica traduzione Araba conosciuta di un trattato di Hatha Yoga che mise in relazione lo Yoga al misticismo Islamico e alla pratica Sufi. Questo libro fu l’esempio concreto di come uno scrittore Musulmano potesse interpretare la serie completa delle pratiche spirituali Indiane. Da uno sguardo rapido del testo si evince che fu preparato per i lettori Musulmani: si apre con un’invocazione a Dio e al Profeta Muhammad (ص) ed è cosparso di termini e di frasi attinte dal vocabolario religioso Islamico. Il traduttore ha tentato di descrivere minuziosamente le pratiche che includevano i canti e i Mantra Sanscriti, le tecniche respiratorie, le posture per la meditazione, una particolare forma di meditazione Kundalini sui cakra dipinti, l’invocazione delle dee e di altre pratiche specifiche.  

Il testo non si preoccupa di favorire gli scambi interreligiosi tra l’Induismo e l’Islam. Il traduttore traccia un insieme di pratiche Yogiche e divinatorie provenienti da fonti svariate che non si trovano oggigiorno in nessun testo sopravvissuto di Hatha Yoga.  

Ciononostante, le traduzioni diverse della “Vasca dell’Acqua della Vita” sono unanimi nell’affermare che quest’opera è la più famosa e rispettata tra le Sacre Scritture dell’India, anche se non è più rintracciabile nella letteratura Indiana. Le motivazioni della sua scomparsa sono presumibilmente politiche. Anche il traduttore Arabo ed anonimo dell’opera celò la sua identità per motivi di sicurezza. All’epoca, circolavano dei rapporti in cui si sospettava che il ruolo giocato dallo Yogi convertito all’Islam, in realtà mascherasse che gli insegnamenti dello Yoga fossero contenuti nel Corano.

La prefazione della traduzione ha una struttura narrativa che poggia su materiali attinti dallo Gnosticismo Cristiano e dal Neoplatonismo Islamico: essa presenta un’interpretazione complessa del significato religioso e dello scopo della pratica Yogica che trascura le principali categorie della metafisica Indiana. Al contrario, il traduttore inserisce nel libro concetti provenienti dalle fonti Islamiche. Le differenti redazioni del testo Arabo e le traduzioni susseguenti in Persiano, Turco e Urdu, contengono delle interpretazioni diverse che trasformano i concetti filosofici presenti della cultura arabo-ellenistica in chiave Sufi. La “Vasca dell’Acqua della Vita” non descrive l’Induismo come un sistema religioso e autonomo situato oltre i confini dell’Islam; infatti, secondo lo Sceicco Muhammad al-Sanusi (morto nel 1859), gli Yogi fanno parte delle confraternite Sufi.

Il testo Persiano dell’Amritakunda, intitolato anche “Kamrubijaksa” (“Il seme delle sillabe di Kamarupa”), descrive pratiche respiratorie appartenenti alla letteratura Shakta: ad esempio, enumera le attività umane da intraprendere durante il respiro-sole ed il respiro-luna. Si apprende che un individuo dovrebbe avvicinarsi “al Qadi [Giudice islamico] o all’Amir [termine Arabo per Sovrano]” solamente per un giudizio o per un processo quando il respiro della narice destra è favorevole (la respirazione tantrica attraverso il pingala implica sforzo fisico, passione, forza e combattimento). Rapporti informali riferiscono di maghi Musulmani che compiono riti magici in un cimitero Musulmano o Indù, in una Moschea o in un Tempio spopolato, normalmente dopo la preghiera del tramonto. Di tanto in tanto, recitano alcuni versetti del Santo Corano, specialmente il versetto del Trono (Ayatu-l-Kursi). È riferito che un Musulmano del Broach (un distretto situato nella parte meridionale dello stato Indiano del Gujarat) invocò con successo la partecipazione di una dea Yogini (una delle otto dee femmina create per prestare assistenza alla dea Durga) ai riti insieme ai suoi devoti (talvolta le Yogini sono forme-figure di questa divinità capace di subire decine di milioni di trasformazioni).

L’invocazione alla dea è inserita complessivamente in una cornice Islamica. L’invocazione è rivolta ad Allah e l’encomio al suo Profeta (ص):

“Preghiamo e adoriamo che Allah arrechi migliaia di arti e di meraviglie dalla segretezza dell’inesistenza al cortile dell’esistenza, Egli adornò la corte sublime di corpi luminosi, Egli fece le dimore degli Esseri spirituali, Egli dispose la manifestazione del mondo sublunare con una varietà di piante e minerali, Egli fece la residenza ed il soggiorno degli animali, Egli scelse fra tutti gli animali l’umanità, creandola nella migliore forma al grido: “Invero creammo l’uomo nella forma migliore” (Corano, 95 : 4), “Sia benedetto Allah, il Migliore dei creatori!” (Corano, 23 : 14). Molte benedizioni e saluti innumerevoli siano sulla Guida [cioè, il Profeta Muhammad (ص)] pura e santa del mondo, il migliore tra i figli di Adamo, le benedizioni e la pace di Dio siano su di Lui e su tutti Loro.”

Alla fine è citato un hadith del Profeta (ص) ed alcune allusioni mistiche forniscono il quadro religioso adatto per le pratiche magiche (55a).

In pratica, si può affermare che per il lettore medio Persiano, l’Amritakunda rientra nella categoria delle scienze occulte, e la sua origine Indiana serve solamente a migliorarne il fascino esoterico. Il testo impiega termini Arabi classici sia per l’astrologia magica (tanjim), sia per la convocazione degli spiriti (ihdar) (30b, 37b) e per il soggiogamento (taskhir) dei demoni, delle fate e dei maghi (55a). Islamizzato, l’Amritakunda diventa familiare al Musulmano anche quando sono invocati gli spiriti delle dee Yogini dell’India. I canti liturgici o i Mantra degli Yogi funzionano come incantesimi, “afsun”, un termine Iraniano dal significato magico (51a). Sono riconoscibili anche le tecniche magiche dell’astragalomanzia abbinate a quelle vudù (il termine vudù significa spirito protettore) (51b). Un altro metodo utilizza un pettine ottenuto dalla mano destra di un cane arrabbiato ucciso con un ferro all’interno di un’area adibita alla cremazione (48b-49a).

2. ELEMENTI ISLAMICI NEL TESTO

La “Vasca del Nettare” contiene numerose formule Arabe e molti riferimenti che lo relazionano al modello religioso Islamico (vedere carta 5).

Ci sono sei citazioni chiarissime tratte dal Corano nella prima e ancora esistente recensione Araba, a cui ne sono aggiunte altre due nella più recente revisione. Un hadith (detto) del Profeta Muhammad () è citato ed un altro vi è implicitamente riferito. I termini attinti dal vocabolario della pratica religiosa, particolarmente quelli che si riferiscono ai nomi di Dio e alla preghiera, sono notevoli. Il testo è, inoltre, ornato di borchie con frasi pie e benedizioni, che abbelliscono oltre la metà dei capitoli. Termini cosmologici che si riferiscono al Corano appaiono con una frequenza straordinaria.

Esistono almeno una dozzina di punti in cui specifici concetti e termini Sufi sono citati. Il traduttore cercò intenzionalmente d’Islamizzare il testo rendendolo familiare al lettore Musulmano. Tre capitoli (I, III, e X) non contengono nessun concetto di spiritualità Indiana. Se riuniamo le citazioni filosofiche Islamizzate presenti nella prefazione (vedere sotto), risulta che un terzo della versione Araba della “Vasca dell’Acqua della Vita” consiste di aggiunte fatte al testo Indiano. 

Il processo di Islamizzazione fu complessivo. La prima versione ancora esistente del testo Arabo (manoscritto famiglia a) rappresenta sola la tappa iniziale di questo processo che fu velocizzato nella versione successiva (manoscritto famiglia b). Non soltanto la famiglia b aggiunge nuovi passaggi e temi Islamici, ma strappa, tronca e deforma molte citazioni Indiane. I nomi Indiani dei pianeti sono stati alterati o omessi nelle recensioni Arabe, sebbene siano stati conservati perfettamente nelle traduzioni Persiane, forse perché agli scrivani Indo-Persiani erano familiari i termini Hindi (vedere carta 3).

La recensione posteriore (famiglia b) omette del tutto le seguenti identificazioni:

1)      Brahma e Vishnu con Abramo e Mosé (Int.3);

2)      il termine Yogico alakh e la sua traduzione in Allah (IV.4),

3)      i tre Yogi identificati con le figure esoteriche Islamiche (V.4)

4)      la descrizione della suzione uretrale [vedi nota 2] (VI.5)

5)      la maggior parte della descrizione sulla settima Yogini (IX.9).

I manoscritti della famiglia b aggiungono ulteriori materiali testuali estranei e includono dei versi in Arabo già inseriti all’inizio della prefazione. Un trattato sul cuore secondo la psicologia dei Sufi è inserito in appendice al capitolo X. L’Islamizzazione del testo procedette anche a livello visuale. La traduzione Araba include quattordici diagrammi per la visualizzazione meditativa, e nove di essi sono messi in rapporto ai cakra. I paragoni tra i manoscritti indicano un sottile, ma inconfondibile processo di regole grammaticali, mentre i diagrammi girano sempre più attorno alle lettere Arabe o alle raffigurazioni cabalistiche comuni alle opere Arabe d’occultismo.

L’inserimento di materiali Islamici nelle traduzioni della “Vasca dell’Acqua della Vita” fu accompagnata da un’altra tecnica: ai nomi e ai temi Indiani furono trovati degli equivalenti Islamici. (vedere carta 4)

Il termine Sanscrito alakh, “l’incondizionato,” fu tradotto in Allah, sia per la sua somiglianza sonora e seducente, sia per l’aspetto quasi identico che assunse nella scrittura Araba. Brahma e Vishnu furono tradotti in Abramo e Mosé, e i tre leggendari Yogi furono associati a dei Profeti dell’Islam. Quest’ultima identificazione è stata fatta per il conseguimento completo del controllo del respiro:

“Quando avrai raggiunto questa stazione, esamina attentamente e giudiziosamente tre cose: 1) che l’embrione respiri mentre si trova nella placenta, anche se l’utero della madre non respiri; 2) che il pesce respiri nell’acqua senza che l’acqua entri nel pesce; 3) che l’albero attiri l’acqua nelle sue vene e ne permetta la crescita. L’embrione è lo Sceicco Gorakh che è Khidr (la pace sia su di Lui), il pesce è lo Sceicco Minanath [Matsyendranath] che è Giona (la pace sia su di Lui), ed il terzo è lo Sceicco Chaurangi che è Elia (la pace sia su di Lui), questi sono coloro che hanno raggiunto l’acqua della vita. (V.4).”

Molti termini tecnici sono dati in Sanscrito e in Arabo: homa o “sacrificio” è tradotto “du`a o invocazione”, “japa” o “preghiera contata” diventa `azima o “formula incantatoria”, e il termine chiave Yogi (nel nord India jogi) sta per murtad o “asceta.” Brahman, il termine che indica la casta sacerdotale dei bramini, è tradotto in `alim o “studioso.” Ma com’è stato notato sopra, molte di queste equivalenze sono sfumate nelle recensioni successive del testo Arabo. Lo sforzo di tradurre nomi Indiani in termini Islamici è stato abbandonato nelle recensioni successive o nelle citazioni del testo; infatti, la parola Sanscrita che identifica alakh con Allah assume un’apparenza radicalmente differente. A metà del diciannovesimo secolo, un trattato Sufi dello Sceicco Nord Africano Muhammad al-Sanusi incluse una sezione di pratica Yogica (al-jujiyya) proprio come fece il ramo Ghawthiyya della confraternita Sufi Shattariyya.

Muhammad al-Sanusi s’ispirò chiaramente agli scritti di Muhammad Ghawth e al testo Arabo della “Vasca del Nettare” ed il passaggio relativo ai termini alakh-Allah appare così rimaneggiato:

“Se qualcuno desidera testimoniare al mondo ignoto, deve incrociare gli occhi sul naso ed immaginare nel cuore la parola Allah, Allah, senza muovere la lingua. Se si raggiunge il livello della perfezione in questa pratica, nessuna magia ed alcun veleno potrà influenzarlo, la malattia non lo toccherà, i mondi nascosti gli saranno svelati, la sua preghiera sarà esaudita e sarà famoso fra gli uomini per la sua pietà.” In questo passaggio non vi è più alcuna espressione “Indiana” e la pratica è identica al modello tecnico Sufi.

Formazioni filosofiche

È evidente che la versione Araba della “Vasca del Nettare” fu composta da un filosofo Iraniano familiarizzato al vocabolario della scuola Illuminativa (Ishraqi). La prova più evidente al riguardo è fornita dalla versione Araba ampliata (Int.9-12) che comprende anche altri testi, tra cui il “Trattato sulla realtà dell’amore” “Risala fi haqiqat al-ishq” ed il testo gnostico “L’Inno della Perla” (Atti di Tommaso) del mistico Persiano Shihab al-Din al-Suhrawardi. Si ritrova anche una definizione caratteristica della psicologia Avicenniana-Illuminativista, ossia “la disciplina degli stati dell’anima razionale consapevole e distintiva” (Int.14), o più semplicemente, “il controllo dell’anima razionale” (IV.1). La collocazione significativa che questa locuzione occupa nella prefazione chiarisce il ruolo essenziale degli insegnamenti Yogici del testo.

Si ha per effetto una prolessi che assimila la psicofisiologia dello Yoga sulla base delle categorie psicologiche di Aristotele e di Avicenna, anche se quest’assimilazione non è effettuata nel testo. Più esattamente, nella prefazione del testo è enumerata la lista Greco-Araba riguardante i cinque sensi interni, i cinque sensi esterni, le sette facoltà vegetali e le due facoltà motorie animali, che sarebbero familiari alle opere tarde di Aristotele in lingua Araba. Allo stesso tempo, il resoconto suggerisce una struttura complessiva capace di interpretare le pratiche Yogiche come mezzo per scoprire il vero sé attraverso una disciplina del corpo e della mente. Non esiste nessuna indicazione simile di antropologia filosofica in altri trattati di lingua Sanscrita connessi alla tradizione Yogica.

Oltre a questi riferimenti evidenti alla filosofia della scuola Illuminativa, la versione Araba nell’insieme si richiama ad un vocabolario filosofico Arabo più diffuso, condiviso e riconosciuto da più scuole. I termini filosofici contenuti nel trattato hanno innanzi tutto un significato cosmologico, ed includono le informazioni sui quattro umori (caldo, freddo, umido, asciutto) (VI.2-3, X.2), sulla moderazione (al-amr al-awsat) (IV.1, VIII.1), sui contrari (diddan) (III.4, V.2, X.2), sull’anima razionale (al-nafs al-natiqa) (I.3, V.2, VI.2, X.4), sull’intelletto universale (`aql al-kull) (I.2, I.3) e sul creatore (al-bari) (I.2, I.3).

Intellettuali Arabi di formazione scientifica avrebbero riconosciuto nella “Vasca del Nettare” alcuni riferimenti espliciti ai luoghi comuni contenuti nell’enciclopedia del decimo secolo conosciuta come “Le Epistole dei Fratelli della Purezza”. Il tema della corrispondenza tra il corpo umano considerato un microcosmo e il macrocosmo, è stato ben sviluppato dal pensiero Greco del primo periodo. Questa dottrina è descritta dai “Fratelli della Purezza” nella loro enciclopedia, la quale ha forti propensioni al Pitagorismo. Dal primo capitolo della “Vasca del Nettare” (I.2), possiamo raccogliere le seguenti corrispondenze tra il microcosmo e il macrocosmo:

Corrispondenze tra il microcosmo e il macrocosmo

1. narici, occhi, orecchi, e bocca                                                                                           :  sette pianeti
2. sensi                                                                                                                                            : stelle
3. testa                                                                                                                                            :  cielo
4. corpo (juththa)                                                                                                                             : terra
5. ossa                                                                                                                                     : montagne 
6. nervi                                                                                                                                          : oceani
7. vene                                                                                                                                             : fiumi
8. capelli                                                                                                                             : alberi (ashjar)
9. pelle, sangue, carne, legamenti, muscolo, osso, e cervello                                                    : sette regioni
10. risveglio                                                                                                                                    : giorno
11. sonno                                                                                                                                        :  notte
12. felicità                                                                                                                                 : primavera
13. tristezza                                                                                                                                  : inverno
14. fame                                                                                                                                         : estate
15. sazietà                                                                                                                                   : autunno
16. pianto                                                                                                                                      : acqua
17. riso                                                                                                                                          : lampo
18. cuore                                                                                                                                        : trono
19. cervello                                                                                                                        : volta del cielo
20. anima                                                                                                                   : intelletto universale
21. intelletto                                                                                                                               : creatore

A questa lista vanno aggiunte le informazioni presenti in alcuni manoscritti della famiglia b:

22. arterie                                                                                                                                  : sorgenti
23. arti principali                                                                                                                      : montagne
24. cervello                                                                                                                                 : miniera
25. membra, arti                                                                                                                          : animali

Il suddetto elenco può essere comparato ad una serie simile di equivalenze tra il microcosmo e il macrocosmo ritrovata nelle “Epistole dei Fratelli della Purezza” (i termini simili o ripetuti sono segnati in grassetto col numero di riferimento relativo alla lista del primo capitolo della Vasca del Nettare sopra riportato):

corpo (jasad)                                                                                                          :terra (variante di n. 4)
ossa                                                                                                                  montagne (variante n. 5)
cervello                                                                                                          miniera (variante di n. 24)
pancia                                                                                                                   : oceano (parziale; n. 6)
intestini                                                                                                                      : fiumi (parziale; n. 7)
vene                                                                                                                     : ruscelli (parziale; n. 7)
carne                                                                                                                                           : polvere
capelli                                                                                                    piante (nabat) (variante di n. 8)
da capo a piedi                                                                                                                              : civiltà
schiena                                                                                                                                        : deserto
fronte                                                                                                                                                 : est
schiena                                                                                                                                           : ovest
destra                                                                                                                                             : sud           
sinistra                                                                                                                                            : nord
respiro                                                                                                                                            : erbe
discorso                                                                                                                                          : tuono
strilli                                                                                                                                               : fulmini
riso                                                                                                                   : lampo (variante di n. 17)
pianto                                                                                                             : pioggia (variante di n. 16)
miseria e dolore                                                                                                                   : scuro di notte
sonno                                                                                                                                              : morte
risveglio                                                                                                                                             : vita
infanzia                                                                                                          : primavera (parziale; n. 12)
gioventù                                                                                                               : estate (parziale; n. 14)
maturità                                                                                                             : autunno (parziale; n. 15)
vecchiaia                                                                                                            : inverno (parziale; n. 13)

La lista dei “Fratelli della Purezza” riporta ancora una dozzina di equivalenze tra la condizione umana e i movimenti planetari, con una particolare attinenza all’astrologia. La serie delle venticinque corrispondenze tra il microcosmo ed il macrocosmo nella “Vasca del Nettare” è presentata, in primo luogo, nel contesto di un insegnamento Yogico Soli-Lunare (I.1) associato alla respirazione alternata tra la narice destra e la sinistra. Com’è mostrato dai termini in grassetto riportati sopra, sei di queste corrispondenze sono tratte dai “Fratelli della Purezza”, e in altre sette corrispondenze, uno solo dei termini è presente nella lista dei “Fratelli della Purezza”.

Le informazioni dal punto 18 al 21 contengono termini derivanti dal modello cosmologico Islamico. I manoscritti appartenenti alla famiglia b aggiungono quattro ulteriori informazioni estrapolate dalla lista dei “Fratelli della Purezza”, le quali procedono ad un’Islamizzazione maggiore del testo. La traduzione Persiana di Muhammad Ghawth (che si differenzia ampiamente dal testo Arabo su questo punto) contiene altre quattro equivalenze prese dalla lista dei “Fratelli della Purezza” che sono assenti da qualsiasi manoscritto Arabo della “Vasca del Nettare”, ma che probabilmente riflette la recensione Araba del primo periodo, da cui deriva la sua traduzione Persiana.

Questo passaggio è seguito da una riflessione sul microcosmo e sul macrocosmo secondo il linguaggio della filosofia Islamica, del Corano e degli hadith (detti profetici). Le speculazioni sul microcosmo e sul macrocosmo hanno giocato certamente un ruolo importante nel pensiero Indiano, e si ritrovano frequentemente negli scritti Yogici, ma il materiale contenuto in questa versione Araba (I.2-3) non sembra avere nessun rapporto con le fonti Indiane. Nei testi Indiani, si rinvengono normalmente corrispondenze specifiche tra le singole parti del corpo umano ed i vari mondi o i luoghi geografici…

È improbabile che il traduttore della “Vasca del Nettare” si sia ispirato ad una fonte diversa dallo Yoga, sostituendo la dottrina Indiana con quella Araba per rendere gli insegnamenti Yogici più comprensibili. Questo non è l’unico punto nel trattato dove i “Fratelli della Purezza” sono chiamati in causa. Un altro argomento descritto nella “Vasca del Nettare” (VI.2) riguarda la predizione del sesso a seconda la posizione che l’embrione assume nell’utero; questo passo sembra ispirarsi alle scritture dei “Fratelli della Purezza”.

3. ELEMENTI YOGICI NEL TESTO

La versione Araba della “Vasca del Nettare” contiene una varietà di pratiche. Alcune non sono tipicamente Indiane o Yogiche, ma si trovano estesamente anche in altre tradizioni. È il caso della raccomandazione del digiuno (IV.3), della dieta vegetariana (V.3) e dell’astinenza sessuale (VI.3, VII.11). Altre pratiche sono chiaramente di Hatha Yoga (vedere carta 7).

Il testo assegna un’importanza considerevole alla descrizione del controllo del respiro Soli-Lunare attraverso la narice sinistra e destra (I, II) che non si riferisce, tuttavia, al modello cosmologico Indiano.

Le opere Indiane posteriori come le “Yoga Upanishad”, utilizzano come unità di tempo per il conteggio della durata delle respirazioni il Matra [letteralmente unità di misura. Secondo i testi tradizionali, in particolare la “Gheranda-samhita” si distinguono tre livelli di Pranayama: inferiore (adhama) in cui le tre fasi dell’atto respiratorio – inspirazione, ritenzione ed espirazione – durano rispettivamente 14, 48 e 24 unità di tempo (matra = 4 secondi circa); medio (madhyan) con una durata di 16, 64, 32 matra; superiore (uttama) con una durata di 20, 80, 40 matra].

Al contrario, la “Vasca del Nettare” conta le respirazioni con le dita nei due passaggi utilizzando un metodo di misurazione spaziale e non temporale. Il primo passaggio elenca cinque respirazioni che associa ai cinque elementi e ne descrive l’orientamento direzionale di quattro di esse:

“I soffi sono cinque: igneo, acquoso, arioso, terroso e paradisiaco. L’igneo sale verso l’alto, l’arioso si diffonde fuori, l’acquoso discende per l’ampiezza di quattro dita, il terroso discende per l’estensione di otto dita” (II.2).

Sebbene il numero cinque appartenga alla pratica medica e Yogica Indiana, alcune respirazioni hanno un movimento ascendente, altre discendente. È arduo intravedere in quest’elenco delle somiglianze alle tradizioni Indiane sulla respirazione. L’associazione tra i soffi e gli elementi non si trova nei testi Indiani classici, sembrerebbe che il traduttore abbia aggiunto un tocco di Aristotelismo. Il secondo passaggio espone minuziosamente gli effetti dell’esalazione e dell’inalazione raccomandando l’allungamento del secondo per il prolungamento della vita:

“Vedrai che esso [il respiro] sale durante l’esalazione per circa dodici dita potentemente, e durante l’inalazione discende per circa quattro dita. Decresce ad ogni respiro potentemente di otto dita. Così guarda come decresce ogni giorno. Quello è il calo della vita di ognuno. È appropriato che inverti quest’andamento gentilmente, compassionevolmente e gradualmente. Ovvero, dovresti inalare potentemente e esalare gentilmente e mitemente nel punto in cui inali le dodici dita ed esali le quattro” (V.3).

Nella traduzione Persiana di Muhammad Ghawth, questo passaggio è letto: “Dodici dita di respiro entrano, allora otto dita ritornano, quattro dita di vento freddo (sarsar) e quattro di freddo (sard).

. . . Quando si va a piedi, il respiro di dodici dita entra, e due caldi e due freddi ritornano. Sforzandosi, correndo o durante l’esercizio sessuale, ventiquattro dita escono, e quattro ritornano a posto.”

Stranamente, le misure spaziali sono andate smarrite dalla spiegazione sul respiro della più antica traduzione Persiana, cioè dalle porzioni del “Kamrubijaksa” conservate nell’enciclopedia dello sciita Haydar Amuli risalente al quattordicesimo secolo. In nessun caso, l’idea base è il controllo della quantità di respiro allo scopo di massimizzare l’inalazione per conseguire l’allungamento della vita. Esistono rari riferimenti alle dita come unità di misura spaziale per il controllo del respiro nelle “Yoga Upanishad”, ma essi non si riferiscono alla tecnica per l’allungamento della vita menzionata nella “Vasca del Nettare”.

Tecniche fisiologiche citate nel testo includono la purificazione del corpo tramite le posture dello Yoga, le Asana (IV.4-8). Il testo Arabo riconosce il tradizionale numero di 84 posture [vedi nota 3], ma ne descrive solo cinque (la traduzione Persiana di Muhammad Ghawth basandosi sulla prima versione Araba descrive ventun posture). Esistono delle difficoltà ad identificare le Asana dei testi classici di Hatha Yoga, ma dalle descrizioni possiamo riconoscere il Virasana (la postura dell’eroe), il Kukkutasana (la postura del gallo) e l’Uttana Kurmasana (la postura della tartaruga sollevata) tra queste cinque. Il testo Arabo enfatizza la salute fisica e psichica derivante dall’esercizio di queste pose.

È indicativo che il termine Yogico “alakh” sia ripetuto in ogni posizione; si rinforza così il sodalizio con i Nath, detti anche Kanphata-Yogi, presso i quali l’uso del vocabolo è caratteristico. Fra le tecniche fisiologiche sembra esserci una variante del “khecari mudra”: essa si sofferma sulla fissazione della punta del naso e sul sorso del “nettare” di saliva (II.5, II.7).

Diversamente dall’Hatha Yoga classico, questa tecnica enfatizza l’attraversamento o l’incrocio degli occhi (vividamente illustrata in alcuni manoscritti) come l’elemento principale per la ritenzione dello sperma durante l’amplesso, mentre il deglutimento del nettare funge per la cura delle infiammazioni e del mal di testa. Un’altra tecnica Yogica che ricorre nel testo è una variante del Vajroli Mudra, cioè la suzione uretrale o, più prosaicamente, la tecnica della fontana penica (VI.5). Curiosamente, la discussione sulla ritenzione dello sperma è inserita in un lungo capitolo sulla procreazione e l’embriologia secondo i principi medici di Galeno, il quale proferì il seguente proverbio filosofico: “Omne animal triste post coitum (ogni animale è triste dopo il coito)” (VI.4).

La visualizzazione è un’altra caratteristica importante della “Vasca del Nettare”, particolarmente nel lungo capitolo VII sull’immaginazione magica (wahm), in cui è ritenuta un termine generico per i poteri magici e mentali. La normale dissertazione Islamica dà a wahm il significato peggiorativo di “illusione” o “pregiudizio,” e wahm ha anche dei significati tecnici vari nella filosofia Aristotelica tra cui “facoltà estimativa” (Lat. aestimatio, Gk. sunesis, phronesis) e “immaginazione compositiva” (Gk. phantasia logistike). Ma wahm nel senso di “immaginazione magica”, sembra essere in corrispondenza con alcuni non espliciti termini Indiani, come ad esempio Dharana o Kalpana.

Nel “Seme delle sillabe di Kamarupa” è definita “la conoscenza dei respiri” (16a), e nell’introduzione del traduttore “l’immaginazione magica” è anche collegata al sostantivo “disciplina” (riyadat), una traduzione classica Araba-Persiana di Yoga (vedi sotto). Io sono disponibile ad ascoltare altre interpretazioni di questo termine. In ogni caso, questa pratica visualizza in sequenza le sette posizioni corrispondenti ai cakra tradizionali dello Yoga, dall’ano alla corona della testa. Ogni cakra è mostrato con un colore e un diagramma, ma al posto di essere collegato agli dei Indù e alle lettere dell’alfabeto devanagari, i cakra sono rapportati ai pianeti. Mentre qualche Bija-Mantra contiene dei fonemi riconoscibili dagli Indologi, altri sono recuperabili, indubbiamente a causa delle difficoltà di preservare i canti liturgici nella scrittura Araba (vedere carta 3)

La demitologizzazione (la non-accettazione del carattere esplicativo del mito, costituisce una condizione della veracità del mito che è l’emergenza del suo senso simbolico) dei cakra e del loro collocamento planetario, ha l’effetto di confrontare la meditazione del cakra ed il movimento diretto e sottinteso della Kundalini verso l’alto all’ascensione dell’anima attraverso le sfere planetarie, un tema di capitale importanza nelle tradizioni Islamiche, Iraniche ed Ebraiche.

I sette Mantra Sanscriti o canto liturgici vengono associati ai sette cakra o ai centri nervosi vitali, i quali sono tutti audacemente definiti “le traduzioni delle invocazioni Arabe dei nomi di Dio”. La sillaba Sanscrita Hum è tradotta “Oh Signore” (Ya Rabb), e Aum è tradotto “Oh Eterno” (Ya Qadim). Nell’introdurre questi sette grandi Mantra, il traduttore Arabo osserva che “sono come i più grandi nomi [di Dio] apparsi in mezzo a noi.” Muhammad Ghawth si spinse ancora più in là fornendo per ogni Mantra Sanscrito due attributi Arabi: traduce Hum come “Ya Rabb, Ya Hafiz” (Oh Signore, Oh Protettore) e Aum come “Ya Qahir, Ya Qadir” (Oh Soggiogatore, Oh Onnipotente). In uno studio sulle tecniche respiratorie che non appaiono nella versione Araba, Muhammad Ghawth trova i significati equipollenti al Mantra conosciuto come Hamsa, o Hansa, o So Hum, o So Ham (Egli sono Io) che è pronunciato durante le due fasi di esalazione e di inalazione. L’esalazione è concepita come “un’espressione per il Signore spirituale (Rabb Ruhi)”, mentre l’inalazione rappresenta “il Signore dei Signori” (Rabb al-Arbab). Ci sarebbero molti altri esempi di questo genere.

Semanticamente, questi concetti tradotti sono i funzionali equivalenti tra i termini potenti dello Yoga e i nomi di Dio usati dai Sufi; ciò è evidente soprattutto nel caso dei sette grandi Mantra, per questa ragione gli equivalenti Arabi sono presentati nella forma vocativa utilizzata durante le ripetizioni Sufi dei Nomi di Dio. Il capitolo IX della “Vasca del Nettare” amplifica il tema delle meditazioni sui cakra già trattato al capitolo VII, e fornisce delle istruzioni precise per chiamare in causa le sette divinità femminili o “Esseri spirituali” (in Arabo Ruhaniyyat), che sono evidentemente le Yogini principali (ci sono in totale 64 di queste entità). Queste sette Yogini sono comunemente chiamate le Dee Madri nei circoli Yogici. In questo testo, in ogni caso, vengono assimilate ai sette pianeti, come al capitolo VII.

Sembra che questa struttura planetaria, sia un tentativo deliberato del traduttore di comparare le dee Indiane agli spiriti celesti delle ben note pratiche di occultismo Medio-Orientale. La frase “il soggiogamento degli spiriti” (taskhir al-arwah) nel titolo del capitolo IX è un’espressione Araba per indicare questo tipo di occultismo. Le Yogini sono invocate con dell’incenso e dei mandala. Le istruzioni suggeriscono all’invocatore di comportarsi come se fosse un figlio o un fratello delle dee per l’ottenimento di abbondanti favori. Lunghi Mantra in lingua Sanscrita indirizzati a questi Esseri devono essere ripetuti migliaia di volte (vedere carta 6).

L’adorazione delle divinità femminili note come Yogini sembra aver raggiunto il suo apice in India tra il 9no e il 12mo secolo, ma continuò diffusamente fino al 18mo secolo. Vidya Dehejia ha descritto a lungo il ritrovamento di un tempio all’aperto in cui queste divinità erano onorate. Mentre la descrizione delle Yogini nella “Vasca del Nettare” è breve, “Il seme delle sillabe di Kamarupa” le descrive ampiamente e le considera la chiave per la conoscenza di tutte le cose. All’inizio della sezione sulla respirazione si parla del potere delle 64 Yogini:

“Per ordine di Dio, il Grande ed il Maestoso, che un giorno ci concesse questa scienza, noi non parleremo di questa scienza. Per Dio, il cui comando si estende ai 18.000 mondi, questo è un giuramento, questa è la scienza dell’immaginazione magica, qualunque cosa avvenga sulla terra e nel cielo è posseduta dai figli di Adamo. Noi riveliamo ogni cosa, tutto quello che accade nel mondo è conosciuto e reso manifesto colla scienza dell’immaginazione”. (16a)

Ed ancora raccontano,

“Per ordine di Dio l’Altissimo, grazie all’insegnamento imperioso che ci hanno dato, tra la Luna ed il Sole si può sapere qualunque cosa accada nel mondo. Noi insegniamo una scienza che ci permette di sapere chi viene, da dove viene e che cosa vuole. Inoltre, questa scienza allunga la vita e rende l’uomo quasi immortale”. (17a)

Il potere delle Yogini rende il veleno innocuo, cura l’ammalato, rimuove il desiderio e permette di controllare tutte le persone e le cose del mondo. Questi “Esseri spirituali” sono invulnerabili alla spada e al fuoco, i loro capelli e le loro unghie non possono essere tagliati, parlano a distanza e si spostano in un istante (23b). Ognuna delle 64 Yogini ha un posto particolare in India. Esse si recano in luoghi divertenti a festeggiare, vestite di oro e gioielli. Indossano corone e ghirlande. Sono riverite dai Deva. Non morirebbero anche se diventassero anziane, e si ammaleranno solo prima del Giorno del giudizio. Hanno l’aspetto di una ventenne. (30b-31a).

Questi esseri sono i più adorati nell’Induismo ed i devoti gli dedicano degli idoli. “Proprio come noi rispettiamo i Profeti e i Santi; così gli Indù hanno riposto la fede in loro” (31a). Molti dei loro nomi sono noti, anche se la scrittura Persiana lascia molte ambiguità: Tutla, Karkala, Tara, Chalab, Kamak, Kalika, Diba, Darbu (31b), Antarakati (44b, 46b), Chitraki (56a), Ganga Mati (45a), Sri Manohar (45a), Katiri (30a), Parvati (49b), Suramati (44b), Susandari (44b), Talu (30a). Vidya Dehejia ha indicato che le due liste di nomi delle Yogini sono le stesse. Qualche volta gli adepti possono avere delle relazioni sessuali con le Yogini (39a), ma in altri momenti le considerano come delle sorelle e delle madri (46b). “Lei è la Yogini e tu sei lo Yogi” (48a). I benefici derivanti dalla loro compagnia includono denaro (44b) e cibo (48b).

Il testo descrive chiaramente le pratiche religiose Indiane relative al tempio della dea Kamakhya (stato dell’Assam) e delle Yogini in modo originale. I bramini sono citati nel “Seme delle sillabe di Kamarupa” e nella sua interpretazione, ma solo come fonte occasionale d’informazioni. Si tratta di un modello testuale circoscritto, ma su cosa si basa? Nei termini delle categorie che sono oggi disponibili, potremmo probabilmente affermare che questo testo riflette le pratiche cultuali del tempio delle Yogini associate al tantrismo Kaula. Abbiamo anche qualche connessione con i Nath o i Kanphata Yogi; infatti, Matsyendranath è solitamente considerato l’introduttore del culto delle Yogini tra i Kaula, e il nome di Gorakhnath è invocato una volta (51a) nel testo. Al di là delle indicazioni generali, noi troviamo molti passaggi che lo collegano alla tradizione Indù casualmente.

Questo testo assume un sistema di nove cakra, contrariamente ai sette cakra comuni alla maggior parte delle scritture Yoga dei Nath (19b, 20a, 25a). Degli esercizi di concentrazione e di meditazione sono dati per elevare la Shakti dall’ombelico lungo la colonna spinale (17b, 18a, 28a). Si trova anche un elenco sui poteri supernormali (Siddhi) (54a). Mantra occasionali contengono la frase “Krishna avatar” (48b, 53a). Una parte tratta del tempio di Mahakala situato a Ujjain (antica città della regione del Madhya Pradesh e sede del festival religioso Indù del Kumbh Mela) in cui vivono numerosi Siddha o maghi (24b, 37a). La storia del tempio di Mahadev dove il Signore Shiva bevve il veleno che emerse durante il frullamento dell’oceano di latte permettendo la produzione del nettare dell’immortalità è narrata lungamente (31b-32b).

Mentre lunghi resoconti sono forniti sul tempio della dea Kamakhya, nulla è detto sui sacrifici animali compiuti in quel luogo oggi. L’insegnamento fondamentale del “Seme delle sillabe di Kamarupa”, si basa sull’utilizzo del respiro per la divinazione e per la convocazione delle Yogini al fine di ottenere i doni richiesti; la meditazione dell’Hatha Yoga è sicuramente collegata a queste pratiche. 

La rappresentazione delle pratiche Yogiche nel “Seme delle sillabe di Kamarupa” fu molto selettiva, dirlo è il minimo. Quindi, non è sorprendente, se questi testi sono il risultato del contatto avventizio di uno o due studiosi musulmani intraprendenti con un insegnamento esoterico Indiano variegato. Queste pratiche insolite non sono attestate altrove, come ad esempio, la visualizzazione combinata di tutti e sette i cakra in un unico diagramma (VII.14, VIII.5). Tra i benefici apportati dalle pratiche citate nella “Vasca del Nettare” vi sono i poteri Yogici (Siddhi), e l’assunzione di una forma animale o di un altro corpo umano, sia vivo che morto (parakaya-pravesa) (VII.12-15).

È praticata anche la predizione del tempo della morte con la meditazione visuale, una pratica comune ai primi circoli tantrici e magici (kriya tantra) che precedettero l’Hatha Yoga (VIII.1-5). Ci sono anche pratiche sessuali respiratorie derivate dagli antichi testi Indiani di divinazione e magia. (II.4). Esistono due relazioni differenti ed abbastanza incompatibili sulla respirazione da adottare (cinque respirazioni in II.2; tre respirazioni in V.3).

La versione Araba della “Vasca del Nettare” ha del resto un’inattestata selezione di cinque Asana (posture), mentre la traduzione Persiana di Muhammad Ghawth n’è provvista di ventuno, i cui nomi non coincidono con qualsiasi opera conosciuta di Hatha Yoga. È difficile identificare i Bija-Mantra sia al capitolo VII, sia quelli del più lungo Mantra del capitolo IX; il problema si pone in parte nella difficoltà di rappresentare il Sanscrito (specialmente le vocali brevi) nella scrittura Araba. In nessun caso, nonostante le rivendicazioni dei traduttori riguardo all’autorità scritturale dei loro testi, la rappresentazione delle pratiche Yogiche che essi fornirono fu arbitraria e selettiva; anzi, essa fu profondamente contestualizzata ed interpretata da un forte insieme di convenzioni Islamiche.

Ermeneutica e traduzione

Qual è la funzione di una traduzione come la “Vasca del Nettare?” La familiarizzazione del testo in ambito Islamico si ebbe grazie alla conversione di alcuni Yogi all’Islam. Le due cornici storiche dell’opera [vedi nota 4] fanno appello ad un particolare approccio interpretativo collegato al mito gnostico dell’anima e all’allegoria Illuminativa dei sensi e delle facoltà psichiche. Il meccanismo di traduzione è applicato irregolarmente in tutto il testo. Qualche volta i termini e i simboli Islamici sono messi inconsapevolmente nel testo come descrizioni adeguate degli originali Indiani. Il risultato è che molti dei termini e dei simboli originali Indiani possono essere recuperati solamente colle risorse dell’Indologia moderna.

La tendenza Islamizzante è più evidente nella fase posteriore di produzione del manoscritto; in questo stadio, la recensione Araba più comune fa a meno della maggior parte degli elementi Indiani del testo. Gli originali Sanscriti sono anche omessi quando le tecniche vengono presentate per apparire nuove al lettore Arabo, particolarmente nelle sezioni relative alla salmodia, alla visualizzazione e alle posture. Durante la fase intermedia della traduzione, i nomi ed i termini Indiani sono trascritti accanto alle loro traduzioni Islamiche. C’è ancora una parte che rimane intraducibile, particolarmente i Mantra Sanscriti che sono tramandati nella scrittura Araba. In breve, la “Vasca del Nettare” rivela delle tendenze contraddittorie nella sua traduzione, che non saranno mai pienamente risolte.

Svolgendo il proprio compito, il traduttore Arabo, benché non fosse limitato da costrizioni sociali e religiose, sembra essersi accorto che la terminologia tecnica non era familiare al gran pubblico. Uno sguardo ai nomi e ai termini Indiani che sono riportati nel testo insieme alle traduzioni Arabe (vedere carta 5),

mostra che la maggior parte delle traduzioni che si riferiscono a Dio ed ai Profeti sono accettate senza esitazione. È necessario ripetere che alcuni dei termini Indiani sono recuperabili solo facendo ricorso alle fonti dell’Indologia moderna. Giacché la quasi totalità dei manoscritti è disseminata al di fuori del Subcontinente Indiano (solo uno su quarantacinque è stato trovato in India), è difficile credere che il lettore Arabo fosse stato in grado di riconoscere se il testo contenesse dei termini Sanscriti.

Negli altri casi, il traduttore sentì che era inutile conservare i termini originali Indiani al posto d’altri vocaboli importanti. “Mantra” è quasi certamente il termine che è posto sotto alla parola dhikr Araba o “ricordo.” Il Mantra rinvia ai sette potenti “termini” o “nomi” del capitolo VII, che consistono nelle sillabe-seme come Aum. La traduzione probabile dell’originale Indiano “Yantra” è Shakl o “diagramma.” Fatto curioso, la parola “Yoga” è menzionata in modo implicito solamente una volta nel testo: è il titolo sulle posture Yogiche al capitolo IV nella forma Araba “Riyada” (esercizio, disciplina), vocabolo che deriva dalla stessa radice Araba (murtad) usata per designare generalmente uno “Yogi.”

Il termine Indiano che ha un maggior peso teologico è probabilmente Yogini, “la dea Madre”; nel testo è sottinteso e si rapporta ad Esseri semi-divini, piuttosto che ad umani. Il traduttore le designa “Ruhaniyya” o “Esseri spirituali,” ma dietro questa facciata sembrano celarsi le dee del politeismo. Inoltre, è utile riflettere sul fatto che i primi Traduttori Arabi di filosofi Greci come Plotino, usarono lo stesso termine Ruhaniyya per tradurre il vocabolo Greco theos o “dio.”

Jan Assmann ha suggerito che lo stesso modello di traduzione dell’età ellenistica fu adottato per le traduzioni Islamiche dei testi Indiani. La completa ed autocosciente traduzione dei nomi delle divinità da una cultura all’altra fu una caratteristica comune a tutte le società antiche del vicino oriente. Il caso più noto fu la traduzione fatta da Erodoto delle divinità Egizie: Amun divenne Zeus, Ra divenne Elio, ecc… Infatti, nelle circostanze in cui la traduzione da un pantheon all’altro è facile, asserisce Assmann, la conversione non è un problema. 

Finché c’è la possibilità di tradurre, non c’è nessun bisogno di convertire. Se tutte le religioni adorano fondamentalmente gli stessi dei, non esiste la necessità di abbandonare una religione per adottarne un’altra. Questa possibilità avviene solo se una religione rivendica la conoscenza di una verità superiore. È precisamente questa pretesa che esclude la traducibilità. Se una religione è sbagliata e l’altra è giusta, non c’è motivo di tradurre gli dei dell’una in quelli dell’altra. Ovviamente, si tratta a questo proposito di dei differenti.

È solo quando uno insiste sull’intraducibilità di figure religiose chiave che “il cosmoteistico (Tutto è Uno, il creato è Dio) collegamento tra Dio e il mondo, e tra il Dio e gli dei, è categoricamente spezzato.” Perciò, i punti di vista Ebraico e Cristiano circa l’impareggiabilità di Dio preclusero l’identificazione con le intercambiabili divinità “pagane” del mondo Ellenistico. Proseguendo su un’idea proposta da G. W. Bowersock, Assmann sostenne che la sapienza Ellenica fu un veicolo attraverso cui molte delle culture non Greche espressero fortemente la propria distintività. Dalla prospettiva Ebraica o Cristiana, le differenze tra le varie religioni Ellenistiche furono minime ed insignificanti. L’Ellenismo, avendo un sistema dominante d’equivalenze, creò una coscienza cosmopolita in un mondo pagano discretamente unificato.

Alcuni parallelismi presenti nella cultura Ellenica descritta da Assman, si riprodussero nelle società Islamiche in cui la “Vasca del Nettare” fu letto. Come per l’età Ellenistica, la cultura Araba del nobile Califfato e della cultura Persianizzata dell’età di mezzo della storia Islamica, fu caratterizzata dalla creazione d’enormi strutture ecumeniche imperiali, nelle quali qualsiasi minoranza potesse esprimersi nella lingua ufficiale. Le etnie non Arabe Musulmane, pur spiegandosi in Arabo si coalizzarono nel movimento della Shu’ubiyya [vedi nota 5], mentre i non Musulmani fecero uso del Persiano per i loro assunti religiosi e storici.

Nelle società Islamiche, l’autorità legale della religione fu in continua tensione con la tendenza generalizzata sulle origini Ellenistiche della tradizione filosofica. Di conseguenza, ci furono sempre aspetti rilevanti dell’universo Islamico che non erano esclusivamente Musulmani; questa è la ragione del termine “Islamicate” inventato da Marshall Hodgson. Effettivamente, dalla prospettiva dei più autorevoli esponenti della filosofia (ad esempio Ibn Sina), tutte le religioni (incluso l’Islam) furono delle speciali varianti delle verità universali della filosofia, in altre parole un bene di consumo di massa. I principi concettuali dell’Islam minimalista attuale sono identificati dai mass media con l’autoritarismo, col legalismo e coll’iconoclastia violenta.

I Musulmani intransigenti e Tertulliani si sarebbero indubbiamente inorriditi dai contenuti della “Vasca del Nettare”, ed avrebbero respinto categoricamente la salmodia dei Mantra Sanscriti rivolti alle divinità femminili. Il Neoplatonismo raffinato dei Musulmani Illuminativisti (al pari del Platonismo Cristiano di Marsilio Ficino durante il Rinascimento Italiano) permise la traduzione e l’assimilazione di temi “pagani”, di divinità Indiane e di pratiche Yogiche-Tantriche, senza accentuare la percezione di una diversità sostanziale. Comunque, il testo fa qualche concessione all’autorità religiosa del clero Islamico, assicura che gli Yogi si convertiranno all’Islam e riconosceranno l’autorità della legge Islamica.

In un certo senso, il destino della “Vasca del Nettare” somiglia a quello delle importanti opere che Robert E. Buswell ha chiamato i testi apocrifi del Buddismo Cinese. Queste opere, seppur furono composte in Cina, vennero presentate come la traduzione di un importante corpus di scritture Buddiste Indiane. “Tali testi, talvolta, si accompagnavano ad un’esperienza rivelatoria; in realtà, si trattava di un espediente letterario intenzionale che mirava a farli accettare come canonici.” Il Buddismo fu esibito abilmente in un linguaggio intelligibile e familiare al lettore Cinese, creando scritture nuove ed inconsuete. L’analogia colla “Vasca del Nettare” non è esatta; infatti, quest’opera poggiava su una base testuale atta alla traduzione nonostante che l’insegnamento esoterico originario fosse stato orale e riservato. Il traduttore Arabo volle indubbiamente legittimare l’autorità canonica del testo Islamizzandone la struttura.

Una parte del suo lavoro consistette a familiarizzarlo coi lettori. La sua traduzione cominciò con la frase seguente: “Adesso c’è in India un libro rispettato, conosciuto dai sapienti religiosi (‘ulama’) e dai filosofi (hukama’), denominato Amritakunda, che è la “Vasca dell’Acqua della Vita” (Int.2).” Il compito primario era di attrarre l’attenzione sulle credenziali del libro.

I testi apocrifi del Buddismo Cinese, qualche volta, impiegarono un’altra tecnica presente nella “Vasca del Nettare”: si trattava di ridurre il divario esistente tra il Buddismo ed il pensiero Cinese affermando che Lao Tzu e Confucio erano le teofanie dei Buddha e dei bodhisattva [vedi nota 6]. Si tratta precisamente dell’equivalenza ermeneutica adottata dal traduttore della “Vasca del Nettare” quando annuncia allo Yogi che Brahma e Vishnu sono Abramo e Mosé, o quando identifica gli Yogi principali ai Profeti dell’Islam. In ogni caso, questo tipo d’approccio permette alla cultura dominante (Cinese o Islamica) di integrare l’insegnamento Indiano.

Una strategia simile di traduzione è rintracciabile nei commenti lasciati dal più antico traduttore Persiano nell’imparentato testo del “Seme delle sillabe di Kamarupa”:

«In India vidi molti libri con informazioni complete su ogni scienza. La maggior parte dei loro libri sono in versi. Memorizzano meglio i versi perché la loro natura vi è più incline. Trovai un libro intitolato “Kamrubijaksa” (Il Seme delle sillabe di Kamarupa). È uno dei loro libri preferiti. Hanno una gran fede in esso e contiene due tipi di scienza. 

Una è la scienza dell’immaginazione magica (wahm) e della disciplina (riyadat). Non hanno alcuna scienza più grande e più potente di questa. In base a questa scienza affermano cose che l’intelletto non accetta, ma loro credono in essa e fra di loro è abituale. Per ognuna di queste cose allegano e mostrano migliaia di prove e dimostrazioni. Circa questa scienza, si è dato un sommario, affermano.

L’altra scienza è chiamata s[v]aroda [cioè, divinazione]. I loro saggi studiosi osservano il respiro: se il respiro è rilassato, compiono delle osservazioni; ma se il respiro è faticoso, lo evitano strenuamente.

Hanno raggiunto la perfezione in questo dominio. La gente comune in India non sa niente a questo riguardo, ma non è privata di questo segreto, né ne sa qualcosa di particolare. Chiamano questa scienza della [lettura] del pensiero (in Arabo damir)» (fols. 2a-2b).

Al pari della versione Araba della “Vasca del Nettare”, siamo qui confrontati con un libro potente che è dichiarato essere della più alta autorità in India, sebbene sia segreto e conosciuto da pochi. Il traduttore Persiano ritorna frequentemente sui due temi principali che conferiscono all’opera la sua autorità scritturale ed il suo carattere esoterico ed ignoto.

In un passo scrive:

“Questo libro è conosciuto in tutta l’India e fra gli Indù nessun libro è più nobile di questo. Chiunque impara questo libro e ne conosce l’interpretazione, è considerato un grande studioso ed un uomo saggio. Chiunque sia occupato con la teoria e la pratica di questo libro viene servito, è chiamato Yogi ed è rispettato grandemente. È servito proprio come noi rispettiamo i Santi, i maestri e gli educatori” (15b).

Il traduttore parla di informazioni raccolte da informatori bramini riguardanti sia la pratica del più “grande nome” di Dio (40b), sia l’invocazione della dea Lakshmi per le relazioni sessuali (43b). Inoltre, testimonia di aver sperimentato queste tecniche con successo. In molte occasioni il traduttore cita un altro testo simile che era in circolazione all’epoca, denominato “I trentadue versi di Kamak Dev”: si tratterebbe di una composizione poetica in distici rimati Hindi Doha (Doha è un genere di poesia della lingua Hindi e Urdu), i cui versi sono trascritti in caratteri Persiani (26b, 27a, 29a). Il traduttore sottolinea la sua difficoltà di traduzione: “Lo tradussi dalla lingua Indiana al Persiano faticosamente.

Poi lo consegnai ad un gruppo di bramini e di studiosi che lo confrontarono, lo corressero e lo spiegarono. (16a).” Nonostante l’avvertimento del collegio dei saggi sull’uso della terminologia letteraria Araba, in altre occasioni il traduttore confessa che il materiale di cui si occupa è più che oscuro. Dopo aver traslitterato un lungo passaggio di lingua Hindi in caratteri Arabi dichiara: “Presentai questi versi ad un gruppo di studiosi Indiani, bramini e Yogi, ma non seppero spiegarlo, né comprendere le sue parole strane e difficili” (27a). Perciò, non è chiaro se si tratti di un singolo testo o di una selezione di versi proveniente da una fonte orale trascritta. 

Un caso analogo riguardante l’autorità scritturale di una traduzione accadde durante il sesto secolo d.C. al medico Persiano Burzoy, il quale viaggiò in India alla ricerca di piante meravigliose in grado di dare la vita al morto. Apprese dai saggi Indiani che il mito della pianta miracolosa era un’allegoria per la saggezza. Ritornò in Persia con una forte inclinazione ascetica e con un’avversione verso il dogma religioso. Portò con lui una selezione di brani scelti della letteratura Indiana (Pañcatantra, Hitopadesa) che tradusse nel Medio Persiano. Questo libro fu tradotto successivamente in Arabo da Ibn al-Muqaffa` col titolo di “Kalila e Dimna”, e divenne uno dei più grandi e popolari racconti prima dell’invenzione della stampa. È sorprendente osservare che la versione Araba consideri il trasferimento di saggezza dall’India al mondo Arabo come una benedizione divina e fonte di gran beneficio: “La causa della trasmissione di questa letteratura dall’India al Re di Persia fu ispirata da Dio l’Altissimo che orientò spiritualmente Cosroe Anuscirvan [il Re di Persia].” E ancora: “Riguardo al suo desiderio di conoscenza e di devozione, venne a conoscenza di uno dei più rari libri di filosofia Indiana, il quale è estremamente apprezzato dai loro Re e studiosi. Questo libro fu alla radice di tutta la loro cultura e alla testa di tutta la loro conoscenza, fu la guida di ogni guadagno e la chiave di salvezza per la vita futura.” Questo sapere arricchì il linguaggio religioso. Il continuo riferimento ai filosofi e ai saggi dell’India divenne un modello letterario conosciutissimo nella letteratura Islamica (incluso il resoconto di Burzoy nel “Libro dei Re” di Firdawsi). Il popolare “Kalila e Dimna” fu tradotto molte volte in Persiano e in altre lingue. Si tratta dello stesso linguaggio e dello stesso percorso geografico seguito dal traduttore Arabo della “Vasca del Nettare” nel momento in cui annunciò che “nella terra dell’India c’è un libro rispettato e conosciuto dai sapienti religiosi (`ulama’) e dai filosofi.” La fama di “Kalila e Dimna” in Arabo avrebbe fatto riecheggiare il tema del misterioso libro Indiano.

Facendo scorrere lo sguardo sulle molte e differenti traduzioni dell’Amritakunda, si coglie un particolare effetto estetico, caratterizzato da sensazioni di cancellatura e riscrittura. Questa forte impressione riconsegna l’effetto del “palinsesto” delle sue più antiche versioni e la tabella dei suoi sopravvenuti e posteriori cambiamenti; trasmette tutto il suo processo di ripulitura e riscritturazione. Questa consapevolezza non fu accessibile ai lettori delle differenti traduzioni del testo, è un lusso che solamente oggi possiamo permetterci grazie agli strumenti accademici della ricerca retrospettiva. L’Islamizzazione del manoscritto è la conseguenza più ragguardevole della sua trasmissione; ciò è maggiormente evidente nelle versioni più tarde.

Le prime teorie Orientaliste sulle origini Indiane del Sufismo non hanno mai trovato un sostegno documentario, anche se questa mancanza storica ha turbato i suoi più accessi sostenitori. Questo documento unico sull’Hatha Yoga, nelle sue molteplici traduzioni, è stato il trampolino di lancio delle pratiche Indiane nel mondo Musulmano, ma la sua popolarità è dipesa sia dall’aggiunta di termini o di brani Islamici, sia dall’attribuirne l’autorità ad uno dei più grandi teorici del Sufismo, Ibn al-`Arabi.

Benché la presenza di qualche elemento Indiano sia rimasto nel testo, ad esempio, il Mantra Sanscrito al Capitolo IX, queste componenti furono assimilate alla categoria dei nomi divini non-Arabi o identificate come occulti talismani Ebraici, Siriaci o Caldei. Così quando i dervisci Mewlewi trascrissero cento anni fa la versione del testo in Turco Ottomano, lo considerarono un interessante libro Sufi dalle applicazioni misteriose; ma non avevano la minima idea di salmodiare dei Mantra Sanscriti rivolti a dee Indù, anche se alterati ad arte. L’Islamizzazione del testo dell’Amritakunda fu così profondo che solo degli studiosi stranieri motivati avrebbero potuto Indianizzarlo nuovamente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Le note sono state aggiunte dal traduttore:

Nota 1: la parola “Kamarupa” deriva da termini appartenenti al linguaggio della macrofamiglia Austrica come Kamru o Kamrut, si tratta del nome di una divinità insignificante nella lingua Santali e significa “terra magica e astronomica”. Secondo BK Kakati, il termine indica il culto adorativo della dea madre Kamakhya. Suppone che la parola Kamakhya provenga dalle lingue Austriche come Kamoi (demone) dell’antico Khmer, Kamoit (diavolo) nella lingua Cham, Kamet (cadavere) in Khasi, Kamin (tomba) o Komouch (cadavere) nella lingua Santali.

Secondo un’altra spiegazione Kamakhya è la forma Sanscritizzata di Kamakhs o Kamalakhi, una divinità femminile delle tribù Mongoloidi dell’antico Assam. Una tradizione popolare sulle origini di Kamarupa è riportata nel Gopatha Brahmana, il quale racconta la storia della rinascita di Kamadeva nella terra di Kamarupa dopo essere stato distrutto dallo sguardo ardente del dio Shiva. Il Kalika Purana, associa l’origine della parola Kamakhya agli organi genitali della dea Sati che cadano all’interno della terra di Kamarupa.

Nota 2: si tratta del Vajroli Mudra. In termini tecnici, Vajroli Mudra è una suzione uretrale o, più prosaicamente, la tecnica della fontana penica, con cui il praticante maschio, dopo aver eiaculato nella sua compagna, la Yogini, riassorbe il proprio sperma, ora catalizzato grazie alla commistione con la di lei essenza sessuale o sangue uterino, e portato indietro nel proprio corpo. Così facendo, assorbe in sé, assieme al proprio seme raffinato, una certa quantità di quell’essenza femminile che può in seguito servire a catalizzare il processo Yogico di risveglio di kundalini, con cui il suo seme viene trasmutato in nettare. 

Nota 3: Il numero 84 è puramente indicativo. Le 28 lettere dell’alfabeto Arabo sono moltiplicate per tre. Infatti, ogni lettera Araba ha tre forme: una iniziale, una mediana e una finale. Queste forme sono rappresentazioni simboliche delle Asana. Se vengono aggiunte le lettere isolate e le lettere mancanti dell’alfabeto Persiano, Urdu e Turco Ottomano, il numero delle Asana è superiore. 

Nota 4: le due cornici storiche si riferiscono, probabilmente, al processo anteriore e posteriore di Islamizzazione del testo, identificate dalla famiglia a e b dei manoscritti. 

Nota 5: La Shu`ubiyya fu la risposta data dai non Arabi Musulmani allo status privilegiato degli Arabi Musulmani. “O uomini, in verità noi vi abbiamo… fatto di nazioni (shu’ub) varie.” (Corano 49:13). Al tempo degli Abbasidi, Shu`ubiyya, indicava coloro che mettevano in discussione la supremazia degli Arabi nelle terre dell’Islam. 

Nota 6: il bodhisattva è un essere vivente che ha intrapreso il cammino per l’illuminazione ma sceglie di dedicarsi ad aiutare tutti gli altri esseri senzienti a raggiungere l’illuminazione.

Bibliografia:

  1. Carl W. Ernst, The Islamization of Yoga in the Amritakunda Translations, Journal of the Royal Asiatic Society, Series 3, 13:2, (2003), pp 1-23.
  2. Sirajul Islam (Chief Editor), Banglapedia: National Encyclopedia of Bangladesh, 10 Vols., (2003)
/ 5
Grazie per aver votato!