L’ATTENZIONE RIVOLTA ALLE DEE YOGINI NEI TESTI PERSIANI E ARABI

L’ATTENZIONE RIVOLTA ALLE DEE YOGINI NEI TESTI PERSIANI E ARABI

In Performing Ecstasy: The Poetics and Politics of Religion in India,

  1. Pallabi Chakrovorty e Scott Kugle (forthcoming).

a cura di Carl W. Ernst

Università del Nord Carolina – Chapel Hill

Quando il viaggiatore Italiano Pietro della Valle si fermò nella città dell’India occidentale di Cambay nel 1624, ebbe l’occasione di visitare un tempio fuori città che era il ritrovo di numerosi Yogi. Rimase affascinato da queste pratiche particolari, da quel momento le cercò ininterrottamente fuori dell’India occidentale e meridionale. Dopo averle descritte dettagliatamente nelle sue memorie, aggiunse una lunga relazione sulle loro pratiche:

“compiono gli esercizi spirituali e d’apprendimento secondo i loro costumi (li riunii in un libro che tradussi in Persiano e lo intitolai Damerdbigiaska, un repertorio raro). Gli esercizi intellettuali e d’apprendimento consistono nell’arte della divinazione, nei segreti delle erbe e in altre cose naturali, nella magia e negli incantesimi; ad essi si dedicano molto vantandosi di destare gran meraviglia. Io includo qui i loro esercizi spirituali, perché secondo il libro suddetto, pensano che da questi esercizi, preghiere, digiuni e varie superstizioni giungano le Rivelazioni; in realtà, si accordano col Diavolo, che appare e li inganna in forme diverse, preavvertendoli di qualche evento futuro. In verità, talvolta hanno rapporti carnali con lui, non credendo, o almeno non professando, che si tratti del Demonio; pensano che siano degli esseri Immortali, Spirituali, delle Invisibili Donne, il cui numero ammonta fino a quaranta [sic]. Esse sono conosciute e distinguibili in varie forme, nomi e comportamenti, sono venerate come Divinità e adorate in molti luoghi con dei rituali strani… E le Scienze dei Gioghi [Jogi o Yogi] ed i loro esercizi spirituali, specialmente quelli dall’atteggiamento curioso, più superstizioso che comune, di predire con la pratica respiratoria, hanno permesso di compiere moltissime e sottili osservazioni, dalle quali ho tratto delle prove autentiche, e anche più di esse, che riporto nel Libro citato sopra, il quale sarà una rarità in Italia, e, se converrà, un giorno soddisferò il curioso facendone una traduzione.”[1]

La relazione di “della Valle” riguardante i testi Persiani di Yoga e contenente le tecniche respiratorie per invocare le divinità femminili e per la divinazione, è di una curiosità impressionante. Quale tradizione Yogica Indiana incarnerebbe questo libro? In quali circostanze scrisse in Persiano questi libri di Yoga tecnico che includono le invocazioni rivolte agli spiriti femminili? Come potrebbe un traduttore preparare il lettore Persiano a questo tipo di soggetto? Quale disciplina Islamica avrebbe potuto meglio presentare lo Yoga e le Divinità femminili?

“Della Valle” fu fluente in Turco, Arabo e Persiano; cosicché il suo piano di tradurre il lavoro dal Persiano all’Italiano avrebbe prodotto il primo studio europeo di un’interpretazione di Yoga Islamico. È straordinario che, nonostante la sua critica teologica agli Yogi, si rese conto che la divinazione e le pratiche respiratorie da loro eseguite fossero efficaci. Sotto quest’aspetto, la sua ambivalenza rivaleggia con quella di molti studenti Musulmani di Yoga. Sfortunatamente “della Valle” sembra non avere adempiuto a questo progetto di traduzione, perché si limitò solamente ad una breve corrispondenza della sua raccolta di manoscritti Orientali con altri studiosi Europei.[2] Il testo Persiano appena descritto fu tra i codici che portò in Italia; l’elenco dei suoi manoscritti orientali fu gentilmente donato al Vaticano nel 1718 dal successore di “della Valle”, Rinaldo de Bufalo, che descrisse questo testo come “un libro magico, tradotto dall’Indiano al Persiano.”[3] Questo lavoro è ancora conservato nella biblioteca del Vaticano.[4]

Qual è l’origine del testo di “della Valle”? Il titolo che gli dette, sembra completamente alterato.[5] Ciononostante, è possibile ricostruire il titolo di questo manoscritto, facendo il paragone tra le sei occorrenze del titolo con la descrizione di un’altra copia conservata ad Islamabad: il titolo originale deve esser stato Kamru bijaksa, o “Il seme delle sillabe di Kamarupa”.[6] Ciò che sorprende è che la copia di “della Valle” sembra copiata per uso personale nel giugno del 1622, due anni prima del suo arrivo in India. Questa copia fu trascritta nella città di Lar, centro abitato esteso della Persia meridionale, in cui “della Valle” soggiornò per alcuni mesi intavolando dei dibattiti scientifici e teologici con gli studiosi Sciiti Persiani.[7] In altre parole, questo trattato Persiano di respirazione Yogica e di tecniche divinatorie, circolava liberamente nei circoli intellettuali dell’Iran. Della Valle ne apprese qui l’esistenza, e ne acquistò una copia per sé. Si preparò così all’incontro con gli Yogi già prima del suo arrivo in India.

In base a queste conoscenze, è più che allettante collegare questo trattato al testo Yogico largamente conosciuto nei circoli Islamici col titolo di Amritakunda o “La Vasca del Nettare”, un testo di Hatha Yoga, il cui manoscritto originale in Sanscrito è andato perduto, ma che fu tradotto due volte in Persiano, in Turco Ottomano e in Urdu da una versione Araba.[8] “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” circolava apertamente in Iran prima della traduzione della “Vasca del Nettare”; infatti, quest’ultima è citata nell’enciclopedia Persiana del quattordicesimo secolo (il Nafa’is al-funun di Amuli).[9] Le pratiche descritte nel libro di “della Valle”, in particolar modo la divinazione effettuata col controllo del respiro come pure le quaranta e rotte divinità femminili (un impreciso ricordo delle sessantaquattro Yogini), coincidono significativamente al contenuto dei capitoli II e IX della “Vasca del Nettare”. Un esame del manoscritto Persiano di “della Valle” sorregge alcune di queste supposizioni. Il testo contiene una descrizione delle sessantaquattro maghe (e non le quaranta rievocate nelle sue memorie) corrispondenti al culto delle sessantaquattro Yogini; la loro guida è chiamata Kamak Dev, in lei riconosciamo Kamakhya (in Sanscrito Kamaksa) Devi, la feroce dea Tantrica dell’Assam, citata da Muhammad Ghawth Gwaliyari come fonte d’insegnamenti tantrici nella sua traduzione Persiana della “Vasca del Nettare”. Altre somiglianze includono frequenti riferimenti all’acqua della vita (8b, 18b, 19a, 20b, 23a, 28a), ai rituali dell’oblazione (homa) e alla recitazione dei mantra (japa) (37b, 38a, 41b), all’uso dei mandala (38a, 40b), alla visualizzazione dei diagrammi associati ai cakra, al respiro soli-lunare (10b), alle cinque respirazioni per ogni elemento (11a) e all’invocazione delle Yogini, alcune delle quali hanno dei nomi uguali a quelli trovati nella “Vasca del Nettare”. La principale differenza è che “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” fornisce un numero d’esempi almeno dieci volte superiore, divenendo simile ad un gran ricettario per occultisti.

Un collegamento esplicito con “La Vasca del Nettare” è suggerito da una parziale, anche se non titolata versione del “Seme delle sillabe di Kamarupa”, trovata in un singolo manoscritto.[10] Questa copia contiene soltanto del materiale sulla divinazione compiuta col respiro e corrisponde al II capitolo del testo Arabo della “Vasca del Nettare”; inoltre, è quasi conforme ad una sezione del manoscritto di “della Valle” (11a-14a). Differisce per essere ulteriormente suddivisa in sei sezioni: 1) incantesimi, 2) domande e risposte, 3) risultati delle buone predizioni, 4) segni della morte, 5) amore ed odio 6) respiro e posture. La prima linea del manoscritto comincia con la seguente frase: “Questa è una copia della versione Indiana (hindawi) del “Bahr-ul-Hayat“ (L’Oceano della Vita) e fu presentata in Persiano. Nella lingua Indiana la chiamano Ahrat [cioè, l’Amritakunda).” Questo commento suggerisce che il curatore di questa versione riconobbe “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” rigorosamente connesso all’Oceano della Vita, essendo il titolo della traduzione Persiana della “La Vasca del Nettare” di Muhammad Ghawth. Mentre è indubbia la solidità storica sulla relazione esistente tra le differenti traduzioni Persiane, “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” è una probabile descrizione d’alcune tradizioni divinatorie e Yogiche trovate nella “Vasca del Nettare”, ma presentate qui in maniera molto elaborata.

In ogni modo, non conosciamo l’origine del “Seme delle sillabe di Kamarupa”. Il titolo suggerisce un epicentro delle sillabe seme, le unità fondamentali del mantra, le quali giocano un ruolo così importante nelle tradizioni Yogiche e Tantriche. L’allusione a Kamarupa, nel titolo, rafforza il suo collegamento con l’origine mitica della conoscenza esoterica, associata alla regione dell’Assam. L’autore fornisce delle minime informazioni sul testo, tranne un ritornello costante della sua smisurata importanza.

Così dichiara il traduttore del libro: “In India vidi molti trattati completi su ogni scienza. La maggior parte dei loro libri sono in versi. Memorizzano meglio i versi perché la loro natura vi è più incline. Trovai un libro intitolato “Kamrubijaksa” (Il Seme delle sillabe di Kamarupa). È uno dei loro libri preferiti. Hanno una gran fede in esso e contiene due tipi di scienza. Una è la scienza dell’immaginazione magica (wahm) e della disciplina (riyadat). Non hanno alcuna scienza più grande e più potente di questa. Stando a questa scienza, affermano cose che l’intelletto non accetta; ma loro credono in essa, e fra di loro è abituale. Per ognuna di queste cose allegano e mostrano migliaia di prove e dimostrazioni. Circa questa scienza, si è dato un sommario, affermano.

L’altra scienza è chiamata s[v]aroda [vale a dire, divinazione]. I loro saggi studiosi osservano il respiro: se la respirazione è rilassata, compiono delle osservazioni; ma se il respiro è faticoso, lo evitano strenuamente.

Hanno raggiunto la perfezione in questo dominio. La gente comune in India non sa niente di ciò, ma non è privata di questo segreto, né ne sa qualcosa di particolare. Chiamano questa scienza della [lettura] del pensiero (in Arabo damir)» (fols. 2a-2b)..

Al pari della versione Araba della “Vasca del Nettare”, siamo qui confrontati con un libro potente che è dichiarato essere della più alta autorità in India, sebbene sia segreto e conosciuto da pochi. Il traduttore Persiano ritorna frequentemente sui due temi principali che conferiscono all’opera la sua autorità scritturale ed un carattere esoterico ed ignoto.

In un passo scrive:

“Questo libro è conosciuto in tutta l’India e fra gli Indù nessun libro è più nobile di questo. Chiunque impara questo libro e ne conosce l’interpretazione, è considerato un grande studioso ed un uomo saggio. Chiunque sia occupato con la teoria e la pratica di questo libro viene servito, è chiamato Yogi ed è rispettato grandemente. È servito proprio come noi rispettiamo i Santi, i maestri e gli educatori” (15b).

Il traduttore parla d’informazioni raccolte da informatori bramini riguardanti sia la pratica del più “grande nome” di Dio (40b), sia l’invocazione della dea Lakshmi per le relazioni sessuali (43b). Inoltre, testimonia d’aver sperimentato queste tecniche con successo. In molte occasioni il traduttore cita un altro testo simile che era in circolazione all’epoca, denominato “I trentadue versi di Kamak Dev”: si tratterebbe di una composizione poetica in distici rimati Hindi Doha (Doha è un genere di poesia della lingua Hindi e Urdu), i cui versi sono trascritti in caratteri Persiani (26b, 27a, 29a). [11]

Il traduttore sottolinea la sua difficoltà di traduzione: “Lo tradussi dalla lingua Indiana al Persiano faticosamente. Poi lo consegnai ad un gruppo di bramini e di studiosi che lo confrontarono, lo corressero e lo spiegarono. (16a).” Nonostante l’avvertimento del collegio dei saggi sull’uso della terminologia letteraria Araba, in altre occasioni il traduttore confessa che il materiale di cui si occupa è più che oscuro. Dopo aver traslitterato un lungo passaggio di lingua Hindi in caratteri Arabi dichiara: “Presentai questi versi ad un gruppo di studiosi Indiani, bramini e Yogi, ma non seppero spiegarlo, né comprendere le sue parole strane e difficili” (27a). Perciò, non è chiaro se si tratti di un singolo testo o di una selezione di versi proveniente da una fonte orale trascritta.

La struttura del libro non è per niente chiara. La prima parte del libro è divisa in quattro sezioni: il modo di porre le domande (4a), la lettura del pensiero (5b), l’individuazione dei segni della morte (6b), l’amore e l’odio (8b). Poi, viene un’intestazione a grandi lettere che sembra essere una divisione maggiore o un’iterazione: “Il Libro dell’Immaginazione Magica, dalle Scritture dei Saggi dell’India” (14b). Solo due altre sezioni seguono: una tratta il respiro e l’immaginazione magica (16a), l’altra si occupa del culto della Yogini (30b) occupando quasi l’ultima metà del libro.

Come si relaziona questo testo ai temi Islamici? “La Vasca del Nettare” postula che i famosi Yogi Indiani corrispondano ad Elia (ﻉ), Giona (ﻉ) e Khidr (ﻉ). “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” che è in antitesi soltanto ai mantra Hindi trasmessi da questi tre Profeti Musulmani, ne aggiunge un altro proveniente da Abramo (ﻉ). Questo testo, in ogni caso, fornisce una nuova equipollenza: il seme mantra Sanscrito hrim (scritto in caratteri Arabi rhin) è adesso identificato all’attributo Divino Arabo rahim, “il misericordioso.” Ram e Rahim, costituisce una variante esoterica interessante nel comune gioco di parole sui nomi di Dio tra gli Indù ed i Musulmani. Gli esseri spirituali minori chiamati in Hindi “la dodicesima parte del diametro della luna” (indu-rekha), sono resi in Persiano col termine di angelo (firishta) (53b). Il testo mostra che lo Yoga era praticato disinvoltamente e abitualmente nella società Islamica. Pronosticando col respiro, per esempio, si apprende che un individuo dovrebbe avvicinarsi “al Qadi [Giudice islamico] o all’Amir [termine Arabo per Sovrano]” solamente per un giudizio o per un processo quando il respiro della narice destra è favorevole. Rapporti informali riferiscono di maghi Musulmani che compiono riti magici in un cimitero Musulmano o Indù (47b), in una Moschea o in un Tempio spopolato (49b), e occasionalmente recitano un versetto del Corano, specialmente il versetto del Trono (Ayatu-l-Kursi) (Corano, 2: 255), normalmente dopo la preghiera del tramonto. È riferito che un Musulmano del Broach (un distretto situato nella parte meridionale dello stato Indiano del Gujarat), invocò con successo la partecipazione di una dea Yogini (una delle otto dee femmina create per prestare assistenza alla dea Durga) ai riti insieme ai suoi devoti (talvolta le Yogini sono forme-figure di questa divinità capace di subire decine di milioni di trasformazioni) (37a). L’invocazione alla dea è inserita complessivamente in una cornice Islamica. L’invocazione è rivolta ad Allah e l’encomio al suo Profeta ():

“Preghiamo e adoriamo che Allah arrechi migliaia di arti e di meraviglie dalla segretezza dell’inesistenza al cortile dell’esistenza, Egli adornò la corte sublime di corpi luminosi, Egli fece le dimore degli Esseri spirituali, Egli dispose la manifestazione del mondo sublunare con una varietà di piante e minerali, Egli fece la residenza ed il soggiorno degli animali, Egli scelse fra tutti gli animali l’umanità, creandola nella migliore forma al grido: “Invero creammo l’uomo nella forma migliore” (Corano, 95: 4), “Sia benedetto Allah, il Migliore dei creatori!” (Corano, 23: 14). Molte benedizioni e saluti innumerevoli siano sulla Guida [cioè, il Profeta Muhammad ()] pura e santa del mondo, il migliore tra i figli di Adamo, le benedizioni e la pace di Dio siano su di Lui e su tutti Loro.”

Alla fine è citato un hadith del Profeta () ed alcune allusioni mistiche forniscono il quadro religioso adatto per le pratiche magiche (55a). Queste pratiche rimangono sostanzialmente ambigue, comunque. “Se qualcuno a cui viene aperta questa porta ne farà richiesta, diverrà un Profeta; se è un buono, diverrà un santo, e se è un cattivo, diverrà un mago” (55a). In pratica, si può affermare che per il lettore medio Persiano, “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” rientra nella categoria delle scienze occulte, e la sua origine Indiana serve solamente a migliorarne il fascino esoterico. Il testo impiega termini Arabi classici sia per l’astrologia magica (tanjim), sia per la convocazione degli spiriti (ihdar) (30b, 37b) e per il soggiogamento (taskhir) dei demoni, delle fate e dei maghi.[12] Islamizzato, il testo diventa familiare al Musulmano anche quando sono utilizzate delle tecniche per invocare gli spiriti delle dee Yogini dell’India. I canti liturgici o i Mantra degli Yogi funzionano come incantesimi, “afsun”, un termine Iraniano dal significato magico. Sono riconoscibili anche delle tecniche magiche che usano un’unghia ottenuta da un osso (51a) impiegato atrocemente da una bambola del tipo vudù (51b). Un altro metodo, utilizza un pettine ottenuto dalla mano destra di un cane arrabbiato ucciso con un ferro all’interno di un’area adibita alla cremazione (48b-49a).

Il ritratto religioso ed il tipo di saggezza Indiana che affiora dalle pagine di questo manoscritto è davvero stravagante. Si appoggia innanzi tutto all’autorità di Kamakhya, una leggendaria dea dell’Assam (Kamarupa) descritta più dettagliatamente qui di seguito:

“Kamak è una donna immateriale e longeva appartenente alla categoria degli esseri spirituali che gli Indù chiamano dev. Questa Kamak Dev si trova nella città di Kamru, in una grotta nel mezzo delle montagne. I suoi seguaci penetrano in questa caverna ed alcuni di loro la vedono. Ogni giorno le portano del cibo in abbondanza dalla città che ripongono dinanzi all’ingresso della grotta prima di ritornarsene indietro. Quando si recano in un’altra occasione, non la vedono [la rimanenza]. È detto che i servitori di Kamak non l’abbiano raccolta, e questo è vero. Ho visto molte persone che sono andate in quel luogo, e li sentii confermare questo fatto. La spiegazione data è più che sufficiente, cosicché questa scienza non sarà ritenuta indegna e vista con disprezzo, perché si tratta di una grande scienza. Adesso io, giacché esperto, mi impegno a chiarirla e a spiegarla interamente.” (10a)

Altrove, descrive che questa grotta sia accessibile solo ai maghi delineandone le dimensioni farsang (parasanga) per farsang: ” Quando qualcuno entra in quella caverna, si dirige nell’oscurità fino alla sua fine. Vede delle lampade ed un luogo pulito, fragrante, bello.” (15a) Kamru è descritta come una terra lontana, “si troverebbe su di un’isola al termine dell’India e nel mezzo del Mare Cinese, ” essa è la fonte di molte attività esotiche e sensazionali. È detto che la grotta di Kamakhya abbia vicino una roccia da cui sgorghi un fluido bianco (34b-35a).[13] Kamakhya stessa è citata come una fonte per l’apprendimento dei dettagli della pratica Yogica. Il punto essenziale della sua narrazione è di prendere contatto con le sessantaquattro Yogini.

L’adorazione delle divinità femminili note come Yogini sembra aver raggiunto il suo apice in India tra il 9no e il 12mo secolo, ma continuò diffusamente fino al 18mo secolo. [14] Vidya Dehejia ha descritto a lungo il ritrovamento di un tempio all’aperto in cui queste divinità erano onorate. [15] “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” descrive le Yogini come la chiave per la conoscenza di tutte le cose. All’inizio della sezione sul respiro, è narrato che le sessantaquattro donne proferiscono:

 “Per ordine di Dio, il Grande ed il Maestoso, che un giorno ci concesse questa scienza, noi non parleremo di questa scienza. Per Dio, il cui comando si estende ai 18.000 mondi, questo è un giuramento, questa è la scienza dell’immaginazione magica, qualunque cosa avvenga sulla terra e nel cielo è posseduta dai figli di Adamo. Noi riveliamo ogni cosa, tutto quello che accade nel mondo è conosciuto e reso manifesto colla scienza dell’immaginazione.” (16a)

Ed ancora raccontano,

“Per ordine di Dio l’Altissimo, grazie all’insegnamento imperioso che ci hanno dato, tra la Luna ed il Sole si può sapere qualunque cosa accada nel mondo. Noi insegniamo una scienza che ci permette di sapere chi viene, da dove viene e che cosa vuole. Inoltre, questa scienza allunga la vita e rende l’uomo quasi immortale.” (17a)

Il potere delle Yogini rende il veleno innocuo, cura l’ammalato, rimuove il desiderio e permette di controllare tutte le persone e le cose del mondo. Questi “Esseri spirituali” (in Persiano ruhaniyan) sono invulnerabili alla spada e al fuoco, i loro capelli e le loro unghie non possono essere tagliati, parlano a distanza e si spostano in un istante (23b). Ognuna delle 64 Yogini ha un posto particolare in India. Esse si recano in luoghi divertenti a festeggiare, vestite d’oro e gioielli. Indossano corone e ghirlande. Sono riverite dai Deva. Non morirebbero anche se diventassero anziane, e si ammaleranno solo prima del Giorno del giudizio. Hanno l’aspetto di una ventenne (30b-31a). Questi esseri sono i più adorati nell’Induismo ed i devoti gli dedicano degli idoli. “Proprio come noi rispettiamo i Profeti (ﻉ) e i Santi; così gli Indù hanno riposto la fede in loro” (31a). Molti dei loro nomi sono noti, anche se la scrittura Persiana lascia molte ambiguità: Tutla, Karkala, Tara, Chalab, Kamak, Kalika, Diba, Darbu (31b), Antarakati (44b, 46b), Chitraki (56a), Ganga Mati (45a), Sri Manohar (45a), Katiri (30a), Parvati (49b), Suramati (44b), Susandari (44b), Talu (30a). Vidya Dehejia ha indicato che le due liste di nomi delle Yogini sono le stesse. La cosa essenziale è il numero canonico delle Yogini raggruppate in gruppi di 7, 8, 9, o 64.[16] Qualche volta gli adepti possono avere delle relazioni sessuali con le Yogini (39a), ma in altri momenti le considerano come delle sorelle e delle madri (46b). “Lei è la Yogini e tu sei lo Yogi” (48a). I benefici derivanti dalla loro compagnia includono denaro (44b) e cibo (48b).

Il testo descrive chiaramente le pratiche religiose Indiane relative al tempio della dea Kamakhya (stato dell’Assam) e delle Yogini in modo originale. I bramini sono citati nel “Seme delle sillabe di Kamarupa” e nella sua interpretazione, ma solo come fonte occasionale d’informazioni.  Si tratta di un modello testuale circoscritto, ma su cosa si basa? Nei termini delle categorie che sono oggi disponibili, potremmo probabilmente affermare che questo testo riflette le pratiche cultuali del tempio delle Yogini associate al tantrismo Kaula. [17] Abbiamo anche qualche connessione con i Nath o i Kanphata Yogi; infatti, Matsyendranath è solitamente considerato l’introduttore del culto delle Yogini tra i Kaula, e il nome di Gorakhnath è invocato una volta (51a) nel testo.[18] Di là dalle indicazioni generali, noi troviamo molti passaggi che lo collegano alla tradizione Indù casualmente. Questo testo assume un sistema di nove cakra, contrariamente ai sette cakra comuni alla maggior parte delle scritture Yoga dei Nath (19b, 20a, 25a).[19] Degli esercizi di concentrazione e di meditazione sono dati per elevare la Shakti dall’ombelico lungo la colonna spinale (17b, 18a, 28a). Si trova anche un elenco sui poteri supernormali (Siddhi) (54a).[20] Mantra occasionali contengono la frase “Krishna avatar” (48b, 53a). Una parte tratta del tempio di Mahakala situato ad Ujjain (antica città della regione del Madhya Pradesh e sede del festival religioso Indù del Kumbh Mela) in cui vivono numerosi Siddha o maghi (24b, 37a). La storia del tempio di Mahadev dove il Signore Shiva bevve il veleno che emerse durante il frullamento dell’oceano di latte permettendo la produzione del nettare dell’immortalità, è narrata lungamente (31b-32b).

Mentre lunghi resoconti sono forniti sul tempio della dea Kamakhya, nulla è detto sui sacrifici animali compiuti in quel luogo oggi. L’insegnamento fondamentale del “Seme delle sillabe di Kamarupa”, si basa sull’utilizzo del respiro per divinare e per convocare le Yogini al fine di ottenere i doni richiesti; la meditazione dell’Hatha Yoga è sicuramente collegata a queste pratiche.

Dal punto di vista dello studio Yogico, uno degli aspetti più sorprendenti del testo, è la presenza di numerose ed evidenti rappresentazioni alfabetiche Sanscrite, disegnate certamente da un copista Persiano estraneo a questi caratteri. Alcune di queste parole e frasi somigliano a delle annotazioni irrilevanti incorporate nel testo principale, e per difetto assomigliano nello stile ai numerali Arabi. Altre lettere Sanscrite sono disegnate e visualizzate accuratamente in un formato grande.

Le istruzioni per la visualizzazione sono le seguenti:

“Si prende questa lettera e nel mezzo si traccia un altro carattere alfabetico, che richiama la Shakti dall’ombelico tramite l’immaginazione magica tirandola su, in modo tale che questo carattere alfabetico e la prima lettera siano nello stesso posto.  Immaginale nel centro della testa e fissale col cuore.” (16b)

La copiatura dei caratteri Indiani è qui in contrasto con la tradizione della “Vasca del Nettare”, in cui i mantra Sanscriti sono solamente traslitterati (con vari gradi di successo) in caratteri Arabi.

“Il Seme delle sillabe di Kamarupa” è certamente ricco di terminologia Indiana, ma un vocabolo in particolare presenta un punto interrogativo. Si tratta del termine Arabo-Persiano wahm, solitamente espresso dal vocabolo “immaginazione, ” ma che io traduco qui in “immaginazione magica”. Questo nome ha un significato altrettanto cruciale nella “Vasca del Nettare”, dove “l’immaginazione magica” forma l’argomento principale del capitolo VII. In quest’ultimo testo, diviene un termine generico per i poteri mentali e magici. “È chiamato in vari modi: credenza, certezza, opinione, immaginazione magica, pensiero, fantasia e fantastico… Una preghiera esaudita, l’influenza al fascino dei talismani, i talismani, i nomi [divini], l’incantesimo, la predizione e la santità, sono tutti [attivati] dall’immaginazione magica che è il lavoro del cuore” (VII.1). Il discorso Islamico ordinario assegna a wahm il significato peggiorativo di “illusione” o “pregiudizio.” Wahm ha anche altri significati tecnici nella filosofia Aristotelica: “Facoltà estimativa” (Lat. aestimatio, Gk. sunesis, phronesis) e “immaginazione compositiva” (Gk. phantasia logistike). Ma wahm nel senso di “immaginazione magica” presuppone una corrispondenza con alcuni termini Indiani non dichiarati come bhavanadharana, o kalpana. Nel “Seme delle sillabe di Kamarupa” è definita “la conoscenza dei respiri” (16a), e nell’introduzione del traduttore, l’immaginazione magica si collega al vocabolo “disciplina” (riyadat), che è la traduzione Araba-Persiana per eccellenza di Yoga.

Si tratta della spiegazione religiosa più prolissa del “Seme delle sillabe di Kamarupa” che rimane tuttavia ambigua. La presenza delle dee Indù in un testo circolante nei circoli Musulmani complica la faccenda. La storia teologica Islamica ha dimostrato che le pratiche spirituali coinvolgenti le dee hanno sempre attirato l’anatema su quei Sufi la cui fedeltà all’Islam era divenuta dubbia. Nel famoso incidente del cosiddetto romanzo “I versetti Satanici”, Salman Rushdie riferisce che il Profeta Muhammad (ﺺ ) avrebbe permesso l’invocazione delle tre dee del paganesimo Meccano citate nel Corano, anche se questo riferimento fu in seguito espunto. Nonostante la veridicità della relazione, è chiaro che le molteplici divinità non sono tollerabili nella teologia Islamica tradizionale. Eppure il sofisticato Neoplatonismo dei Musulmani Illuminativisti in Iran (paragonabile al Platonismo Cristiano di Marsilio Ficino durante il Rinascimento Italiano) permise la traduzione e l’assimilazione di temi “pagani”, divinità, e pratiche, senza che si percepisse il senso di una diversità sostanziale. [21] Un simile procedimento di traduzione accadde pure tra i Musulmani Indiani, ma con considerazioni pratiche più elevate. La conoscenza della divinazione e l’accesso agli spiriti femminili chiamati jogini (Yogini), furono considerati utili dai sovrani Musulmani durante le spedizioni militari in Gujarat alla fine del sedicesimo secolo.[22] Infatti, i governanti Musulmani s’interessarono allo Yoga e alla divinazione più d’ogni altro settore della società, e sotto quest’aspetto la cultura degli spiriti femminili ebbe un posto di rilievo accanto all’astrologia e alle altre arti occulte dimostrandosi utile sulla scena politica e militare.[23]

È molto difficile separare la pratica religiosa dalla magia. Il traduttore del “Seme delle sillabe di Kamarupa” attinse liberamente dai vocabolari Islamici connessi al magico; per lui non c’era una chiara distinzione tra lo status di mago e di santo. È ugualmente difficile separare nel testo gli elementi Indù da quelli Musulmani. Sotto quest’aspetto è possibile confrontarlo con un testo Devanagari sui presagi discusso da Simon Digby; secondo quest’ultimo, l’opera circolava nei circoli Musulmani dell’India occidentale e proveniva da un originale Persiano a sua volta tratto da un precedente testo Jain sui presagi. Il carattere divinatorio del testo, Digby lo mette in relazione ad “un ambiente ingrato, in cui l’uomo fu tormentato da problemi culturali, dal desiderio di progresso, dalle società d’affari, dagli inganni e dalle astuzie dei rivali, dalle cause legali, dagli esiti dei viaggi, dalla riuscita del matrimonio e dal successo dei figli dalla nascita all’età adulta.”[24] “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” ha un’ascendenza ugualmente complicata, ma c’è una certa sovrapposizione in termini di preoccupazioni che esso applica. Il traduttore del testo ha certamente una lunga esperienza di quest’insieme di pratiche che considerò di gran beneficio pratico. Le divinazioni effettuate col respiro sono proprio concise e poco poetiche come le predizioni dei testi di Digby; per esempio, ” Se qualcuno viene e dice, “Vado a combattere, ” o “Sto per fare un viaggio, ” se il suo respiro passa dalla [narice] sinistra, permettetegli di andare, è buono ” (4a). Queste domande sono in diretta connessione con la salute, la morte, la guerra, lo stato sociale e le incertezze perenni della vita. Il testo fornisce metodi pratici atti ad influenzare la gente e gli eventi, specialmente nelle prime sezioni del lavoro. I metodi di concentrazione e di visualizzazione hanno cura particolarmente nella seconda metà del testo di superare la magia astratta collegandola alle tradizioni esoteriche elevate che si relazionano al culto delle Yogini e all’Hatha Yoga. Sotto quest’aspetto, può essere confrontato coi numerosi manuali di preghiere Arabe compilati dai maestri Sufi, e circolanti tra i loro discepoli dal 17mo al 18mo secolo in India, i quali contenevano un miscuglio simile d’obiettivi, dal lenimento delle malattie al conseguimento di stati spirituali avanzati. In entrambi i testi Yogici, e nei lavori Sufi, la ripetizione mantrica di certe formule per uno specifico numero di volte si relaziona alla realizzazione del risultato. Varrebbe la pena di tradurre qualche manuale, rivelare le pratiche e gli obiettivi personali con opportuni esempi. In alcuni casi, l’eccessivo numero di ripetizioni del professionista, indica che una persona deve impegnarsi seriamente e lungamente per essere in grado di eseguire questi esercizi. Qualcuno suggerisce che queste pratiche meditative erano utilizzate proprio come oggi usiamo i computer e la rete Internet.

Il traduttore del “Seme delle sillabe di Kamarupa” conclude questa presentazione proclamando ripetutamente e solennemente la suprema autorità del testo ed il suo riserbo. Ritenne che il contenuto del testo non contravvenisse in alcun modo le convenzioni Islamiche religiose che permeano la letteratura Persiana. Possiamo supporre che il presente testo non creò nessun problema di natura dottrinale agli studiosi Sciiti della Persia meridionale. Infatti, furono proprio loro a trascrivere “Il Seme delle sillabe di Kamarupa” per il loro interlocutore Cristiano, Pietro della Valle. Un testo del genere si sottrae alle categorie tipiche della teologia Islamica, forse perché il concetto religioso che lo sostiene è pratico, e non riguarda la purezza dottrinale. Il traduttore osservò costantemente il parallelismo tra la funzione di “esseri spirituali” incarnata dalle Yogini da un lato, e dai santi Sufi dall’altro lato. La prefazione indica che una più vasta teologia naturale assegna alla scienza dello Yoga e “dell’immaginazione magica”, lo status di rivelazione speciale fatta da Dio alle Yogini, perché “qualunque cosa esista in terra e in cielo è di dominio dei figli d’Adamo.”

[1]The Travels of Pietro della Valle in India, dalla Vecchia Traduzione inglese del 1664 di G. Havers, ed. Edward Grey (London: Hakluyt Society, 1892), I, 106-8.

[2]C. Micocci, “Della Valle, Pietro,” Dizionario Biografico degli Italiani (Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, 1989), vol. 39, pp. 764-68.

[3]Ignazio Ciampi, Della vita e delle opere de Pietro Della Valle il pellegrino (Roma: Tipografia Berbèra, 1880), p. 181, no. 52.

[4]Ettore Rossi, Elenco dei manoscritti persiani della biblioteca Vaticana, Studi e Testi, 136 (Città del Vaticano: Biblioteca Apostolica Vaticana, 1948), pp. 47-49.

[5]Il titolo Damerdbigiaska dato nel suddetto passaggio è altrove traslitterato come Kamardinjaska. L’edizione Italiana di “della Valle” è intitolata diversamente Kamerdbigiaska, “poiché la copia Persiana non cura le consonanti o le vocali” (ibid., I, 108, n. 2). Gli sforzi coraggiosi di Lach e di van Kley di vedere nel testo di “della Valle” un trattato Jain (Damerdbigiaska sarebbe una corruzione di Digambara) non convincono, sebbene riconoscano a “della Valle” questo riferimento; vedere Donald F. Lach e Edwin J. van Kley, Asia in the Making of Europe, vol. III, A Century of Advance (Chicago: University of Chicago Press, 1993), p. 658.

[6]Kamak Dev, Kamar deni maka [sic], MS 1957-1060/18-1, National Museum, Islamabad, contenente sei capitoli è citato da Munzawi, IV, 2178, titolo no. 3944, MS no. 11777. Io devo la ricostruzione del termine bijaksa a David White dell’Università di California “Santa Barbara”. La somiglianza tra le lettere K, D e U in una precipitosa e scarabocchiata scrittura Persiana aiuta a spiegare la confusione, insieme a tipiche metatesi di S e K (bijaska al posto di bijaksa) nella rappresentazione delle parole Hindi nella scrittura Persiana.

[7]Vedere Rossi, pp. 33-38, 44, 67-68, per i testi Persiani di “della Valle” sulle dispute astronomiche e religiose. Questi includono (pag. 35-36) la traduzione Persiana fatta da “della Valle” di un’opera Latina sulle teorie astronomiche di Tycho Brahe che compose in Goa nel 1624.

[8]Vedere i miei articoli “The Islamization of Yoga in the Amrtakunda Translations,” Journal of the Royal Asiatic Society, Series 3, 13:2 (2003), pp. 199-226; and “Situating Sufism and Yoga,” Journal of the Royal Asiatic Society, Series 3, 15:1 (2005), pp. 15-43.

[9] I riferimenti sono forniti da Ernst, “Islamization.”

[10]India Office, Ashburner 258, fols. 7a-10b. Vedere E. Denison Ross e Edward G. Browne, Catalogue of Two Collections of Persian and Arabic Manuscripts Preserved in the India Office Library (London:  Eyre and Spottiswode), 1902), p. 157.

[11]In un punto (26a) il traduttore afferma, “Sappi che i trentadue versi nella lingua Indiana sono stati trasmessi dai detti di Kamak. Ebbene, Kamak ne scelse alcuni di quelli e ne aggiunse altri ad essi, e questo poema è detto Kamak baray tajanka (?).”Altrove aggiunge, “Questo è un commentario sui trentadue versi di cui alcuni sono scritti nella lingua Indiana. In esso sono citate molte pratiche, vi sono scienze sconosciute e meravigliose che tutti i professionisti dell’immaginazione magica (wahm) ed i maghi approvano e sono soddisfatti” (29a). Una volta (15b) disse, “A dire il vero composero questo libro in 85 versi, e lo poetarono nella lingua Indiana.”

[12] Prima del 12mo secolo, i termini yogin e yogini designavano in primo luogo i maghi, secondo David Gordon White, Kiss of the Yogini: “Tantric Sex” in Its South Asian Contexts (Chicago: The University of Chicago Press, 2003) and, p. 221.

[13] Attualmente, il santuario di Kamakhya nell’Assam si caratterizza per un flusso d’arsenico rosso che nel pensiero tantrico corrisponde al mestruo della dea; vedere David Gordon White, The Alchemical Body: Siddha Traditions in Medieval India (Chicago: The University Of Chicago Press, 1996) pp. 195-6.

[14] White, Kiss, p. 8.

[15]Vidya Dehejia, Yogini Cult and Temples:  A Tantric Tradition (New Delhi:  National Museum, 1986).

[16] White, Kiss, p. 60.

[17]Dehejia, pp. 30, 36; White, Kiss, p. 22.

[18]Dehejia, pp. 74-75.

[19] Mette in risalto che non esiste un sistema unico ed universale di cakra; vedere White, Kiss, p. 222.

[20]Vedere Eliade, Yoga, p. 88, n.

[21]Lo studioso Persiano Mulla Zayn al-Din di Lar da cui Pietro della Valle ottenne il manoscritto il “Seme delle sillabe di Kamarupa” nel 1622, apparteneva ad una setta che riteneva il sole, la luna e le stelle delle intelligenze, e le venerava come angeli di un ordine superiore in grado di intercedere presso Dio e di chiedere la sua protezione” (J. D. Gurney, “Pietro della Valle: The Limits of Perception,” BSOAS XLIX [1986], p. 113).

[22] al-Ulughkhani, Zafar ul Walih, traduz. Lokhandwala, I:333 (testo Arabo, p. 417), e I:377 (testo Arabo, p. 470), narra di un Musulmano del Deccan di nome Hasan, che fu uno specialista in queste arti.

[23] Vedere mio articolo, ““Accounts of Yogis in Arabic and Persian Historical and Travel Texts,” forthcoming in Jerusalem Studies in Arabic and Islam, vol. 32, Yohanon Friedmann Festschrift Volume (2007).

[24]Simon Digby, “Illustrated Muslim books of omens from Gujarat or Rajasthan,” in Indian Art and Connoisseurship:  Essays in Honour of Douglas Barrett, ed. John Guy (Middleton NJ:  Indira Gandhi National Centre for the Arts and Mapin Publishing Pvt. Ltd., 1995), pp. 342-60.

 

/ 5
Grazie per aver votato!