Mir Fenderesky, un filosofo persiano alla ricerca dello yoga

Mir Fendereski (1562–1640) era un seyyed, un filosofo, un poeta e un sufi persiano della scuola d’Isfahan in epoca safavide. Si era istruito inizialmente a Gorgan, poi a Qazvin prima di accedere nel centro intellettuale d’Isfahan e specializzarsi in filosofia paripatetica.

Era un contemporaneo di Mir Damad. Ha trascorso gran parte della sua vita in India tra gli yogi e gli zoroastriani studiando lo yoga. Fu appoggiato sia dalla corte safavide che dalla moghul. Anche il famoso filosofo persiano Mulla Sadra ha studiato con lui.

Un ritratto di Mir Fendereski. Valih Daghistani  (1712–56 d.C./1124–69 dell'Egira) definirà Fendereski “l'Aristotele dell'epoca in filosofia e l'Abu Yazīd [Bistami] dell'epoca nel Sufismo”.

Mir Fendereski è una figura misteriosa ed enigmatica di cui sappiamo ben poco. Nacque probabilmente intorno al 1562-1563 e morì all’età di ottant’anni. La sua reputazione di asceta se l’era guadagnata alla corte di Shah Abbas, nella Isfahan del primo seicento. Viaggiò per tutta l’India, divenne vegetariano e non andò in pellegrinaggio alla Mecca per timore di essere costretto a sacrificare le pecore.

Mir Fendereski, un sufi qalandar

Mir Fendereski vestiva come un derviscio, stava alla larga dagli uomini influenti, si associava agli emarginati, un atteggiamento che Shah ‘Abbas non apprezzava molto.

Edward Granville Brown – profondo studioso della Persia musulmana – descrive Mir Fendereski come un sufi qalandar che detestava chi abbandonava la shari’a, ma anche coloro che non erano inclini al sufismo. Per lui, la strada giusta si trovava nel mezzo.

Il pensiero filosofico di Mir Fendereski

Alcuni considerano Mir Fendereski un pensatore peripatetico della tradizione d’Ibn Sina, mentre altri lo ritengono appartenente alla scuola illuminativa (ishraqi) di Shihab al-Din al-Suhrawardi. Altri ancora suggeriscono che inizialmente era un paripatetico, poi divenne un illuminazionista (ishraqi) e successivamente aderì al sufismo filosofico (irfan).

Mir Fendereski descrive l’imperfetto stato di conoscenza di coloro che non vedono il significato comune negli insegnamenti degli antichi filosofi greci, dei filosofi islamici e dei brahmini indiani. Egli associa, inoltre, il “sentiero religioso” (madhhab) dei brahmini a quello degli antichi filosofi greci.

Per Mir Fendereski, la tradizione indù non è più praticabile dopo la venuta del Profeta Muhammad, dato che l’Islam ha abrogato tutte le religioni precedenti, seppur si possono trarre dei benefici dallo studio dello Yoga-Vasishta.

Mir Fendereski si dirige in India

Mir Fendereski, il grande filosofo e sufi della scuola d’Isfahan, si diresse in India probabilmente stimolato dalle letture di al-Biruni, ma anche per trovare quella spiritualità che nell’Iran safavide era perduta com’è attestato dalle sue udienze presso gli imperatori Moghul.

Mir Fendereski arriva in India per la prima volta nel 1605. Nel 1037/1627 è già in contatto col ministro di Shah Jahan, Asaf Khan, il quale lo presenta in due occasioni al sovrano.

Mir Fendereski soggiornò per trenta anni nel subcontinente indiano studiando il sanscrito e rivedendo così le precedenti traduzioni, soprattutto la traduzione dello Yoga-Vasishta di Nizam al-Din Panipati.

La trikonasana in una moschea di Teheran.

Cos’è lo Yoga-Vasishta

L’opera, che si presenta come un dialogo tra il saggio vedico Vasistha e il suo allievo Rama, mostra influenze di Vedanta, Yoga e persino di Buddismo Mahayana.

Il vero sufismo sciita nello Yoga-Vasishta

Nizam al-Din Panipati aveva tradotto quest’opera verso la fine del 1500, ma Fendereski ne selezionò alcune parti commentando i passaggi rimasti oscuri in forma allegorica o spiegandoli secondo i concetti della filosofia arabo-persiana islamica, in particolare peripatetica. Mir Fendereski riprendendo un commento di Panipati si riferisce ai Veda come ai “libri della shari’ah”.

Nel suo commento alla traduzione persiana dello Yoga-Vasishta, un classico della filosofia vedica, Fendereski confronta alcuni passaggi del testo con i detti dei grandi mistici persiani per dimostrare le somiglianze tra le dottrine metafisiche e le cosmologiche del sufismo iranico e dell’induismo, quel sufismo che rappresenta il vero sciismo.

Il Corano e lo Yoga-Vasishta

Mir Fendereski scrisse nella sua traduzione dello Yoga-Vasishta: “Queste parole sono come acqua per il mondo, pure e illuminanti come il Corano. Una volta che si è passati attraverso il Corano e i detti profetici, nessuno ha questo modo di parlare.” Queste parole indicano che per Mir Fendereski, il Corano e lo Yoga-Vasishta esprimono la stessa Verità nella realtà essenziale.

Il Corano e lo Yoga-Vasishta, sono cipressi separati, ognuno dei quali comunica, in linguaggi drasticamente diversi, le singolari glorie della Realtà di Dio, facendolo con una tale brillantezza da richiedere la nostra dedizione e devozione, purché si abbiano gli occhi per vederlo.

Tuttavia, l’espressione “una volta che si è passati attraverso il Corano e i detti profetici” indicherebbe che per Mir Fendereski lo Yoga-Vasishta non è una manifestazione altrettanto profonda quanto il Corano.

Il Muntakhab-i Jog-basisht/Jug-basasht

In una nota a margine dello Jog-basisht è scritto: “dopo aver compreso per quanto mi è possibile, non trovo alcuna opposizione in nessuna questione tra i brahmini e i filosofi islamici.”

Mir Fendereski dopo aver selezionato i passaggi più interessanti dello Yoga-Vasishta ha inserito le pericopi della poesia sufi persiana classica per formare il “Muntakhab-i Jog-basisht” (Le selezioni dallo Yoga-Vasishta). Vi si trovano passi di Farid al-Din ‘Attar, Gialal al-Din Rumi, Mahmud Shabistari, Muhammad Shams al-Din Hafiz e di altri poeti ancora…

Il linguaggio filosofico del “Muntakhab-i Jog-basisht” è inconfondibile. Il pensiero sufi wujudi e peripatetico sono notevolmente mescolati: ci troviamo di fronte a un sufismo wujudi “peripatetizzato”.

Scisse Mir Fendereski nel “Muntakhab-i Jog-basisht”: “I brahmini dell’India possiedono il sentiero religioso degli antichi saggi riguardo all’unicità dell’essenza del Reale… La distinzione tra i brahmini e gli antichi saggi riguarda solo la terminologia e la lingua”.

ANALOGIE TRA IL “MUNTAKHAB-I JOG-BASISHT” E LO YOGA-VASISHTA

Il pralaya e il Giorno della Resurrezione (qiyamat)

Dopo il passaggio dei quattro yuga, si verifica il “pralaya“, cioè il Giorno della Resurrezione (القيامة), quando tutti gli esistenti (موجود) del mondo vanno nel nulla…. Il Signore che “risplende” (vibhati) nel mondo si connette alla manifestazione di Dio; così il Veda diventa un Libro rivelato (كتاب).

La manifestazione speciale è Narasimha

L’Essere assoluto e la luce dell’invisibile… si manifesta nel mondo attraverso una manifestazione speciale (المظْهرالخاص), cioè, l’avatara. Una di queste manifestazioni speciali è Narasimha, che è nella forma mezzo uomo-mezzo leone…

Il manas nella tradizione arabo-persiana

Il manas sanscrito, cioè la mente, talvolta è la mente (خاطر o immaginazione) e la percezione (شعور); altre volte, è il puro pensiero e la pura concettualizzazione (التصور الخالص) o la prima specificazione (التعيين الأول).

Mir Fendereski e Panipati identificano questa “prima specificazione” alla divinità creatrice Brahma che emerge dall’ombelico di Vishnu mentre è seduta sopra un loto intenta a proiettare l’universo e dare inizio al successivo grande ciclo degli yuga.

Il sankalpa e l’hadith del “tesoro nascosto”

Mir Fenderesky e Panipati con il contributo dei pandit indiani collegano il concetto sanscrito del sankalpa, che nella pratica dello yoga significa letteralmente il proposito, l’intenzione, l’immaginazione del brahman, all’hadith qudsi “ero un tesoro nascosto e mi è piaciuto [o voluto] essere conosciuto così. Ho creato le creature per essere conosciuto da loro”.

Questo particolare ponte metafisico tra la tradizione intellettuale sanscrita e quella arabo-persiana è ripetuto in tutto il “Muntakhab-i Jog-basisht”.

Termini sanscriti e arabo-persiani nel “Muntakhab-i Jog-basisht”

Molti termini sanscriti come buddhi, manas, citta, ecc.. sono traslitterati in persiano nello Jog-basisht, mentre il termine jiva traslitterato in persiano compare solo qualche volta per essere sostituito da parole arabe come ruh nafs, ecc.. e persiane come jan (anima).

Il termine jivatman, l’atman che si riflette nel jiva, anziché sostituirlo con jan, è definito come il desiderio (خواہِش) e la volontà (ارادة) del brahman stesso di manifestarsi a se stesso” e di “fissare le specifiche (التعيين) e le manifestazioni (مظاهرات) del mondo”. Il testo precisa che il jivatman è lo spirito (ruh) all’interno di ogni individuo.

Il jivatman raffigurato nel passo persiano, tuttavia, non è affatto un’anima individuale, ma il desiderio stesso di Dio di farsi conoscere come dichiara l’hadith qudsi del tesoro nascosto.

Questa omologia tra i termini sanscriti e arabo-persiani rappresenta molto più di un incontro tra il sufismo e il vedanta.

Mir Fendereski e la pratica yogica

Dio si manifesta assumendo vari nomi in entrambe le tradizioni; pertanto, gli avatara indù sono inseriti in un quadro coranico. Il Corano esorta a menzionare (dhikr) il nome del proprio Signore (87:15), una pratica analoga allo japa (mantra) induista.

Una yogini persiana presso la casa Abbasi (Kashan, regione di Isfahan).

È detto che Mir Fendereski praticasse il Surya namaskar, ovvero il saluto al sole, fosse diventato vegetariano e si sia astenuto dal pellegrinaggio alla Mecca per evitare di sacrificare una bestia innocente.

Il suo interessamento per l’Induismo precede l’attenzione che Dara Shokuh dedica a questa stessa religione.

Mir Fendereski trascorse molti anni in India approfondendo l’alchimia e praticando lo yoga. Venne anche coinvolto nel grande movimento di traduzione delle opere sanscrite in persiano collegando la tradizione jabiriana-jildakiana occidentale alle tradizioni indiane.

La vita da eremita in India

Nonostante la notevole fama che Mir Fendereski godeva in Iran, in India cercò di vivere anonimamente per non essere riconosciuto. Preferiva incontrare i guru e non i sovrani. Seppur Mir Fendereski incontrò i regnanti Moghul, non ricevette alcun incarico presso la loro corte reale. Mir Fendereski viveva a lungo presso i solitari maestri indiani di yoga, o presso le logge sufi.

Il ritorno in Iran

Utthita parsvakonasana (Iran)

Mir Fendereski ritornò in Iran a insegnare la filosofia avicenniana e la medicina di Ibn Sina tra cui i celebri al-Qanun (Il canone) e al-Shifa (La guarigione). Morì a Isfahan, la città che lo rese famoso.

Bibliografia

Mir Fendereski

Corbin H., En islam iranien, Paris, Gallimard, 1972, Vol. III, p. 178-190.

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