Divinare col diwan di Hafez

La storia del fal (la buona parola)

Dall’era safavide (XV secolo) fino ai giorni nostri, il diwan (o canzoniere) di Hafez è stato utilizzato come libro di oracoli e consigli spirituali. Questa consultazione è chiamata, in persiano, “fal“, cioè “augurio, presagio, fortuna, fato, destino, ma indica più esattamente una buona parola o un buon consiglio”. Lo stesso Hafez si riferiva all’auspicio: “Non lasciare questa porta nella disperazione, prendi l’auspicio [bezan fali], / il sorteggio potrebbe cadere sul nostro nome». «I miei occhi al volto del coppiere, le mie orecchie alle parole dell’arpa, / ho tratto un buon auspicio [fali…mizadam] con l’occhio e con l’orecchio» (Ghazal 313, bayt 4). La pratica del fal divenne corrente in Iran, pochi decenni dopo la morte del poeta. Una delle prime menzioni del fal di Hafez compare nel Kitab-i Diarbakriya di Abu Bakr Tehrani, scritto tra il 1469 e il 1478.

La consultazione del buon consiglio (fal) attorno alla tomba di Hafez

Le varie divinazioni

Nella società iraniana passata e presente sono esistiti diversi tipi di divinazioni: «l’interpretazione dei movimenti involontari del corpo (starnuti, tic, prurito, ecc…), l’osservazione del comportamento degli animali, la divinazione con le carte da gioco (fal-e waraq) o con i ceci ( fal-e nokod), la bibliomanzia (per esempio il fal di Ḥafeẓ), la divinazione con gli specchi o le lenti (aʾina-bini), l’osservazione del fegato di un animale ucciso (jegar-bini), la divinazione attraverso la fiamma di una lampada, ecc…»; ma il fal di Hafez rientra nel gruppo del vaticinio bibliomantico o sticomantico.

Nell’Iran odierno, tuttavia, nonostante l’uso frequente della chiaroveggenza e di vari tipi di divinazione (tarocchi, fondi di caffè, numerologia, ecc…), la consultazione del diwan di Hafez è il mezzo oracolare più diffuso, più popolare e più consensuale.

La consultazione del fal

Oggi, la pratica del fal può variare a seconda della provincia, ma il dottor Ruhollah Mini, l’ha descritta nel modo seguente: “La consultazione del fal [falkhwan] e il sorteggio di un ghazal a scopi divinatori seguono tradizioni e condizioni consolidate. Non si compie un fal con un libro incompleto o con delle pagine strappate. Eseguire più di tre fal per una persona è irrispettoso nei confronti di Hafez.”

La preparazione del fal

La consultazione del fal attraverso il diwan di Hafez è simile alla venerazione del Corano. Di solito, si compiono inizialmente le abluzioni, poi, dopo essersi seduti di fronte alla qibla, e prima che il consultante del fal [sahib-i fal] faccia un voto ed estragga il fal, si recitano a bassa voce il Fatiha o brevi sura del Corano, o si pronunciano almeno tre invocazioni (du’a), e si dedica allo spirito di Hafez la ricompensa spirituale della loro lettura. Successivamente, l’interrogante del fal esprime un desiderio solitamente a occhi chiusi, e apre il libro col dito indice. Altri, dopo essersi concentrati sulla domanda fanno scorrere il pollice della mano sulle pagine chiuse del libro fino al momento di aprirlo.

Il ghazal contenente il fal e i distici di complemento

Il ghazal contenente il fal, cioè il primo ghazal della pagina, si trova in alto a destra della pagina aperta. Se il ghazal inizia nella pagina precedente, si volta la pagina e si legge il primo distico del ghazal. Il ghazal che viene subito dopo è chiamato il “testimone del fal” [shahid-i fal], mentre il primo, il terzo o il settimo distico, o i primi tre distici di questo ghazal, vengono letti, come complemento, dopo il ghazal di base.

La formulazione del fal e la Shakh-e Nabat

Il presagio del fal si compie tenendo in mano il libro di Hafez e aprendolo dopo aver formulato interiormente un desiderio o una domanda. A volte si pronuncia, prima o dopo la formulazione dell’auspicio, la prima sura del Corano (la Fatiha), un’invocazione (du’a), cioè una formula di saluto sul Profeta Muhammad e la sua famiglia («Allahumma salli ala muhammad wa ala ali muhammad»), o la formula: «Nel nome di Shakheh Nabat [o Shakh-e Nabat], se tu [Hafez] l’ami, rispondimi! », che nei suoi ghazal incarna l’idea della donna-divina, la cui bellezza supera quella umana e riflette quella di Dio. Shakh-e Nabat significa letteralmente “ramo di zucchero” o “ramo di vita”, ma è il nome generico dell’amante di Hafez nel suo diwan.

Il fal e l’istikhara nella tradizione ottomana

Nella tradizione ottomana sunnita, la consultazione del fal, in particolare di Hafez o di Gialal ad-Din Rumi era molto comune. Nella seconda metà del XVI secolo, l’Iran e la Turchia svilupparono un grande interesse per l’arte della bibliomanzia utilizzando anche delle immagini per i pronostici. I Fal-nama furono composti per i governanti bisognosi di guida durante le campagne militari o che si trovavano in circostanze politiche difficili. Queste opere furono commissionate per il sultano ottomano Mehmet II (morto il 886/1481), che conquistò Istanbul nel 1453 d.C.; e per suo figlio Cem Sultan, un pretendente al trono ottomano, la cui morte avvenne nel 900/1495 mentre era in esilio a Napoli. Cem Sultan aveva due diwan, rispettivamente in turco e in persiano, e parlava anche arabo.

Il Fal-nama, o Libro di Presagi, conteneva dei dipinti figurativi e dei testi poetici. Per legittimare questa pratica, si sono diffuse delle storie sul modo in cui il Profeta Muhammad abbia consultato il Corano e insegnato ai suoi studenti la sua procedura. In effetti, nel XV secolo l’uso del Corano per i pronostici era ben consolidato, come attestano le tavole miniate alla fine dei codici Coranici. Queste tavole erano chiamate “Fal-nama“, che significa “consultare il sacro” o “cercare auspici”.

Le immagini e la poesia del Fal-nama nella tradizione ottomana e safavide

Fal-nama, il libro di presagi

Per ricevere il giusto auspicio, il cercatore recitava i versetti Coranici e poi apriva il libro su una pagina a caso; il primo verso in alto a destra su cui cadevano gli occhi del cercatore, o l’ultima poesia della pagina, costituiva il presagio. Le immagini di saggi, eroi e dell’aldilà nel Fal-nama erano parte integrante del processo di divinazione. Le figure funzionavano come auspici visivi in associazione al testo.

I disegni venivano utilizzati insieme ai testi per fornire una spiegazione completa del mondo invisibile, i manoscritti del Fal-nama erano fortemente illustrati, combinando l’immagine a destra e il pronostico a sinistra. È affascinante notare come la diffusione di tali pratiche fosse comune a ebrei, cristiani, musulmani, indù e altri. La divinazione, l’astrologia e la scienza delle lettere presso la corte ottomana erano parte integrante della vita politica del tempo.

Il sistema di corrispondenza dei Fal-nama

I Fal-nama (detti anche Fal-i kalam-i Allah) venivano consultati con l’aiuto del Corano. I Fal-nama erano scritti in versi e funzionavano secondo un sistema di corrispondenza tra la prima lettera della prima parola che si incontrava aprendo il libro sacro e gli scritti di varie ispirazioni, attribuiti a ciascuna lettera dell’alfabeto. I manoscritti Coranici muniti di Fal-nama circolavano sia nell’impero ottomano che safavide. Le istruzioni fornite in queste raccolte ricordano i gesti e le parole rituali del fal di Hafez.

Il diwan di Hafez mutuato dal Corano

Ascoltando i ghazal di Hafez si percepisce la presenza costante del Corano. Il suo vocabolario e il suo stile sono fortemente influenzati dalla forma e dalla costruzione delle sure del Corano. Le sure del Corano non seguono un filo conduttore e i versetti parlano di vari argomenti; ugualmente, i ghazal della poesia di Hafez seguono una certa incoerenza. Questa forma incoerente di dettagli, ma ricca di significato nel suo insieme, è ispirata al Corano. Questa caratteristica è preziosa per comprendere che è possibile formare dai versetti estratti dal diwan un fal. Nelle rappresentazioni e nelle pratiche, ci sono molte affinità tra il Corano e il diwan: in Iran, il diwan è considerato un “libro sacro” perché il fal è stato mutuato dal Corano. Lo stesso soprannome del poeta, Hafez, significa letteralmente “conoscere il Corano attraverso il cuore.”

Differenza tra istikhara e fal

Alcune fonti dichiarano che il fal fosse praticato anche prima di Zoroastro, ma il fal guereftan (la divinazione col fal) si diffuse con l’istikhara del Corano. La parola istikhara deriva dalla radice araba khair, cioè chiedere a Dio il bene. In questo modo, la persona purificava la niyat (intenzione) e si avvicinava a Dio. Poi pronunciava: “Dio mio, rivelami quale delle due scelte è la cosa giusta da fare”. L’istikhara è eseguita solo col Corano, a volte con un rosario (masbah), e non è possibile eseguire l’istikhara con la poesia di Hafez. In ogni caso, questa pratica si è diffusa col Corano prima di estendersi alla poesia di Hafez. La parola fal appare otto volte nel diwan di Hafez e sostituisce il termine istikhara. Hafez considerava il fal una guida per la verità occulta.

Il fal guereftan (la divinazione del fal)

Il momento migliore per praticare il fal guereftan col diwan di Hafez è la notte di Yalda o il giorno di Nowroz. Dopo aver formulato l’intenzione (niyat)1, si prende il libro con la mano sinistra e si recita la Fatiha oppure la seguente espressione rituale: “O Maestro di Shiraz, tu che sveli tutte le difficoltà e i misteri, giura su Shakh-e Nabat2 di dirmi la verità; poi, con le quattro dita della mano destra (senza il pollice) si apre una pagina del libro: il ghazal all’inizio della pagina di destra contiene la risposta attesa.

Se il ghazal inizia su questa pagina, l’interrogante inizia a leggerlo ad alta voce; se invece il ghazal inizia sul lato sinistro della prima pagina, il consultante fa riferimento alla pagina in cui inizia il ghazal e la lettura inizia dalla prima strofa. Se la risposta non è stata compresa appieno, si rimanda al primo verso del ghazal successivo, che sarà riconosciuto come la risposta attesa. Il consultante spesso si occupa della spiegazione e dell’interpretazione delle poesie al fine di massimizzarne l’impatto.

Le radici islamiche del fal

Gli studiosi ritengono che il fal abbia radici islamiche. I riti del fal sono stati mutuati dalle regole islamiche: l’abluzione prima di aprire il diwan, il volgersi verso la Mecca durante la lettura, la citazione di parte del Corano e la preghiera per Hafez, la ripetizione per tre volte della formula di benedizione del Profeta e dei suoi discendenti (salavat) affinché Hafez riceva la ricompensa spirituale (savab). Tuttavia, nessuno di questi riti è obbligatorio. Il consultante deve essere un esperto di Hafez, di conseguenza, i non istruiti non potranno accedere alle sottigliezze della poesia di Hafez, anche se sono disponibili delle interpretazioni del diwan.

Le interpretazioni del fal

Le interpretazioni contenute in certe edizioni del diwan di Hafez si rivolgono confidenzialmente al sahib del fal (la persona a cui il fal è destinato) col pronome “tu”. Le raccomandazioni del diwan di Hafez riguardano la prudenza e la fiducia in Dio. La prudenza ricorda costantemente al sahib del fal (il consultante del presagio) che le presenze invisibili gli comunicano informazioni dal mondo invisibile (ghaib) mettendolo in guardia dalle forze ostili; invece, la fiducia in Dio (tavakol kardan be khoda) lo conforta attraverso la sua presenza benevola.

Il fal-i bad, il fal-i khub e il fal-i vassat

Ci sono tre tipi di fal di Hafez: il fal-i bad (cattivo o negativo) avverte la persona delle conseguenze dannose della sua possibile azione, il fal-i khub (positivo e incoraggiante) sostiene la persona nell’attuazione della sua decisione, e il fal-i vassat (neutro) lo informa della risposta incerta. Le interpretazioni mantengono come base costante le regole della divinazione, ma non sempre seguono le poesie.

Anche l’istikhara eseguita col Corano segue uno schema simile. Un’interpretazione positiva dei versetti del Corano è detta khub, negativa bad, e neutra vassat.

Il fal del Corano safavide e ottomano

Il fal del Corano è una nozione problematica oggi, in quanto non è più praticato o, se lo è ancora, non è più qualificato come tale. Il termine è accuratamente evitato e i chierici si sono rifiutati di definirlo. Questo rituale consisteva nell’interpretare delle ayat del Corano con l’ausilio di una tavola di lettere a scopi predittivi o decisionali, con una metodica differente rispetto all’istikhara del Corano. Il fal del Corano sarebbe stato praticato dal XII secolo, sotto la dinastia ilkhanide, e sarebbe scomparso alla fine del periodo Qajar all’inizio del XX secolo.

Sebbene la pratica del fal del Corano era particolarmente diffusa durante il XVI secolo in epoca safavide, le opere titolate “Fi tafa’ul min kalam Allah al-majid” (La divinazione per mezzo delle parole gloriose di Allah) e “Dar fal-i mushaf” (La divinazione per mezzo del Libro) appaiono anche nelle tradizioni artistiche ottomane sunnite della stessa epoca. Un Corano turco ottomano firmato da un certo ‘Abdallah e datato nel 980/1573 contiene anche un fal inserito alla fine. Il motivo per cui il fal del Corano è stato considerato un fenomeno sciita è dovuto al fatto che la pratica, così come il testo, sono stati spesso attribuiti ad ‘Ali, primo Imam sciita. In un altro Corano safavide esistente, il testo divinatorio è intitolato “Falnamah-ya hazrat-i Amir al-Mu’minin, cioè l”Ali ibn Abi Talib”.

L’evoluzione del fal di Hafez

Il rituale del fal di Hafez è una pratica che si è evoluta nel corso dei secoli e continua a evolversi. Il fal di Hafez era un tempo praticato dai rabdomanti e dagli indovini. Nel 1887 il custode della tomba di Hafez prediva il destino dei suoi visitatori. Oggi, l’indovino non è più richiesto, il consultante non si appoggia più a interpretazioni preconfezionate, ma ha una propria visione dei versi di Hafez che rispecchia il suo stato d’animo. Nell’epoca moderna, alcuni consultano il diwan sullo smartphone, mentre altri hanno ideato i tarocchi di Hafez prendendo a prestito modelli di esoterismo occidentale. C’è anche un’altra tradizione del fal di Hafez: si mettono diversi componimenti poetici davanti a un pappagallino. Ogni testo ha la sua interpretazione. Quindi, il pappagallino sceglie la poesia per il consultante.

La bibliomanzia nelle altre religioni

La pratica del fal de Hafez appartiene alla bibliomanzia. La bibliomanzia con l’utilizzo di specifici libri poetici era esercitata nell’antichità. I greci si ispiravano alle opere di Omero (Sortes Homericae o incantesimi omerici), i romani alle opere di Virgilio (Sortes Vergilianae o incantesimi virgiliani), mentre i cristiani e gli ebrei si ispiravano alla Bibbia (Sortes Biblicae o incantesimi biblici).

In ambito cristiano, in epoca alto medievale si effettuavano predizioni divinatorie sorteggiando dei numeri o delle lettere dai Salmi, oppure aprendo a caso una pagina di un testo sacro in cui si sperava di trovare la risposta a un interrogativo. Si trattava di una tecnica leggermente diversa rispetto a quella in uso con la Bibbia, la cui denominazione era Sortes Sanctorum (incantesimi dei santi).

La sticomanzia da Socrate al rinascimento

François Rabelais (1483-1553) dichiara che la sticomanzia fu usata da Socrate e da molti imperatori romani tra cui Macrino, Severo Alessandro, Adriano, Traiano, ecc… Il poeta Alfred de Musset (1810-1857) praticava ancora nel XIX secolo gli incantesimi virgiliani, ma consultava con più fiducia la poesia di Shakespeare.

I cristiani avevano l’abitudine di entrare in chiesa ad ascoltare la cantillazione della Bibbia e le prime parole che venivano udite predivano il futuro della volontà divina, sulla falsariga della divinazione ebraica detta Bath Kol. In genere, le Sortes consistevano nell’aprire casualmente le Sacre Scritture e di leggere le prime parole a portata di mano, le quali predicevano il destino. I versi dell’Eneide furono usati a scopo divinatorio sopratutto in epoca tardo romana, ma anche nel medioevo e nel rinascimento.

Sant’Agostino e la bibliomanzia

Le Confessioni sono un’opera autobiografica in XIII libri di Agostino d’Ippona o Sant’Agostino, padre della Chiesa, scritta nel 398. Sant’Agostino (354-430) aveva menzionato la bibliomanzia in questa autobiografia in un dialogo col medico Vindiciano circa le predizioni astrologiche:

“E, quando gli chiesi quale fosse la ragione per cui molte di queste predizioni si siano avverate, egli [Vindiciano] rispose, come meglio poteva, che era dovuto alla virtù del fato, una virtù diffusa ovunque in Natura: infatti, dalla raccolta di qualche poeta — che nella sua poesia mira ad altro! — non c’è da stupirsi se un certo verso, all’occasione di un consulto, possa spesso trovarsi in sorprendente consonanza con una tale situazione; né c’è da stupirsi, diceva, se l’anima umana, per effetto di un’ispirazione dall’alto, inconsapevole anche di ciò che in essa avviene, potesse far sentire, per effetto non dell’arte ma del destino, una parola in armonia con la situazione e con gli atti dell’interrogante.” (Le Confessioni, Libro IV, Cap. 3.)

La sticomanzia col Corano e col Sahih al-Bukhari

Nell’Islam esiste anche una tradizione di sticomanzia (divinazione della poesia) praticata col Corano o col Sahih al-Bukhari, una delle sei raccolte canoniche di hadith. Essa opera interpretando i versetti Coranici o gli hadith estratti a sorte. Similmente al fal di Hafez, la consultazione oracolare del Corano o della raccolta di al-Bukhari, fa parte della tradizione dell’istikhara, che richiede a Dio un’ispirazione dopo aver indicato una frase sulla pagina aperta di un libro prima di prendere una decisione difficile.

Il fal è un buon consiglio e lo specchio dell’anima

La tradizione del fal di Hafez è davvero eccezionale per le sue implicazioni storiche, culturali, spirituali, linguistiche e psicologiche. In molti casi il termine “divinazione” è inappropriato, le predizioni avvengono meno rispetto alle ispirazioni, il fal è più esattamente un buon consiglio o una buona parola piuttosto che una divinazione vera e propria. Il fal di Hafez risponde quasi sempre; se un presagio è incomprensibile è probabile che la domanda posta non fosse chiara, oppure la persona era confusa nel momento del quesito.

Il fal riflette lo specchio dell’anima. Se il desiderio o la domanda sono troppo complessi il diwan di Hafez non può rispondere chiaramente, o non può parlare.

Note

  1. Niyat kardan significa “esprimere un desiderio”. Si tratta di rivolgersi ad Hafez per sapere se il desiderio sarà esaudito o se la decisione presa è quella giusta.
  2. Tradizionalmente la parola Shakh-e Nabat (letteralmente “ramo di canna da zucchero, è un prodotto ottenuto dalla cristallizzazione dello zucchero mischiato con lo zafferano) è il nome dell‘amata di Hafez. In Iran, quando si apre una pagina a caso del suo canzoniere per trarre i presagi dai suoi ghazal, si scongiura l‘anima del poeta in nome della sua amata.
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